
Scommetto che molti di voi attendono, se non altro per curiosità, Star Wars: The Old Republic di Bioware.
Essendo un MMOG, è scontato che attorno e dentro il gioco si verifichino dei fenomeni creativi più o meno validi che vadano ad attingere dal lore del gioco e di Star Wars in generale. In fondo è così dai tempi dei MUD: i giocatori più entusiasti amano approfondire ed arricchire il contesto del gioco in cui passano il tempo. Dal lato Bioware, abbiamo da sempre assistito al supporto alla parte più creativa della community dei loro giochi, che non si è limitato a fornire gli editor di contenuti, ma che da sempre vede un gruppo di developer aiutare chiunque chieda consigli o dritte direttamente sui forum ufficiali.
Non nascondo quindi, che mi abbia colpito come una tegola in testa la notizia che Bioware abbia aggiornato i termini di servizio di Old Republic, con una postilla piuttosto inusuale. Dalle loro stesse parole:
For clarification, if you create any Content which is derived from any intellectual property or proprietary rights of LucasArts and/or BioWare (regardless of whether such Content is submitted to LucasArts and/or BioWare) such Content is owned by LucasArts and/or BioWare. You hereby assign all right, title and interest (if any) to such Content and waive any claims that you may have relating to such Content, including, but not limited to, claims for compensation, attribution or any moral rights with respect to such Content.
Bioware non è nuova a limitare l’usabilità dei contenuti generati dai propri giochi: qualcosa di simile era presente anche nelle licenze dei toolset di Neverwinter Nights, si sanciva infatti l’impossibilità di commercializzare il lavoro svolto se non tramite l’eShop di Bioware. In quel caso l’autore avrebbe ottenuto una fetta dell’incasso. Un compromesso accettabile anche se opinabile, visto che per produrre un buon modulo per NWN, toolset a parte erano necessarie anche la creatività dell’autore e decine di ore del suo tempo personale, merce non a buon mercato e molto rara da trovare. Ci furono ovviamente degli errori di percorso, come perseguire chi chiedeva donazioni per continuare a realizzare nuovi moduli, ma alla fine si trovò il compromesso integrando i nuovi asset creati in questo modo nei vari community pack che Bioware distribuisce gratuitamente dal proprio sito.
Lucas, dal canto suo, ha una lunga e triste tradizione di mod fatti chiudere solo perché erano un tributo a Star Wars, e ha una lunga storia di tentate censure anche per quanto riguarda Star Wars Galaxies. Da ultimo, c’è stata la presa di posizione shock di Lucas, che ha imposto a Bioware una censura sul tema dell’omosessualità in Star Wars, anche nelle conversazioni sui forum.
In questo caso però è diverso. Si dà per scontato che una licenza d’uso vessatoria basti per cedere l’intera proprietà intellettuale agli autori del gioco incondizionatamente, compresi i diritti morali.
Probabilmente, il tutto è nato dalla volontà di avere una leva legale per sradicare eventuali gold farmer (ma è dimostrato che basta un game design decente per rendere meno virulenta questa piaga); tuttavia non si può fare a meno di considerare superficiale il valore che l’industria attribuisce al rapporto con i giocatori.

È un problema che ho affrontato in altre occasioni: in un gioco online, con un contesto sociale più o meno importante, come si può demarcare una linea così netta tra quali sono i diritti dei produttori e quali quelli dei consumatori? Se un utente ogni martedì sera organizza degli eventi in un gioco online non offre un servizio di valore agli esercenti? Come può un produttore decidere dove arrivi la legittimità dei risultati scaturiti dal suo contributo (magari un machinima molto ben fatto, oppure la stessa opportunità di avere qualcosa da fare, che mantiene vivo l’interesse nel gioco e non lo fa stagnare) e dargli un valore legale ed economico? Facendo così non si corre il rischio di intimidire gli utenti sino a scoraggiarne il coinvolgimento?
C’è da dire che Old Republic sarà un MMOG piuttosto atipico: dalle poche informazioni disponibili emerge un titolo quasi interamente orientato al gioco online in solitario, quindi il problema potrebbe non sussistere. Potrebbe non esistere un ambiente abbastanza flessibile e strutturato perché i giocatori diventino autori di qualcosa, a differenza di altri MMOG, dove i contributi creativi dei giocatori sono parte integrante del mondo e del sistema di gioco stesso.
Rimane da capire dove si fermerà il diritto di Lucas o Bioware di proibire l’accesso, esigere royalty o semplicemente esercitare il controllo su quello che viene fatto in-game. Come si può stabilire dove inizia un’opera derivata da un videogioco che presuppone interazione e coinvolgimento a livello sociale dei suoi utenti?
Termini di servizio simili gettano una inquietante ombra sul futuro dei MMOG, un futuro dove qualsiasi machinima, iniziativa o sottoprodotto creato dagli utenti, dentro e fuori il gioco, sarà, in quanto opera derivata, di esclusiva proprietà di chi il gioco ha pubblicato e gestisce.
Le potenzialità di regole così stringenti rasentano l’assurdo: un giocatore o una gilda particolarmente popolare potrebbe diventare merce di scambio da microtransazione (ad esempio per farci gruppo), una sorta di stagista next-gen, che, in concreto, paga per lavorare anche se crede di essere lì per divertimento e basta. Altro che Matrix!