In quest’ultimo periodo nella sezione del forum di Ars Ludica dedicata alle riflessioni sul game design e altro ancora (che potete visitare qui) ci si è spesso scornati sull’essenza del medium.
Prendendo spunto da quanto è emerso nei vari topic, quello che noi chiamiamo “videogioco” dovrebbe chiamarsi in ambito critico e teorico proprio come viene definito in ambito commerciale, ossia:
*interactive entertainment*
Sottolineiamo che il prefisso interactive è fondamentale perché identifica il modo di essere del medium.
Ora, la maggiorparte dei videogiochi possiede delle meccaniche che possono essere definite “ludiche”.
Essendo il gioco per forza di cose interattivo, usiamo il termine video-game per ogni tipo di interactive entertainment.
Sembra proprio che qualunque videogioco richieda all’utente delle condizioni da soddisfare per poter proseguire.
Fino a che punto però la meccanica interattiva si può definire “ludica”?
Non dovremmo mai perdere di vista la Storia del videogioco.
Sappiamo tutti che cosa sia l’interactive fiction: attraverso una narrazione testuale e una serie di comandi verbali era possibile proseguire in un’avventura virtuale.
Questa interactive fiction (IF in breve) è tutt’ora considerata un po’ al di fuori dal seminato del “videogioco”.
E allora la facciamo rientrare in quello più ampio di “interactive entertainment”.
Del resto, l’interactive fiction si è sviluppata in modo visuale attraverso le avventure grafiche Sierra in primis e Lucasarts poi, attraverso la nota interfaccia “punta e clicca”. Non si chiedeva di massacrare nessuno, casomai di risolvere enigmi o di investigare attraverso dialoghi: ogni azione era strettamente legata allo sviluppo narrativo.
Purtroppo le cosiddette “avventure grafiche” si sono fossilizzate nei loro stilemi, fino a diventare un “genere di nicchia”. E quando qualcuno ne ha raccolto l’eredità evolvendo ulteriormente la modalità interattiva ha suscitato meno clamore di un Halo 3.
E qui arriviamo al punto.
Oggi si fa un gran parlare di “narrazione all’interno del videogioco”. Si arriva a dire che la componente è stata sempre sottovalutata. Riprendiamo in mano Broken Sword, per Dio; stiamo assistendo a una mancanza di onestà intellettuale. Halo 3 può vivere benissimo senza una trama, perché richiede altro per funzionare.
Vogliamo davvero che la componente narrativa spicchi all’interno di un’opera interattiva?
E allora quest’ultima non dovrebbe legare la sua progressione ad eventi meccanici e ridondanti come sconfiggere un numero prefissato di nemici e tutto quel bagaglio di cliché che appartiene al video-gioco.
No, dobbiamo imparare dall’interactive fiction e riprendere in mano l’eredità lasciata delle avventure grafiche per far sì che l’interazione sia strettamente connessa alla narrazione, in modo tale che essa diventi il fulcro dell’opera e non il suo (per quanto bello possa essere) contorno.
L’interactive fiction insomma non è mai morta; quando la trama è predominante in un’esperienza virtuale dovremmo usare questa definizione al posto di video game. Non a caso, documentandomi per quest’articolo ho letto che Chris Crawford (autore del seminale The Art of Computer Game Design) già venti anni or sono parlava di “interactive storytelling”.
Ovviamente sarebbe puerile tentare di suddividere in due categorie un medium così multiforme, quindi consideriamo VG e IF come due componenti dell’interactive entertainment.
Esiste una sorta di ago della bilancia tra VG e IF.
Il punto sta tutto nel capire a che punto si trova.
Virtua Fighter, Tetris, le simulazioni sportive? VG, sicuro.
Hotel Dusk, Myst? IF, verrebbe da dire.
Un titolo “azione/avventura” a caso? VG>IF, solitamente.
Un gioco di ruolo? Qui le componenti sono spesso equilibrate quanto alternate.
Shenmue? IF>VG, non ci piove.
Esistono poi svariate forme di giochi (come per gli sport) e svariate forme di fiction (come per il cinema).
So cosa potreste pensare: ma queste componenti non si potrebbero chiamare semplicemente “gameplay” e “narrazione”? No, perché interactive fiction significa, per dirla alla Marinetti, “simultaneità” tra narrazione e gameplay. Le cutscene narrative non sono IF perché di norma non possiamo interagire con esse.
L’opera magna di Yu Suzuki rappresenta un tentativo di far correre il linguaggio cinematografico parallelamente al contesto interattivo, attenuando il più possibile le abusate, grottesche alternanze tra “film” e “videogame”.
Ma non si vive di solo Shenmue.
