Prepariamoci a seppellire le nostre console…

… perché in futuro potremmo non averne altre con cui sostituirle. L’ennesima previsione a lungo termine sul destino del mercato hardware questa volta proviene nientepopodimenoche dal capo dei capi di Square Enix (non occorrono presentazioni, vero?), Yoichi Wada, il quale ha affermato in un’intervista per MCV che “entro dieci anni la maggior parte di quelli che oggi chiamiamo ‘console games’ non esisterà più.”

Yoichi Wada

Non è la prima volta che una personalità di spicco ha predetto un cambiamento epocale nel mondo dei videogiochi, e già due anni fa Gerhard Florin, Vice Presidente Esecutivo di Electronic Arts, si espresse a tal proposito preconizzando l’avvento di nuovi sistemi di distribuzione e apparecchi simili a set top box in sostituizione delle attuali piattaforme di Sony, Microsoft e Nintendo.

La posizione di Wada è chiara: “in passato la piattaforma era l’hardware, ma poi è diventata la rete. Verrà un tempo in cui l’hardware non sarà più richiesto. E così, ogni genere di terminale può costituire una potenziale piattaforma sulla quale giocare – si tratta di una crescita esponenziale delle potenzialità del videogioco.” In altre parole, la visione del CEO di Square Enix contempla la sostituzione di software che gira sulle tradizionali console con offerte basate sul web, sul videogame streaming e sulla distribuzione digitale. La transizione non sarà naturalmente indolore, coinvolgendo tutti gli attori del mercato, che arriveranno a patire anche un “grande impatto negativoe, per questa ragione, secondo Wada, anche Sony e Microsoft si stanno attrezzando per non perdere il treno e agire da protagonisti nello scenario che verrà. Square Enix, dal canto suo, nel 2010 si concentrerà su social e browser gaming, puntando naturalmente molto sul venturo Final Fantasy XIV, MMORPG per PS3 e PC.

Dinanzi ad affermazioni del genere, viene naturale pensare a ciò che più si avvicina alle parole di Wada già da oggi. Mi riferisco, ovviamente, ad OnLive e a Gaikai, servizi che puntano ad offrire a breve l’esperienza del videogioco in streaming. Ma, a leggere le parole di David Perry in un’intervista su gameindustry.biz, è possibile rendersi conto che “Gaikai non è concepito per piacere agli hardcore gamer – persone che vogliono l’alta definizione, 60 frame al secondo, felici di attendere un’ora e mezza per un download e un’istallazione… non sono per niente loro la nostra platea. [Gaikai] Cerca di raggiungere nuovi videogiocatori, le centinaia di milioni di persone che non hanno mai toccato Mario Kart ma alle quali piacerebbe farlo.” Viva le console, allora, almeno per il momento.

Alyx e l’insostenibile leggerezza dell’essere [solo]

Ho dovuto terminare Episode Two per capire che cosa c’era che non andava. Quando la risposta è stata: Alyx, tutto è diventato più chiaro. Ma andiamo con ordine e incominciamo dall’inizio.

