The last of us will be the first of them

The-Last-of-Us

In quei giorni l’hype dilagava, e la trepidazione cominciava a spargersi a macchia d’olio tra i possessori di Playstation 3, che come tutti i videogiocatori (e non solo) conoscono il peso del carico, carnale e fumante, dell’aspettativa. Il luogo da cui esplose l’infezione era il covo californiano dei cani disubbidienti, “Naughty Dog“, già conosciuti per aver regalato alcuni importanti capitoli di storia del gameplay, e che tanto lavoro, fiducia e soprattutto soldi hanno investito in quest’ultimo progetto. Oggi, a più di dieci giorni dalla fine del periodo di incubazione del virus e dall’ eclatante manifestazione dei suoi effetti, possiamo finalmente osservare The Last of Us e studiarlo nella sua (reale) portata.

Ormai le recensioni sono molte, amatoriali, professionali o pseudo-professionali, pertanto non mi interessa passare in rassegna vizi e virtù del gioco timbrando in calce un bel voto perentorio che faccia contenti (quasi) tutti.
Io ho portato a termine l’avventura qualche giorno fa, ed il primo pensiero che mi è balenato nella testa dopo l’ultima, monosillabica e per niente assolutoria, battuta dello script è stato:
Cavolo, il miglior film che abbia visto negli ultimi tempi…è un videogioco“.

Tuttavia, il mio pensiero è sbagliato, non nella sostanza, ma nella forma.
The Last of Us non è un film, piuttosto è (e spero resterà sempre) un videogioco di gran qualità per diverse ragioni: l’innovazione e la varietà del gameplay, la cura per il design e per il comparto grafico, il multiplayer, divertente quanto basta, ma soprattutto per l’aspetto narrativo e la caratterizzazione dei personaggi. Ma per quanto quest’ultimo punto possa essere realizzato bene e possa ricordare film, serie tv, libri o quant’altro, ed indurre i giocatori a pensieri devianti come il mio, The Last of Us non è un film.
Il gioco infatti propone un nuovo genere di narrazione, sempre più ibrida, sempre più legata al mezzo videoludico, poiché se la storia attinge a piene mani dallo sterminato panorama dell’ horror-drama post-apocalittico a base di zombie di cui una serie tv come The Walking Dead ha guidato il revival, è il modo in cui viene raccontata che colpisce, e soprattutto la consapevolezza che al cinema, in tv, su un fumetto o su qualsiasi altro canale, nessuno avrebbe potuto raccontarla allo stesso modo.
Ma andiamo con ordine.

Il lungo viaggio attraverso le terre infette e selvagge degli Stati Uniti compiuto dai due protagonisti, il rude ma fragile Joel e la giovane ma agguerrita Ellie, è scandito da diverse tappe, o per meglio dire “capitoli”. La struttura narrativa del gioco è infatti quella tipica dei telefilm contemporanei: una storyline orizzontale che si dipana e si dilata lungo una catena di eventi nel tempo che costituiscono ciascuno per sé una sorta di micro-storia autonoma in una cornice più grande. Inoltre, piccola curiosità, c’è anche un leader pazzo e sanguinario di una comunità di sopravvissuti che ricorda il Governatore del già citato The Walking Dead.

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Le tante prove di sopravvivenza cui il giocatore, attraverso i personaggi, è chiamato a superare innescano inevitabilmente una reazione nel profilo psicologico dei personaggi e nelle loro dinamiche relazionali.
L’evoluzione c’è, e si vede.
I due protagonisti, così come gli altri personaggi che gravitano nella loro orbita, non sono pertanto i classici personaggi monodimensionali che popolano le storie raccontate dai videogames (mi riferisco ad esempio alla simpatica piattezza di Nathan Drake o di qualunque altro macho videoludico) ma dimostrano, almeno gran parte di loro, uno spessore degno della migliore scrittura audiovisiva; sono dei veri e propri alfieri dell’estetica borderline necessaria a renderli credibili e verosimili in un mondo violento e realistico come quello in cui è ambiento il gioco. Sull’altro versante il rapporto che si instaura tra Joel ed Ellie non è per nulla melenso o banale, e poggia sempre, per tutta la durata dell’avventura, sul conflitto tra i due, che tuttavia si risolve inevitabilmente nell’affermazione della loro complementarità, visto che entrambi hanno perso qualcuno o qualcosa e sono alla disperata ricerca di un “aiuto” che riempia questo vuoto, inseguendo questo obiettivo che è il vero senso del loro viaggio disperato.
Ma fin qui, tutto questo potrebbe risultare la descrizione dell’ultimo film visto al cinema.
Il vero punto di forza di The Last of Us consiste nel raggiungimento di una perfetta sinergia tra la storia ed il gioco, in cui l’una assiste l’altro, in modo analogo a come fanno Joel ed Ellie nel corso dell’avventura. La cornice narrativa in alta definizione in cui siamo immersi fin dal bellissimo prologo fornisce una fortissima spinta emotiva ed immersiva a guidare il nostro “avatar” lungo il percorso prestabilito dagli sviluppatori, senza grandi deviazioni, mentre il gameplay, nonostante i necessari massacri di turno, riesce ad integrarsi magnificamente con la vicenda umana raccontata attraverso le intense e mai prolisse cut-scenes ed i perfetti dialoghi in-game. Insomma, a differenza di molti altri giochi in cui si è accompagnati da personaggi guidati dalla macchina, nemmeno una volta sono stato spinto dalla frustrazione o dalla noia a puntare (inutilmente) l’arma contro i miei alleati, poiché nonostante la loro scarsa intelligenza artificiale, mi ci ero affezionato. Il trucco è proprio questo, tutto sta nel creare un ponte empatico con Joel ed Ellie, in modo che il giocatore sappia sempre “perché” sta facendo qualcosa. E se sicuramente questo non è necessario a “giocare” nel senso più puro del termine, lo diventa nel momento in cui ci viene regalata (a prescindere dai 60€ del gioco) un’esperienza di gioco, che è qualcosa che va “oltre” il gioco stesso e che non può essere riprodotta allo stesso modo da nessun altro schermo, se non quello videoludico, basato strutturalmente su una narrazione interattiva.