Negli ultimi tempi, se la tanto millantata “narrazione in tempo reale” di Half-Life in realtà viene subita passivamente dall’utente, le scelte offerte dai dialoghi degli RPG di BioWare sembrano essere il principale vessillo del nuovo modo di concepire la componente IF a livello mainstream. Eppure, in fin dei conti, tale elemento risulta comunque subordinato rispetto alle sessioni di combattimento nella lista delle “cose da fare” per il proseguo dell’avventura.
La sfida di questi tempi è quella di riuscire a proporre l’IF durante le intense fasi d’azione del videogioco standard. Il passato ci può portare molti più esempi di quanto non si pensi in questo senso, ma sarà comunque necessario evolvere il game design inventando meccaniche inedite, creando nuovi generi e nuovi concept (specialmente non-violenti).
E sì, The Graveyard è interactive fiction.
Questo porta il discorso decisamente avanti.
Hai efficacemente trovato due componenti fondamentali per dirimere molte delle questioni su cui si dibatteva e che sono emerse in modo forte a seguito del post su Graveyard.
Personalmente mi sento di condividere la macro-categoria interactive entertainment ma come ho espresso sul forum il termine entertainment forse nn rende appieno giustizia al videogioco inteso come medium.
Sicuramente il termine connota ciò che fondamentalmente distingue il videogame da altri medium interattivi a schermo ma su questo preferirei essere più preciso.
La discriminante da altre forme espressive potrebbe essere a mio avviso l’intentio autoris di creare un’opera pensata per essere fruita con un approccio ludico (si veda callois) da parte dei destinatari.
Detto questo le componenti if e vg possono orientarci all’interno della categoria interactive entertainment, soprattutto la seconda però andrebbe definita meglio perchè allo stato attuale possiamo descrivere efficacemente molti titoli ma non copriamo i civilization o i sims/simcity ad es.
detto questo, complimentoni per l’articolo
Mah, che Myst sia IF addirittura in senso pieno non mi sconfinfera. La narrazione c’è ma è estremamente rarefatta, ogni Era prevede un’esplorazione quasi archeologica di un mondo immoto che porta alla scoperta di ciò che è stato, oltretutto finalizzata più che altro a capire come si risolvono i puzzle; le sequenze in cui incontriamo personaggi si riducono quasi solo all’inizio e alla fine (fa una parziale eccezione Myst IV in cui il medaglione ci permette di visualizzare le tracce mnestiche di determinati luoghi, ma resta una forma di scoperta archeologica).
Mbof, mbof-
Grazie mille per i contributi; i due appunti che avete rilevato li condivido in pieno.
Da una parte volevo sostenere una tesi efficace, dall’altra volevo scriverla subito; avrei dovuto spenderci più tempo. Però sono comunque contento che avete rilevato subito i punti deboli del discorso, che chiaramente deve essere corretto e ampliato.
Proviamo qua:
1. Myst: quello che ha scritto Lamb-O mi rende particolarmente felice perché dimostra che la teoria è perfettamente comprensibile e può funzionare; è giusta e pertinente la tua obiezione. La componente “ludica” (puzzle) in Myst riesce a essere in qualche modo “slegata” dalla componente narrativa, che tra l’altro come osservi è “estramamente rarefatta”. Si tratta comunque di un titolo piuttosto particolare, ma all’interno di questa teoria mi sento di dare ragione a Lamb-O (tra l’altro, notare il “verrebbe da dire” che ho scritto; non ero così convinto proprio riguardo a Myst).
2. I gestionali: mentre scrivevo ero sempre tentato di affrontarli in questo discorso, ma ho rimandato per motivi di spazio e di tempo e anche qui ho fatto male. Anche qui sono davvero entusiasta che il primo commento abbia messo in luce questa mancanza, significa che bene o male a livello comunicativo l’articolo è valido e vi ringrazio per l’interesse che avete dimostrato.
Dobbiamo tentare di inquadrare i gestionali all’interno di queste due categorie. O forse no? Ci sarà modo di riparlarne, magari sul forum.
Nel frattempo provo a farlo qui. Mi sento di dire che un Civilization può essere IF, se consideriamo che il contesto storico si evolve in base alle nostre azioni. D’altra parte la componente ludica è presente in dose massicce sotto una categoria che viene definita “strategica” (o gestionale appunto).
Per tentare di dare validità al discorso ho appunto scritto alla fine che esistono vari tipi di gioco e vari tipi di fiction.
Ma dov’è la storia in The Sims o Sim City? Corrisponde alle nostre azioni, non è prefissata: possiamo chiamare questo tipo di narrazione “user generated storytelling”? L’autore/cretore/programmatore non può prevedere il suo svolgimento. E’ quindi veramente una “narrazione”? Non in senso stretto, ma sicuramente è fiction.
3. Questa invece è un’autocritica alla mia stessa tesi. Fino a che punto la storia in un videogioco può essere retta da azioni, simboli, eventi ed immagini senza l’ausilio di una narrazione “linguistica” (testuale, verbale etc)?
