Prodotto da Interplay | Sviluppato da Black Isle Studios | Piattaforme PC, Mac | Pubblicato nel maggio 2000
Dubito che, dei tanti generi videoludici attualmente codificati, ne esista uno sottoposto a dispute ontologiche più degli RPG. Le filosofie di fondo dei titoli più illustri, infatti, differiscono come non accade altrove: un platform in linea di massima può essere jump & run oppure no ma non pone altri problemi, un picchiaduro può essere a incontri o a scorrimento (e volendo non si tratta nemmeno di variazioni dello stesso genere, ma proprio di due generi diversi) e morta lì. Parlo solo di classificazioni di genere naturalmente; non disconosco le differenziazioni interne che, per quanto significative, sono di definizione meno coesa.
L’ontologia degli RPG, invece, è clamorosamente dibattuta: devono favorire la narrazione o esaltare la libertà d’azione? Devono essere frenetici o compassati? Devono incentivare la lotta o l’interpretazione? E’ giusto che si possano incontrare mostri di livello più alto del proprio (anche di molto) o dev’esserci piuttosto un adeguamento a quest’ultimo? I JRPG sono RPG? e così via.
La faccenda si mostra nella sua oscurità nel momento in cui, a tutt’oggi, si trovano siti che classificano persino Diablo 2 come RPG, e lo stesso per il qui presente e coevo Icewind Dale. Approfondiamo meglio.
Uscito sulla scia del fenomeno Baldur’s Gate, questo titolo ne riprende le regole basate su AD&D, l’ambientazione (i drammaticamente poco interessanti Forgotten Realms che, al pari della maggior parte delle ambientazioni di D&D, testimoniano dell’estrema difficoltà che si incontra oltreoceano nel costruire un immaginario medievaleggiante – le copertine dei romanzi di Salvatore & co. mi ricordano tanto i filmati di importazione usati da Roberto Giacobbo in Voyager, detto fuori dai denti) e l’engine: il famigerato Infinity, tanto magistrale nella rappresentazione degli ambienti quanto povero in quella dei personaggi, riconoscibili quasi solo per l’equipaggiamento che hanno indosso, per tacere della coreografia degli incantesimi all’insegna del riciclaggio. Ma non divaghiamo.
Dall’illustre progenitore eredita la linearità decisamente spiccata, la struttura a base di sezioni con tanto di boss finale e di hub in cui tornare per ristorarsi e fare compravendita (in questo caso Kuldahar, villaggio caloroso nella morsa dei geli di Icewind Dale, minacciato dall’ennesimo oscuro male), ma ne differisce per l’enfasi ancora maggiore data alle botte: pochissime e di nessuna difficoltà le quest diplomatiche e completa assenza di compagni da reclutare per via – bisogna costruire da zero il proprio party di non più di sei personaggi (ma è molto più divertente e, alla lunga, conveniente farne al massimo quattro) e stabilire un leader, che ovviamente prenderà per sé il grosso dei punti di carisma. Gli altri saranno il suo muto codazzo, e persino l’allineamento serve solo a interdire l’uso di alcuni oggetti magici. Il combattimento, come sempre, si basa sull’assegnazione di comandi via mouse – impartibili anche in pausa – e sulla lettura ossessiva di tutte le azioni nel log in basso.
Prima accennavo a Diablo 2, e non a caso. Un errepigista abbastanza conservatore come il sottoscritto infatti tende a inorridire di fronte alla definizione di RPG data a quest’ultimo e a esclamare: ma no, è un hack & slash, è un ammazzamostri pigiapigia la cui essenza sta nel clic logorante, nell’ossessione per la build perfetta e nel massacro indiscriminato del male del mondo nelle sue mille forme, nella cooperazione e competizione multiplayer. Non diciamo eresie.
Ma anche nel definire RPG un titolo come Icewind Dale ho un fremito, nonostante non rientri nei canoni dello hack & slash – il reperimento degli equipaggiamenti non è così aleatorio, il concetto di build scompare di fronte alla rigidezza delle classi di AD&D, e poi basta cliccare e i personaggi menano da soli. E tutto sommato i dialoghi sono un po’ più approfonditi, possono perfino dare esperienza. Ma non è possibile nemmeno ritenerlo un action RPG, visto che quest’ultimo sottogenere tende a presupporre un controllo sul personaggio più diretto.
Dovrei forse considerarlo un aborto di RPG e snobbarlo, eppure mi diverte più di Diablo 2 e, fatto più strano di tutti, lo fa in modo piuttosto simile a quest’ultimo.
Nell’ansia definitoria che mi prese ebbi un’epifania: Icewind Dale è un hack & slash semiautomatico, che rende la soddisfazione del pestaggio dei mostri potendo scegliere le azioni con comodo senza smanettare febbrilmente tra i menù e senza estenuare il dito indice sul tasto sinistro del mouse. E senza doverti far scegliere fra mille abilità ma solo fra una manciata di classi, ponendo l’enfasi su un utilizzo relativamente tattico delle stesse.
E presa per quello che è, è una formula che non funziona per niente male.
Nota all’acquirente: Icewind Dale è disponibile in varie raccolte a prezzo stracciato. Tuttavia, come da migliore tradizione Black Isle/Obsidian, le espansioni superano nettamente per qualità la campagna originale (Baldur’s Gate 2 è la sola eccezione).
Pertanto è consigliabile procurarsi anche Heart of Winter (ma ormai è quasi sempre incluso) e scaricare Trials of the Luremaster, seconda espansione elargita gratuitamente dagli sviluppatori in forma di patch (potete trovarla qui).