Paolo Pedercini è il fondatore de la Molleindustria, realtà che intende affermare una nuova attitudine nella creazione di videogiochi, in modo tale da contemplare contenuti (quali critica sociale, politica intelligente) oggi poco considerati dal sistema dell’entertainment mondiale. La Molleindustria propone un videoludo perfettamente consapevole della propria capacità di esprimere un sistema culturale di valori e si propone di esplorarlo, fin nei suoi più reconditi recessi.
Ciao Paolo, raccontaci qualcosa di te e di come sei arrivato alla creazione della Molleindustria.
Dopo alcuni anni di militanza politica tradizionale ho capito che il principale problema dei gruppi e partiti progressisti fosse quello di non riuscire ad intervenire sul piano della cultura pop. Ho abbandonato alcune attività e mi sono ritrovato con un po’ più di tempo libero, così ho pensato di riprendere in mano la vecchia passione dei videogiochi che avevo del tutto abbandonato dopo la terza superiore.
Nel manifesto, esprimi la necessità che “alla critica teorica si debba necessariamente affiancare una pratica alternativa di game design. Perché i videogiochi non sono intrinsecamente ‘armi di distrazione di massa’ ma hanno un immenso potenziale espressivo e comunicativo ancora da scoprire“. Dopo oltre due anni, ritieni di aver raggiunto dei buoni risultati in questo senso?
In generale penso ci siano stati dei notevoli passi in avanti negli ultimi anni riguardo la comprensione dei videogiochi. Sono apparsi tanti titoli che hanno costretto giocatori, critici e persino giornalisti a prendere sul serio il bistrattato medium. Solo la classe politica italiana è ancora impantanata sul famigerato binomio violenza & videogame, ma ho fiducia che nei prossimi decenni le cose cambieranno anche su quel fronte. Più che altro cambieranno i politici. Essendo tutti ultracinquantenni moriranno abbastanza presto. Per quanto riguardo le pratiche alternative di game design ho visto veramente pochi buoni esempi di giochi “con finalità persuasive” che tentino di esprimere un messaggio attraverso un gameplay originale. Quindi la risposta è no.
Secondo la tua esperienza, qual è il percorso che parte dal concepimento di un’idea ed arriva alla concretizzazione di un videogioco?
Faccio tanti schemini su fogli volanti e li cestino man mano che le cose vengono implementate. Per il McDonald’s videogame ho iniziato a fare mucche senza avere veramente un’idea complessiva. Penso sia una versione un po’ più punk dell’Extreme Programming o qualcosa di simile al fast prototyping proposto dall’experimental game project. In media impiego un tempo infinito visto che attualmente 9 giochi su 10 rimangono vaporware. I giochi sono fatti in flash che è facile, divertente, compatibile su tutte le macchine e non ti costringe a trasformarti in un geek per far muovere due sprites.
Reputo, dal mio punto di vista, che la tua produzione dedicata al “sistema” McDonald’s sia tra le più interessanti: esplicita quanto lo stile di vita occidentale pesi sul resto del mondo, quanto malsano per la società possa risultare un modello economico. Ad esso hai persino dedicato un sito a sé stante. Credi di aver sufficientemente diffuso il tuo messaggio? E qual è stato il feedback relativo?
Credo di sì. Pensavo fosse un gioco troppo complicato o noioso (io non son mai riuscito a giocarci per più di 5 minuti) e invece è stato molto apprezzato. E’ stato tradotto volontariamente in 9 lingue e ripubblicato in un sacco di siti. Piace alla maggior parte dei casual gamers, agli appassionati di arte elettronica e agli addetti del marketing. Alcuni insegnanti lo usano nelle classi per introdurre i temi della globalizzazione, qualcuno lo scambia per un advergame vero. Sono persino andato ad una conferenza in UK invitato per errore come rappresentante della McDonald’s.
Il ciclo di produzione mostrato nel tuo header si fermerà mai?
Non c’è scampo, il ciclo della produzione immateriale rimarrà strategicamente centrale per molti anni a venire. Il punto non è fermarlo ma creare e difendere sfere di produzione comune non soggette (o meno soggette) al controllo del capitale. Ovviamente il capitale si adatterà alle nuove condizioni ed emergeranno nuove forme di sfruttamento ma nel frattempo ci saremo divertiti. Ecco spiegato un po’ sinteticamente il Senso Della Vita.
Che ne pensi dei “people games” sognati da Chris Crawford? Si avvicinano un po’ alla tua visione di videogioco?
