Wayne non è un personaggio, è un cliché, al massimo una metafora.
Wayne è l’umanità tutta, ancora una volta cattiva ed invadente, ricacciata indietro dagli Akrid e costretta a battersi per una palla di ghiaccio nello spazio, ultima sua speranza.
Wayne è una metafora perché la sua energia vitale, eternamente in calo e sottolineata da una colonna sonora industriale, incalzante, quasi monotona, rappresenta la precarietà stessa della sua specie appesa con disperazione ad una non-vita su un pianeta inospitale ed ostile.
Il mondo circostante sembra quasi non avere valore. Monocromatico, immerso nelle nevi, nulla in esso è interessante se non il rosso acceso degli Akrid, al tempo stesso un segnale di salvezza e dannazione per la razza umana. Il contesto è annullato, al massimo è archittettura funzionale per l’ennesimo scontro con la prossima architettura di carne pulsante che ci vuole morti, fuori dal pianeta, via. Gli ambienti ostili esprimono l’urgenza di fondo che permea nel gameplay: non c’è tempo da perdere, bisogna agire, procedere, valorizzare al massimo le limitatissime risorse a disposizione. Sopravvivere.
Gli ambienti sono vasti, monumentali, come le creature che affronta Wayne. Lui ed i suoi simili spariscono confrontati con gli scaloni immensi, con le montagne quasi lovecraftiane, le caverne che albergano creature da incubo. Incedere negli spazi aperti è lento per sole questioni di prospettiva e proporzioni. Tutto sembra vicino, tranne scoprire che tra noi e il prossimo, gigantesco, obiettivo ci sono distanze sconfinate ed insidie inimaginabili.
La lotta è impari. Sempre. Anche armato sino ai denti, Wayne è costantemente ad un passo dalla morte, accerchiato dai nemici più piccoli, minacciato da guardiani colossali anche quando un esoscheletro potenziato lo illude di star avendo la meglio. Se poi riesce a guadagnare un attimo di calma sarà il Pianeta stesso a reclamare la sua vita, con il suo inarrestabile gelo che consuma tutte le creature viventi. Tranne gli Akrid.
Seppure con le sue pecche, Lost Planet rimane uno dei più indimenticabili e simbolici action game per le console di nuova generazione, semplice nell’idea, quasi criminale nell’economia della realizzazione, maturo negli stilemi e nell’art direction, un esempio tipico del game design giapponese più classico.
Ho preso qualche mese fa la versione “Colonies edition” ma non ho ancora avuto tempo… A sto punto mi è venuta l’acquolina in bocca!
A me è piaciuto proprio in virtù dello stampo spudoratamente arcade.
E poi ci sono dei boss spettacolari, che Capcom non ha mai mostrato negli screen.
Si, i boss sono una delle cose migliori,ma è bello anche per come alterna fasi a piedi e fasi a bordo dei veicoli.
Online è divertente.
Peccato che non spicchi mai il volo!
Gioco che ho odiato ed amato… forse abbandonato troppo presto. Credo che lo riprenderò dopo le feste… al momento sono troppo focalizzato su Mass Effect per concentrarmi su altro…
Gioco frustante nelle vaste aree, quando senza un mezzo – causa distruzione totale dello stesso, si è costretti a “camminare”. Quindi non abbandonatelo mai a meno che non siate costretti.
Armi e mezzi ben progettate. Boss ben fatti, soprattutto l’ultimo mi è piaciuto molto…
Emanuele “Emack” Colucci wrote:
Concordo. Finito sabato sera, mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Il fatto che interi livelli si potessero terminare senza sparare un colpo ma raggiungendo semplicemente l’uscita è una di quelle cose che ammazza la sfida (ammesso che uno lo stia cercando).
Per il concetto jappo arcade, invece, potrebbe benissimo esserne un manifesto. Su quello, niente da dire.