half life 2

Io ero lì, sulla torre della Cittadella, con la mia Gravity Gun moddata che mi rendeva invincibile. Non che mi stessi facendo gli affari miei… anzi! Stavo fermando il cattivo di turno (poca cosa, rispetto al precedente Nihilanth) ed ero reduce da un viaggio rocambolesco. Prima la fuga da City 17, passando per i canali di Black Mesa Est. Poi Ravenholm e la corsa in autostrada per raggiungere Nova Prospekt. Quindi il ritorno a City 17, la battaglia con gli Strider, le condutture e l’ingresso non proprio “trionfale” nella Cittadella. Ma poco importava. Il popolo era insorto e la cacciata dei Combine era cosa quasi scontata. Un’ultima energy ball contro questo portale e avremmo potuto finalmente tornarcene a cas… BOOM! Tutto era diventato bianco, rallentando fino a quasi fermarsi. Il mio corpo era stato scaraventato verso terra. Rialzatomi e muovendo i primi passi in quella che sarebbe stata la mia nuova avventura, mi ero reso conto che non l’avrei affrontata da solo. Accanto a me ci sarebbe stata lei, Alyx. La stessa Alyx che tutti hanno acclamato come miglior PnG femminile della storia, quella che “è così espressiva da sembrare vera”. Ovunque andassi, lei era con me. Wow! Sulle prime sembrava fantastico: “Un compagno di viaggio! E per di più donna! Una bella donna! Una bella donna capace di sparare e coprirmi quando ricarico lo shotgun!”. Sembrava la svolta. Eppure qualcosa, lentamente, incominciava ad incrinarsi. All’inizio non è stato facile accorgersene. Il ritmo serrato degli eventi e delle sparatorie, le location all’aperto, gli ultimi nati in casa Zombine… tutto voleva distrarmi da quella che era una limpida e disarmante verità. Episode One ed Episode Two erano privi di quella tensione spasmodica che trasudava, quasi fosse liquida, da Half Life 2. La causa principale? Sempre lei. Sempre Alyx. Come sarebbe stato possibile l’affranto provocato dall’addio di Padre Gregory, in quel dannato cimitero che ricordava la Pennsylvania di G. A. Romero, se al mio fianco ci fosse stata lei? Avrei provato la stessa sensazione di abbandono? E la desolazione delle Sand Trap? Avrei sussultato all’attacco della prima formicaleone guardiana, se non fossi stato da solo, per ore, perso in quelle dannate sabbie mobili prima di venire attaccato di nascosto? E tutte le volte che, lungo l’Highway 17, ho incontrato del “fuoco amico” capace di salvarmi all’ultimo momento fornendomi medikit e munizioni? Se Alyx fosse stata al mio fianco, avrei ugualmente accolto con sussulti di gioia i loro: “Welcome, Dr. Freeman”, provando già nostalgia della loro compagnia? No. Non sarebbe stato lo stesso. Il carisma di un’esperienza come quella di Half Life 2 risiede in larga parte nell’angoscia provocata dall’essere esuli, costretti da una forza superiore ad un pellegrinaggio in una terra governata da leggi non più compatibili con il suo essere popolata. La stessa colonna sonora pone il “silenzio” come tema portante del viaggio, quasi a voler sottolineare l’assenza di vita, mentre le voci dei pochi ribelli lo interrompono per scandire l’attimo in cui possiamo tirare il fiato e tornare ad essere umani. La presenza di una compagna come Alyx, non permette al giocatore di immedesimarsi nel “sopravvissuto”. Gli impedisce di alienarsi, emarginandosi e sperimentare l’isolamento che ha reso Half Life 2 un titolo capace di emozionare anche dopo molti anni dalla sua uscita… come fosse un bel film.  Quelli della Valve devono aver avuto la mia stessa intuizione e gli ultimi capitoli di Episode Two tentano di rinnovare la celebrazione del single player “duro e puro”, senza però essere capaci di galvanizzarlo, proponendo un level design poco propenso all’isolazionismo. Speriamo che il terzo episodio non prenda la china del co-op che va tanto di moda oggigiorno… di Marcus Fenix e affini ne ho già pieni gli hard disk.

Quegli strani oggetti del desiderio

Articolo apparso originariamente su Babel#18

437317-kate_walker_2Le eroine videoludiche non sono quasi mai delle donne. Generalmente sono degli uomini con le tette. Piacciono perché consentono agli adolescenti che, più urlano al gay e più di mostrano di avere un’identità sessuale poco definita, di ammirare dei veri maschi, dei machi verrebbe da dire, ma senza provare i sensi di colpa che un’erezione produrrebbe davanti all’immagine di un bell’uomo a petto nudo.

Le eroine videoludiche non sono quasi mai delle donne. Si comportano da uomini, parlano da uomini, fanno battute come gli uomini. Non sono emancipate ma sono regredite al livello degli uomini, rinunciando a ogni scampolo di femminilità per abbracciare il virilismo tipico degli eroi maschili.