Crawford è sicuramente uno dei personaggi più importanti e geniali della storia dei videogiochi. Il suo approccio “umanistico” al game design è ammirevole ma penso che il suo lavoro di ricerca nell’ambito dell’interactive storytelling sia completamente fuori fuoco. Crawford sogna videogiochi che riescano a rendere conto di tutto lo spettro dell’esperienza umana, giochi in cui finalmente abbiano un ruolo centrale i sentimenti, le passioni e le emozioni. E’ una prospettiva affascinante ma dubito che sia realizzabile nel breve termine.
I giochi, i videogiochi e le simulazioni sono insiemi di regole, possono dare vita a rappresentazioni estemamente complesse ma, a meno che non ci sia l’interazione di più persone (e in quel caso si entra nell’ambito del social software) riescono a modellizzare più che altro sistemi deterministici.
I videogiochi devono necessariamente scontare la loro natura algoritmica, ogni comportamento deve essere reso attraverso set di istruzioni, ogni elemento deve essere espresso da numeri o equazioni. La quantità prevale sulla qualità ed è difficile nonché deprimente ridurre in codice la complessità di emozioni, desideri e sentimenti. La cosa più umana e sentimentale che un computer può fare è sparare un numero random.
Questa mattina stavo giusto smanettando su una piccola simulazione di mercato del lavoro precario (parte di un gioco che probabilmente non verrà mai finito). Apparentemente si direbbe qualcosa di abbastanza freddo, ma man mano che lo implementavo mi accorgevo delle infinite variabili che avrei voluto considerare. In base a quali parametri i miei ometti virtuali avrebbero accettato un’offerta di lavoro? C’è il bisogno di reddito ma c’è anche una forte componente che riguarda il desiderio, le ambizioni, le aspettative di consumo e lo stile di vita. Ognuna di queste componenti dovrebbe essere codificata, numerizzata e calcolata in base a fattori ambientali. Per non scadere nell’appiattimento statistico a la SimCity dovrei rispettare le differenze dei singoli soggetti. Un omino dovrebbe comportarsi in maniera diversa in base al sesso, all’età, all’estrazione sociale o al fatto che è un immigrato clandestino.
Se una simulazione sociale/economica crea tanti problemi figuriamoci quelli che si dovranno affrontare quando si entra nel dominio delle passioni e delle relazioni umane.
Crawford sognava un gioco sull’innamoramento fra due ragazzi. Quelli della Rockstar hanno provato ad inserire questa componente in Bully. Comprensibilmente non hanno potuto trascurare la cotta in un gioco basato su un percorso di formazione di un adolescente ma la rappresentazione che ne hanno tratto è gelida, computazionale ed assolutamente ridicola. I meccanismi alla base del “motore sentimentale” di Bully sono cose tipo: fai colpo su una ragazza se regali un mazzo di fiori e dai tre baci e ti vesti con un fattore eleganza pari a 6. Ogni ragazza col flag innamoramento settato su “true” può essere baciata non più di 4 volte al giorno ed ogni bacio aumenta l’energia di 12 punti. Non sono affatto preoccupato per la violenza del gioco, penso sia molto più diseducativa questa rappresentazione strumentale e superficiale dei rapporti affettivi.
Chris Crawford sogna giochi sull’onore, sul sacrificio, su amori passionali ed eterni, su uomini che incontrano la verità su una strada polverosa a mezzogiorno, su prostitute dal cuore d’oro. Forse non si è mai accorto che esistono già romanzi, fumetti, film e performance teatrali che riescono a raccontare perfettamente queste cose.
Penso che dovremmo renderci conto che ogni mezzo di comunicazione ha limiti e potenzialità e che esiste una distanza incolmabile fra ciò che è narrativo e ciò che è ludico/processuale. I giochi possono essere arricchiti da cornici narrative molto complesse ma si tratta di storie abbastanza autonome dai meccanismi ludici. E’ possibile appiccicare una buona storia ad un qualsiasi gioco d’azione o trasformare un racconto lineare in qualcosa di vagamente giocabile (avventure grafiche, interactive fiction). Ma appunto non si sta più parlando di giochi nella loro specificità.
Hai mai pensato di fondare (o di entrare in) una software house per sfornare titoli desinati al mercato commerciale?
Ci penso spesso, ma l’obbiettivo non dovrebbe essere il mercato commerciale comunemente inteso. Dal momento che i giochi dovrebbero avere un intento politico non ha senso venderli come prodotti. Finirebbero (forse) per diventare una nicchia ed essere (forse) comprati solo da chi già la pensa in quel modo. Sto riflettendo su forme di finanziamento dal basso che preservino la gratuità e libertà di diffusione consentendo qualche forma di sostenibilità economica.
Come si muoverà la Molleindustria nel futuro? Quali sono i progetti in cantiere?
Solo oggi ho cambiato idea due volte riguardo a questo punto (il futuro).