The Legend of Kyrandia – Book Two: The Hand of Fate | PC MS-DOS: 1993 / PC CD-ROM: 1994
Più che del seguito, questo secondo “libro” della saga di Kyrandia ha il sapore dello spin-off: pochissimi gli accenni alle vicende passate, e l’unico raccordo dato dalla ricomparsa di alcuni personaggi e segnatamente della protagonista, l’alchimista Zanthia. L’introduzione preannuncia oltretutto una decisa (e sempre più marcata, fino agli estremi farseschi del terzo episodio) virata verso il demenziale e il paradossale: una nuova emergenza minaccia la terra di Kyrandia nella forma della sua progressiva sparizione, del lento e graduale collasso del suo stesso destino. I Mistici regali non sanno raccapezzarsi e si rassegnano ad accettare l’intervento dell’avventuriero Marko e del suo compagno, la Mano (letteralmente una mano guantata e semovente alta quasi quanto un uomo): con un entusiasmo giustificabile solo da una tacita ammissione di inettitudine accolgono il piano di quest’ultima, consistente nel recuperare un’ancora magica e di portarla al centro della terra. Senza che si muova un fiato la Mano sceglie per la missione proprio Zanthia, la più giovane e inesperta dei Mistici, che deve subito far fronte a un tentativo di sabotaggio: qualcuno ha messo a soqquadro il suo laboratorio nella palude, e qui inizia l’avventura anche per il giocatore.
The Hand of Fate riprende le caratteristiche fondamentali dell’episodio precedente, limandone alcune asperità: l’interfaccia è sempre costituita dal punta e clicca ai minimi termini che avevamo già descritto, ma gli ambienti ora sono decisamente meno dispersivi e più consoni allo standard già consolidato nel genere (la palude, sezione iniziale del gioco e decisamente la più intricata, non fa affatto sentire il bisogno di disegnare una mappa), la capienza dell’inventario ha subito un salutare raddoppio (nelle immagini si vedono solo dieci spazi ma è possibile scorrerli), la possibilità di sprecare gli oggetti è persino maggiore ma si ha sempre modo di recuperarli, esiste una pur rara necessità di combinare due oggetti in inventario (inesistente nel primo episodio) e le sequenze di morte, finale a parte, sono così telefonate da fare quasi da easter egg. Del resto la protagonista si mostra fin da subito ben più perentoria e adattabile (con tanto di cambi d’abito a tema con uno schiocco di dita) del volenteroso ma ingenuo Brandon, che si lasciava divorare dallo stesso mostro paludoso a cui Zanthia annoda la lingua con ramanzina al seguito.
La novità più importante, al di là dei perfezionamenti di design e dal brusco cambio di atmosfera – accentuato, peraltro, dal fatto che grossa parte dell’avventura consiste in trasferte fuori dalle terre di Kyrandia – sta nelle capacità della protagonista: ben presto avremo modo di mettere mano agli oggetti più importanti dell’avventura, il libro delle pozioni (ancorché mutilato e depositario soltanto di formule poco appariscenti) e il paiolo da viaggio. Il grosso degli enigmi del gioco, infatti, richiede la preparazione della pozione più adatta alla situazione e si riassume nel recupero degli ingredienti, da trascinare poi nel paiolo: alla riuscita della ricetta corrisponde il cambio di colore della base acquosa, e a quel punto non c’è che da riempire le ampolle. Il sistema, visto fra l’altro che gli ingredienti nel paiolo scompaiono e non possono esserne tirati fuori, fa sì che sia sempre in agguato l’errore; ma ovviano al problema la già accennata possibilità di recuperare sempre tutto e la dotazione del paiolo di uno sciacquone (bisogna letteralmente tirare la catenella!) che fa da pratico reset.