Le eroine videoludiche non sono quasi mai delle donne. Il problema non è che debba emergere il loro lato femminile a tutti i costi e in tutti i frangenti, ma semplicemente sembra che lo abbiano represso completamente, ovvero che siano diventate delle macchine di piacere e di morte.

Tra una Lara Croft e una bambola gonfiabile non c’è alcuna differenza a livello strettamente umano. La protagonista di Wet è una stella sadomaso che probabilmente passa le giornate a frustrare qualche grosso dirigente della stampa specializzata in videogiochi, puntandogli i tacchi a spillo sui testicoli per farlo godere.

Tette che si muovono autonomamente, follia pura per onanisti all’ultimo stadio.

A pensarci bene i videogiochi sono pieni di donne, solo pare che i videogiocatori le snobbino o tendano a non ricordarle mai quando si parla dell’universo femminile, iconizzando piuttosto i modelli spazzatura, le ‘donne che piacciono agli uomini’.

Penso a Kate Walker, protagonista di Syberia, che nel gioco non presta soltanto le mani per manipolare oggetti e i piedi per spostarsi tra le locazioni, ma mette in discussione la sua vita stessa, cercando di realizzare i sogni di un’altro individuo per ritrovare la capacità di sognare.
Penso a The Path, in cui l’universo femminile viene esplorato attraverso la frammentazione dell’io in una moltitudine di personaggi intrappolati nella stessa favola onirica.
Penso a Fahrenheit, in cui le donne vengono tratteggiate con sensibilità moderna, senza renderle dei meri oggetti sessuali (eppure nel gioco ci sono delle scene di sesso piuttosto esplicite).
Volendo ce ne sarebbero anche altre, come la protagonista di The Longest Journey o quella degli Another Code per fare due ulteriori esempi di figure femminili ben tratteggiate. Eppure…

Eppure ogni volta che si tocca l’argomento, queste ‘donne’ non vengono mai menzionate. Molti ricordano più un personaggio mediocrissimo come l’Elexis Sinclaire di Sin, banale sin dal nome (il gioco di parole tra Sin e Sinclair sfiora il ridicolo e probabilmente è stato partorito durante una sessione masturbatoria piuttosto spenta), che una qualsiasi delle eroine citate, anche se si tratta di un prodotto di scarso successo che non ha lasciato grosse tracce nella storia dei videogiochi (se non per i numerosi bug del primo titolo e per il fallimento del progetto episodico). La stessa Alyx Vance, protagonista femminile di Half-Life 2 e seguiti, non viene mai citata pur essendo molto diversa dallo stereotipo dell’eroina dei videogiochi d’azione. O forse è proprio per questo?

I videogiocatori odiano certe figure femminili, le disprezzano. I publisher si adeguano. Kate Walker non ha successo perché non ha una scollatura mozzafiato. Non è ‘erotizzata’ in senso pornografico a favore del pubblico pagante. Il suo corpo non viene prostituito al videogiocatore, che la rifiuta in quanto sente di non avere il controllo totale sulla sua essenza. Gli fa paura, ne rifugge la profonda umanità e la possibilità che, paradossalmente, sia raggiungibile e lo metta in discussione chiedendogli un rapporto paritario. Non può ‘possederla al day one’ e nemmeno in edizione budget, perché Kate Walker non si lascia possedere in senso assoluto. Anche arrivando alla fine del gioco non la si riesce a penetrare completamente e in lei rimangono sempre delle zone nascoste, intime, la cui esistenza viene esplicitata durante l’avventura ma che non vengono mai svelate completamente. Lo stesso vale per le altre ‘donne’ citate che, in quanto tali, non sono personaggi piatti ma profondamente umani e sono portatrici di un messaggio diverso e profondo che non si esaurisce in quello che si vede sullo schermo o si legge nei testi dei dialoghi e delle descrizioni.

[Gli ani in faccia] Revocato l’ano in faccia a Eiji Aonuma

In virtù della lettura della notizia in lingua inglese, molto diversa dalla versione tradotta in italiano, revoco l’ano in faccia a Aonuma e me lo piglio io per la troppa superficialità con cui l’ho assegnato. Che l’ano in faccia mi colga, quindi! E fanculo!