Proveremo a scoprirlo insieme.
Nel complesso sia qui che sul forum sento che forse staremo un po’ barcollando, ma nella direzione giusta.
si può parlare di “narrazione interattiva”? voglio dire, narrazione consiste narrare, appunto, una vicenda -inventata o meno-, il che implica che colui che segue debba farlo in modo passivo… poiché altrimenti non starebbe più seguendo la narrazione ma vi starebbe partecipando.
una serie di sequenze non-interattive sono classificabili come narrazione, ma -come dici tu- è una narrazione inserita a forza in un contesto interattivo.
in alternativa, un gioco che permette di modificare con le proprie azioni il corso degli eventi, si può considerare “narrativo”?
so che può apparire un discorso inutile, ma pensiamoci bene:
-il primo caso è quello di una narrazione vera e propria, prestabilita, che il giocatore deve solo seguire tradizionalmente
– nel secondo caso non possiamo parlare più di una storia che viene narrata, ma di un’esperienza virtuale nella quale il fruitore è parte attiva, qualcosa di completamente diverso dal classico concetto narrativo.
credo che sia abbastanza interessante…
Mmm, interessante evoluzione del discorso, AIO (ti da’ fastidio se continui a chiamarti così? :D).
Comunque non credo che andranno “inventate” ex novo meccaniche inedite, ma semplicemente credo che andrà potenziato l’impatto comunicativo del contesto.
Ritornando a The Graveyard, un sapiente uso del bianco e nero, una sufficiente caratterizzazione del cimitero, e i movimenti difficoltosi dell’alter ego sono bastati a creare l’immedesimazione con la vecchina.
Quetzacoatl:
niente è inutile (raggiungici nel topic contenitore
http://arsludica.org/forum/index.php?topic=1544.msg19467#new), e se ti capita sottomano l’ultimo numero di GamePro vedrai che Randy Smith nella sua column parla proprio di questo aspetto “autoriale” del videogioco.
Ovvero, se il creatore dell’opera interattiva non può prevedere come essa prosegue, si può comunicare un’estetica precisa? E tu sulla stessa scia aggiungi, si può narrare davvero?
Certo che sì, io dico che i videogiochi sono spesso molto limitati nelle meccaniche, quindi il programmatore sa esattamente quello che faremo e come lo faremo.
L’estetica dell’interazione va compresa…
Da qualche parte ho letto che gli sviluppatori devono dare al giocatore dei pennelli e dei colori in mano per permettergli di dipingere su una tela bianca.
Questo esempio non vale assolutamente per la maggior parte dei giochi.
Può valere forse per un Sim City (che parte da una tabula rasa) e per altri titoli “creativi”, ma in genere quello che fanno gli sviluppatori è metterci su un’auto in un circuito dandoci delle istruzioni (cartacee o tutorial) per guidarla.
Secondo me la bellezza di un’esperienza interattiva sta proprio nell’imparare a guidare.
Io avrei citato anche un Lost Odyseey.
Bravo Morandi, come sempre tra l’altro. Il titolo di IL Morandi ti verrà calzato d’ora innanzi.
Ottimo articolo Mario, era quantomeno necessario. Volevo rispondere a Quetzalcoatl: la narrazione interattiva può avere diversi livelli di interazione che, a scelta del game designer, può influire più o meno sul corso della storia di gioco. Se nel caso di Shenmue e Resident Evil 4, coi famigerati QTE, ci si rende partecipi di scene d’azione perfettamente integrate nelle scene di intermezzo, in giochi come Fahrenheit o Mass Effect, alcune risposte nei dialoghi possono variare il corso della narrazione (anche se ancora non esiste un gioco che permetta stravolgimenti).
A tal proposito mi vengono in mente le storie a bivi di Topolino (ve le ricordate?), in base alle scelte che il lettore compie, si va avanti seguendo una differente strada, ma è una strada narrata e già scritta, solo che non è più lineare. Questa è comunque narrazione interattiva, non trovi?
Grazie Joe, non so quanto sia necessario ma almeno in questo modo si creano spunti di dibattito interessanti.
Infatti, come dici tu, le storie di Topolino a bivi (bellissime) o anche i Libro-game erano interactive fiction, e appunto considero l’IF come una componente delle produzioni multimediali interattive.
Una componente che spesso viene sottovalutata, o fraintesa… Esattamente come hai detto non esiste ancora un gioco d’avventura che permetta stravolgimenti, ma se pensiamo a simulazioni come Civilization, Sim City, o the Sims si ha un tipo di “storia” che dipende da quello che fa l’utente.
Allora preparo l’invito anche per Joe alla prossima tavola rotonda online, eh? 😀
per il discorso sulla narrazione interattiva ti consiglio di tenere d´occhio ´heavy rain´ che, secondo me, sara il punto di riferimento per il futuro