Ok.”

Il finale è la ciliegina sulla torta di questa esperienza. Seppure in molto storceranno il naso e dichiareranno di non esserne soddisfatti, sicuramente non lascia indifferenti, cosa che di per sé è già un bene. Secondo la mia opinione è uno dei finali più riusciti dell’intera storia dei videogames proprio per la sua atipicità: non propone un classico e convenzionale happy ending, ma neanche una conclusione negativa; non è un finale chiuso, ma allo stesso tempo non può essere definito un finale aperto con la proverbiale “trottola che gira” (ed infatti i creatori del gioco hanno affermato di non avere in programma sequel che proseguano sulla stessa storyline).
The Last of Us, e non farò spoiler, si chiude sull’ambiguità, narrativa e morale, la stessa che percorre trasversalmente l’intera storia e che in un certo qual modo (non) si risolve nel bellissimo e spiazzante finale. Ambiguità che fa rima con complessità, perché The Last of Us è proprio questo: un’esperienza di gioco complessa nel racconto e nel gameplay pur muovendosi nel solco del mainstream, e che va presa come tale, senza compromessi, e che apre nuove, curiose ed esaltanti prospettive nei futuri scenari del videogiocare e dello storytelling applicato al gaming.

9 commenti su “The last of us will be the first of them

  1. Grande!!! Temevo una recensione di mr.Rudd in cui si ciritcava il titolo perchè la trama era banale e bastava leggere un libro di C.Mccarthy per trovarne una simile e che a livello di “coregameplay” era meglio la mod sulla batrachiomachia di red orchestra.
    Bellissimo articolo.

  2. Rud con due d mi fa molto Judge Dredd, bello
    Non ho una ps3, non potrei recensire TLoU
    Red Orchestra non mi piace

  3. Grazie per l’incoraggiamento, e grazie per aver destato in me la voglia di rileggere Mccarthy, giocare a Red Orchestra (quando avrò un pc degno di questo nome), rivedere Judge Dredd e soprattutto finire Bioshock 2 una volta per tutte (ma questo forse ha poco a che fare con i commenti).

  4. A che me Uncharted non piace (per usare un eufemismo) consigli di provare a giocarci ?
    In particolare, c’è del gioco o è solo trama e QTE?

  5. Assolutamente giocaci, il “gioco” c’è, è molto, ed è anche abbastanza vario, longevo ed impegnativo.
    La trama ed i QTE ovviamente hanno la loro sostanziosa parte nel gioco, ma a differenza di Uncharted sono molto più curati nella sostanza e per nulla ingombranti, anzi sono integrati alla perfezione con il gameplay (Si chiama The Last of Us, non Heavy Rain). Ovviamente non è un gioco per cui ti consiglierei di saltare le cutscenes o tapparti le orecchie durante i dialoghi: storia e gameplay sono complementari e vanno presi in un unico pacchetto, ma, ripeto, ne vale davvero la pena.

  6. Mmm..devo dire che questo lavoro mi ha sorpreso, d’accordo su molti punti e felice di leggere una buona critica; devo però aggiungere che The last of us aveva gia precedentemente ferito la mia sensibilità in quanto l’ho considerato come “nemico a prescindere” da quando ho saputo che sarebbe stato disponibile solo su PS3 …

  7. Alla fine l’ho preso. Appena finito:
    Il gameplay è composto di 3 parti reiterate alla nausea:
    1 – Enigma sulla terraferma in cui devi trovare una scala.
    2 – Enigma nell’acqua in cui devi trovare un pezzo di legno per far attraversare la ragazza
    3 – Sparatoria

    Ma dopo aver provato qualcosa del livello di Half Life 1 o 2 in cui ci sono idee di gameplay nuove ogni 10 minuti, come può piacere questo gioco?
    Spettacolare il comparto tecnico, ma cazzo il gioco è tutto composto dai 3 punti ripetuti alla nausea.
    E anche la trama, dopo aver giocato a The Walking Dead, non mi ha scalfito minimamente.
    Beati vei che vi è piaciuto 🙂

    PS ma perchè investono/sprecano tutte queste risorse per fare centinaia di ambientazioni diverse che magari vedi solo per pochi secondi e poi fanno solo 4 tipi di nemici?

  8. Se facessero un film FIGO mi piacerebbe, ma dovessero stravolgerlo per creare una stupidata come fanno di solito, allora preferirei rimanesse gioco

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