Subito si nota come la manipolazione degli oggetti si sia fatta nettamente più elastica e che ci siano diversi modi, tutti rispondenti a plausibilità, di procurarsi un ingrediente: la richiesta nella prima ricetta di acqua calda, per esempio, può essere soddisfatta riempiendo un’ampolla direttamente dal paiolo o da qualunque altra sorgente d’acqua nell’ambiente e usandola con una qualsiasi delle fonti di calore disponibili, dalla candela insettifuga del saggio dei rospi (!) al braciere nel laboratorio di Zanthia.
Un’altra caratteristica del precedente episodio, l’ammassamento di luoghi e situazioni in maniera aleatoria, non solo viene mantenuta ma viene anzi portata al limite, in conformità alla svolta demenzial-fiabesca (più in stile Coktel – si veda la saga di Gobliiins – che non LucasArts, lo ribadiamo) che diventa così una fonte continua di diletto. Le pozioni stesse sembrano talvolta quasi una presa in giro, specialmente la Sandwich Potion che crea due panini imbottiti a partire dal miscuglio delle materie prime (formaggio, grano, insalata, ecc.) o la Skeptic Potion, necessaria a liberare gli abitanti della zona del porto dalla catatonia, ottenuta unendo ogni sorta di simboli scaramantici con tanto di consacrazione presso un altare. Non mancano sibillinità e giochi di parole per quanto concerne gli ingredienti (un semplice fungo non soddisfa la richiesta di un “toadstool”…) e la sperimentazione, già incoraggiata di per sé, viene lautamente premiata. L’esempio più eclatante, sfuggito a diversi giocatori, è quello della bacchetta alchemica: la sua proprietà di trasformare il metallo vile in oro e viceversa, infatti, fa sì che se usata sugli esseri senzienti possa estrarne la “golden truth”, equivalente d’Albione della nostra “pura verità”; ed esprimendo ciò che pensano intimamente forniranno molti indizi utili al proseguimento. Non mancano del resto gag metareferenziali (la ricomparsa a più riprese e nei luoghi più impensati del bastone di legno, ovviamente sempre utilissimo) e incontri bizzarri, da armature vuote parlanti a marinai che riforniscono di mostarda una tribù di cannibali passando per yeti galanti, alberi paurosi, agenzie di viaggio che offrono pacchetti per giungere sulla cima di un vulcano (le cui richieste sono molto tediose e oltretutto completamente aggirabili, decisamente una falsa nota nell’insieme del gioco) e dinosauri di origine minerale dentro il vulcano stesso. La trama si concede persino un’inversione, seppure non certo difficile da indovinare, laddove si scopre che la Mano è la sinistra di un diabolico arcimago smembrato eoni addietro, che il piano dell’ancora non farebbe che accelerare la fine di Kyrandia e che anche il dissolvimento di quest’ultima è una sua responsabilità, avendone sabotato gli ingranaggi nelle Stanze del Fato: proprio qui si svolge il bizzarro ma un po’ frettoloso finale, che comprende un enigma quasi degno di Myst (la celebre torre di Hanoi inversa) e uno scontro finale al sapore di laser game, visto come richiede di cliccare gli elementi giusti con tempismo per spacciare la Mano e ricongiugersi a Marko, personaggio che dà ampia prova di semplicioneria ma con cui una Zanthia in tenuta militare troverà tuttavia l’amore.
The Hand of Fate, per design e direzione artistica (forse meno austera e ricercata rispetto al primo episodio, ma decisamente più interessante) si rivela complessivamente l’episodio migliore della saga, e uno dei maggiori traguardi della concezione avventurosa di Westwood che qui arriva a una piena maturazione – coincidente, è bene sottolinearlo, con il sempre maggiore assottigliamento degli elementi ruolistici nell’ottica di una maggiore ricerca della semplicità di interazione ed elasticità di gioco. Westwood con questo titolo cambia definitivamente pelle, e il risultato è decisamente apprezzabile.
La chiusura della saga si avrà col terzo capitolo; con un nuovo cambio di protagonista, nuovi motivi di interesse e, a parere di chi scrive, anche qualche motivo di perplessità. Ma per questo rimandiamo alla prossima parte.