Foto di: witness 1

[Diario] Il mio Game Boy

Ieri, a casa dei miei, mi sono imbattuto in uno dei miei vecchi Game Boy, per l’esattezza quello che acquistai da un compagno di scuola, con Tetris in bundle. Ovviamente funziona ancora e me lo sono portato a casa per ripulirlo dalla polvere sotto al vetrino dello schermo LCD (che spesso si popolava di acari bianchi che zampettavano, oggi saranno concime) accumulatasi nel corso degli anni.
Peché vi parlo del Game Boy? Riflettevo sul successo planetario di questa console portatile che fece evolvere il divertimento tascabile abbattendo le prime pareti che separavano la massa dagli appassionati. Eravamo in tanti a possedere la consolina Nintendo, che vendette milioni di esemplari in tutto il mondo per diversi anni resistendo agli attacchi dei competitor che proponevano prodotti ben più evoluti ed invitanti ma che fallirono miseramente. Perché? Il Game Boy dopo pochi anni era già vecchio e superato tecnologicamente, pesava tanto, non era (ancora) retroilluminato e aveva un sonoro limitato,  eppure vinse. Gunpey Yokoi ci vide giusto (dopotutto anche i Game & Watch nacquero dalle sue mani), sapeva bene che un sistema portatile prima di tutto doveva offrire una lunga autonomia, costare il giusto e avere dei grandi giochi. Queste furono le caratteristiche vincenti,  insieme al Tetris Bundle.

Il mio caro vecchio Gameboy

Come conobbi il Game Boy? Ovviamente grazie al compagnetto di scuola ricco sfondato! Me lo prestò con Tetris, Probotector e Terminator. Inutile dire che mi innamorai subito del secondo (in pratica la versione europea del classico Contra) snobbando Tetris (che rivalutai con l’età) e lo scialbo Terminator. Per me era incredibile, fino ad allora avevo solo giocato coi Game & Watch di mio cugino (ne aveva tanti),  un paio di GiG Tiger e alcuni scrausi Casio (altri portatili sulla falsariga dei G&W ma meno carismatici), niente di paragonabile al Game Bboy: un portatile con giochi realmente a scorrimento, come quelli colorati su NES!
Nessuno è abile nello sfruttamento dei propri prodotti di successo come Nintendo; il GB si è evoluto molto lentamente negli anni, aggiungendo (pochi) nuovi elementi, migliorando la qualità dello schermo, il peso e i consumi. Il Game Boy Pocket pesava meno, era più sottile e necessitava di due sole batterie per la stessa durata del predecessore. In Giappone ne uscì anche una versione con illuminazione frontale, oggi abbastanza rara da trovare.  Il Game Boy monocromatico durò tanto, troppo. Quando cominciò ad accusare qualche segno di cedimento commerciale arrivarono i Pokémon a risollevarne le sorti; si trattò di un vero e proprio fenomeno popolare ancora oggi in auge sul Nintendo DS. Uscirono in tutte le versioni possibili e io non li ho mai potuti reggere, per colpa dell’enorme successo tra la massa, ovviamente. Poi arrivò il Game Boy Color (1998), con alcuni remake (Nintendo ne abusava già allora) e pochi titoli originali. Quindi fu la volta del Game Boy Advance, sicuramente il GB più ergonomico mai prodotto da Nintendo. Peccato che l’ostinazione la portò a non inserire alcun tipo di illuminazione per lo schermo facendoci perdere diverse diottrie, ma rimediando con la versione SP. Nel pieno del successo del Nintendo DS, uscì l’ultimo erede della dinastia Game Boy, il Micro! La versione più inutile mai realizzata, con uno schermo davvero piccolo, quantunque ben retroilluminato (alla stregua del DS Lite) e realmente tascabile. Un flop meritato (e l’unico GB che non posseggo, forse ancora per poco). Non approfondisco questi modelli né i concorrenti perché questo vuole essere un semplice post ricordo; un tributo per questa gloriosa console.

