Da narrativista convinto, mi sento quasi obbligato nel dare una mia interpretazione di quello che vuol dire realmente Episodic (o Serial) Gaming. La mia motivazione nasce dalla malcelata intenzione di molti distributori di sfruttare il momento per creare un modello basato sullo sfrenato sfruttamento commerciale di idee alquanto confuse, piuttosto che cercare di far evolvere un modello di fruizione che potrebbe seriamente rivoluzionare l’agonizzante mercato video ludico.
E’ palese che il modello dei serial TV stia diventando una macchina per soldi ben più efficiente della produzione di colossal cinematografici: il sistema consente un miglior riuso di contenuti (set, costumi, personaggi) e propone al fruitore una maggiore gamma di situazioni ed esperienze, capitalizzando il passato in maniera molto più efficiente di una saga cinematografica a costi infinitamente minori.
Un modello del genere, se applicato con criterio al mondo videoludico, permette un enorme abbassamento dei costi di produzione sul medio e lungo termine, a fronte però di costi di avvio maggiori di quelli di un progetto di tipo tradizionale. Se da un lato il falso mito (alimentato da altri fini) del ridurre il serial gaming a dei mini-sequel non sta in piedi, dall’altro il riuso di modelli e location su un engine consolidato possono rendere questo approccio ideale, se accoppiato ad una generazione di contenuti abbastanza rapida e ad uno storytelling proporzionato al format.
Il punto cardine di un modello episodico, infatti, è il continuo dialogo con lo spettatore. Perdendo questo ritmo, il modello rischia di naufragare in prodotti che non garantiscono continuità e coerenza alla user base, che percepisce solo degli spin-off dalle intenzioni poco chiare e dai contenuti insoddisfacenti. Il poter mantenere una impressione fresca nella memoria dell’utente è un fattore fondamentale, i serial usano il pregresso per motivare le azioni future dei protagonisti e dei comprimari, per analizzarne le sfaccettature, per dare un significato ad indizi disseminati al fine di realizzare quel climax che sfocia in rivelazioni sconcertanti, da risolvere, ovviamente, in una nuova puntata…
Un serial game deve avere dei personaggi interessanti in grado di evolversi nel tempo e di creare una certa affezione nei confronti dell’utente: mentre un titolo stand-alone può appoggiarsi a storie scontate e a personaggi del tutto bidimensionali, prediligendo l’azione sulla narrazione, il serial game ha bisogno di archetipi ben definiti, personalità che affascinino il giocatore e ne sappiano catturare l’interesse nel tempo.
Allo stesso tempo, al level design è richiesto un ulteriore salto di qualità: l’approccio a zone usa e getta tipico dei giochi di azione cozza con il modello, per via del non poter realizzare contenuti così dettagliati in tempi così limitati. Ancora una volta, però, i serial classici fanno scuola: il riuso delle locazioni ha una specifica valenza nel contesto narrativo di un serial (e non solo, si pensi a Deus Ex). Luoghi abituali e ritrovi comuni per i personaggi funzionano come dei catalizzatori per quegli elementi di approfondimento caratteriale e socializzazione che diventano necessari per creare un buon rapporto con gli utenti. Essi sono degli ottimi punti di partenza e di arrivo per le varie storyline: il luogo dove si può iniziare e concludere il viaggio dell’eroe, che torna alla normalità dopo le imprese dell’episodio. Caratterizzare decine di locazioni da riusare in situazioni e angolature differenti, arricchendone il numero di volta in volta permetterebbe di creare una infrastruttura scenografica e narrativa impensabile in un serial televisivo e ben più simile ai mondi virtuali degli Online Game, dove le locazioni del quotidiano diventano tavolozze in cui dipingere storie sempre nuove.
Quasi un anno fa, usando Source e Hammer come cavia misi in evidenza un po’ dei limiti dei tool di content design odierni. Il risultato ad oggi è che, come previsto, Valve e Ritual sono divenuti vittime della loro stessa tecnologia e di una concezione troppo tradizionale e frettolosa dell’episodic gaming. Ecco la Valve-Publisher costretta a regalare due titoli di caratura commerciale al fine di ravvivare l’interesse per il secondo capitolo di una esalogia frettolosamente ridimensionata a trilogia, (visto che con circa 7-8 mesi ad episodio avrebbero richiesto 3 anni e mezzo di lavoro), con l’infausto effetto di relegare in secondo piano il piatto forte, rispetto agli omaggi multiplayer-oriented Team Fortress 2 e Portal. Segno che neanche una grande IP può salvare da un marketing troppo aggressivo. E pensare che due anni fa Half-Life 2 era una delle IP più anticipate al mondo.
Telltale Games, invece ci offre il suo Sam & Max Season 1 in chiave apertamente seriale: per meno di 33 euro di “abbonamento” sarà possibile assicurarsi i 6 episodi della prima stagione ricevendoli prima in digital delivery su base mensile e poi, alla fine della serie, in cofanetto, per un totale di quasi 45 ore di gioco. Nonostante l’IP di successo (che può facilmente rendere vendibile una formula che non lo sarebbe per illustri sconosciuti), sembra che i prezzi contenuti (meno di 10 euro ad episodio, o meno di 5 se si prende tutto il pacchetto) e la presentazione di un piano ben definito e che fa già sperare in una stagione due stiano seriamente premiando gli ex Lucas Arts.
In conclusione, possiamo dire che, ad oggi, non esiste un vero araldo dell’Episodic Gaming, a meno di non fare dietrologia e cercare nel passato dei vari Commander Keen & Co. di Apogee. L’unico esempio calzante del periodo moderno (parliamo comunque del 2000) è Siege Of Avalon di Digital Tome (che, guarda caso, offriva una formula del tutto simile a Sam & Max). I giochi sopra citati sono le uniche prove che una IP originale, se commisuarata da release frequenti e da una qualità adatta può riuscire. D’altra parte, l’enorme cimitero di nomi illustri (realmente episodici) come Heroes Chronicles o la sfortunata serie di Blair Witch dimostrano come anche le IP più blasonate, se catturate dagli ingranaggi della macchina dei soldi, possono produrre dei fallimenti concreti. I popolari motori 3D, inoltre, sembrano più un ostacolo che un vantaggio: la dipendenza dalle tecnologie di ultima generazione riducono i tool di editing a delle trappole per specialisti, troppo dominati dalle esigenze tecniche per essere dei veri strumenti di content delivery.
La posta in palio rimane alta, bisognerà stare a vedere solo chi avrà la forza di uscire dai canoni attuali per cercare di realizzare qualcosa di realmente innovativo…