Tra i titoli  che ricordo con maggiore piacere vi elenco i seguenti:

Super Mario Land sagaSuper Mario Land 1, 2 e 3
(in particolare il 2, un capolavoro tecnologico e un Super Mario pieno di power up capace di far impallidire anche Super Mario World)

Probotector/ContraProbotector
(il porting europeo di Contra)

tetrisTetris

Zelda Link's AwakeningZelda: Link’s Awakening
(in verità io ho giocato la versione DX, per Gameboy Color)

Super R.C. Pro AmSuper RC Pro Am
(gioco di corse isometrico, molto ben fatto)

sf2Street Fighter II
(non era male, giuro!)

Donkey KongDonkey Kong
(il classico con l’aggiunta di un sacco di livelli aggiuntivi)

Tra i miei recuperi sicuramente devo inserire Metroid II.

Ricordo con dispiacere diverse cartucce contraffatte. Tempo fa un caro amico mi regalò la sua cartuccia di Super Mario Land 2, peccato fosse un tarocco! Più avanti scriverò un articolo riguardo i tarocchi e le truffe con la collaborazione di Matteo Anelli.
Rimembro con simpatia la telecamerina e la piccola stampante… curiosi accessori. Il top era l’avo del Game Boy Player su Gamecube: il Super Game Boy era una cartuccia che permetteva di utilizzare i giochi per Game Boy monocromatico sul Super Nintendo, a quattro colori, ricordo che fu molto pubblicizzato in TV.
Chiudo questo brano con alcune strofe di una canzone degli Helloween (gruppo power metal teutonico) che omaggia il Game Boy e Tetris infarcendo il brano The Game Is On con i popolari suoni del puzzle russo.

Have you seen this little toy – When you’re down it gives you joy – You escape reality
Delve into its TV screen – For the rich and for the poor – For the even more secure
Doesn’t matter where you are – Where you go or where you’ve been – Well, there’s still no guarantee
For your virgin mind, you see – Just go on and play the game – You will surely go insane

[Retrospec] SunDog: Frozen Legacy

Sviluppato da: FTL & Software Heaven Inc.
Pubblicato nel: 1984 | Piattaforme: Apple II, Atari ST

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Lavorare come schiavo in una miniera di vetro (?) è dura, molto dura. Così quando Zed ottiene in eredità la SunDog, una malandata nave spaziale di proprietà dello zio, non ci pensa due volte ad accettare anche una clausola sull’eredità che lo obbligherà a fondare una colonia e a rischiare ripetutamente la vita nel processo.

SunDog è un gioco a metà tra uno Space Trading Game e un RPG. Scritto da Bruce Webster, un famosissimo sviluppatore di giochi per BBS, uscì nel 1984 insieme a Elite ma, nonostante l’analogia di fondo, i due giochi sono molto diversi.

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Come tutti i sandbox game che si rispettano, SunDog fornisce pochissime info al giocatore. Lo scopo è quello di avviare una colonia già fondata ma deserta sul pianeta Jondd. Visto che il giocatore è già sul pianeta, il primo obiettivo sarà localizzare la colonia sulla superficie del pianeta. Il secondo sarà sostituire dei pezzi all’astronave per renderla almeno in grado di viaggiare nello spazio. Una volta trovata la colonia, Zed viene informato di cosa serve per farla funzionare: diversi materiali industriali, vettovaglie, infrastrutture e coloni criogenizzati che lo zio aveva già comperato (!) e messo al sicuro su vari pianeti diversi.

Recepita questa lista di priorità, il giocatore è libero di fare ciò che vuole nei tempi che vuole.

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L’universo di SunDog è piccolo, una dozzina di sistemi ciascuno con uno o più pianeti. Sui pianeti ci sono diverse colonie; inizialmente si potrà atterrare solo nell’unica dotata di spazioporto e si potranno raggiungere le altre solo con un veicolo secondario. Ogni colonia è un agglomerato di edifici, all’interno dei quali Zed può entrare per interagire con gli abitanti. Di dialoghi SunDog ne ha parecchi e per i suoi tempi sembra quasi di vedere una versione 8 bit di un gioco Bethesda. Le città sono vive, almeno per un titolo quasi preistorico. I passanti si affaccendano per le strade e hanno le loro piccole agende ed i loro grandi problemi. Il senso di libertà all’inizio disorienta: nulla vieta di aspettare la chiusura di un negozio per rapinarlo o di fare una strage e rapinare una banca in pieno giorno.

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L’atmosfera del gioco è palesemente western, anche se la grafica fa molto poco per farcelo capire. C’è quel senso di pionieristica espansione, quel timore quasi reverenziale dello straniero (spesso motivato, non siate troppo socievoli coi passanti!) e l’avventura può essere letteralmente dietro ogni porta. Anche i combattimenti spaziali (non proprio il fulcro del gioco, come per Elite) sanno di assalto alla diligenza e ci vedranno spesso impegnati tra la cloche ed una capatina in sala macchine per sostituire un componente danneggiato.

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Avventuroso, essenziale ma per nulla ostico (grazie all’innovativa interfaccia punta e clicca che rivedremo in Dungeon Master) SunDog rimane uno dei migliori esempi dei free roaming RPG degli albori, da mettere nella vostra collezione vicino a Ultima e Magic Candle.

Curiosità: SunDog avrebbe dovuto essere una trilogia, anche se in questo primo episodio la cosa non è affatto evidente. Diversi problemi di publishing lato FTL uniti al successo di Dungeon Master decretarono la prematura fine della serie.

Schiaccia REWIND e la mediocrità s’impenna!

Che i videogiochi di oggi siano facilotti per il giocatore medio e con qualche anno sul groppone non è un segreto. Si cerca in ogni modo di rendere facile la vita a chi si avvicina al videogioco per la prima volta, per non farlo scappare via impaurito. Tra i tanti modi escogitati per portarci per mano come fossimo dei bambocci, oggi mi va di soffermarmi sul tasto REWIND.

rewind

Bello, il tasto REWIND.

Non sono ironico: è bello quando è ben sfruttato, come in Braid o Time Shift, dove è il fulcro del game design: il tempo al servizio del gameplay. Geniale.

Peccato che oggi sia usato anche in alcuni tra i titoli di corse più importanti e di successo, come GRID e Forza Motorsport 3, per fornire infinite chance al pilota novello, che è inesorabilmente andato a spalmarsi su di un muro. Se però nel primo la possibilità di portare indietro l’azione è limitata a pochi secondi, e soltanto per un tot di volte in una gara, nel secondo è concessa a qualsiasi livello di difficoltà e ci permette di riavvolgere la gara più volte e per ben di più che qualche secondo. Eh sì, un titolo tanto simulativo, qual è FM3, cozza contro un muro d’incoerenza a causa di questa scelta.

Una feature del genere (rubata a piene mani dal decente Squadra Corse Alfa Romeo della nostrana Milestone, che a sua volta si ispirò ad un altro titolo poco conosciuto che al momento non ricordo) regalata al giocatore a mo’ di cheat infinito e non disattivabile, a che serve? “Basta non usarla!” mi si ripete continuamente, senza capire il danno che stiamo facendo. Stiamo creando una generazione di videogiocatori incapaci che non riescono più a sentire l’adrenalina, dato che hanno sempre una seconda chance immediata (mi viene in mente l’ultimo Prince of Persia) servita in bundle col gioco. Un bel passo indietro, in tutti i sensi.

Guardatelo il tasto REWIND, fa pure ingrassare. Sì, perché non suderete più presi dalla tensione di quel sorpasso azzardato o dell’aggredire quel cordolo: se fate cilecca un tocco e passa la paura!

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E ora ditemi come devo fare io, che cerco di ignorare la presenza di questa funzione ma che, dopo un bel po’ di giri e una gara perfetta, vengo sbattuto fuori da un avversario IA idiota, e il nostro caro tasto REWIND mi solletica il pollice. Lo schiaccio e anche io faccio un passo indietro nel tempo e nella skill.

E mi sento più amaro.