I videogiochi (buoni) abbondano tra le mani degli stolti

Stasera guardavo un po’ di siti e leggiucchiavo il volume di ZeroCalcare quando, improvvisamente, m’è venuta in mente una cosa. Ho cominciato a googlare un paio di videogiochi usciti di recente come Skyrim e Xenoblade Chronicles, o Ultimate Marvel vs Capcom versione PS Vita ed ecco arrivare la conferma della mia folle idea: possibile che, ogni anno, escano così tanti giochi imperdibili o almeno dannatamente belli?

Ora, io non sono una persona che ami dare voti o i sistemi di giudizio applicati dalla maggioranza dei critici di videogiochi: un po’ per i tanti motivi che molti di voi già conoscono, un po’ perché ho sempre odiato i giudizi scolastici ed i confronti cretini che questi alimentano – senza citare quegli unni che, non appena concludi un esame ed esci vittorioso dall’aula, ti assalgono guidati da Gengis Khan chiedendoti “quanto hai avuto?”, “quante domande t’ha fatto?”, “quanti secondi hai avuto per riflettere?”, ecc.
Ma, in attesa che il mondo decida di cambiar metodo e che gli utenti (e gli unni che frequentano l’università) decidano di evolversi, volevo riflettere proprio su questo curioso fattore quantitativo.

Perché è possibile che siano già usciti, solo nel 2012 e secondo i dati che raccoglie Metacritic, almeno una quarantina di giochi giudicati con un voto pari o superiore a 80/100? Volendo escludere collection, giochi indipendenti o non mainstream (inclusi quelli per iOS o Android) ed accorpando i multipiattaforma è possibile ad arrivare a circa 20 titoli qualitativamente interessanti. Dal 1 Gennaio ne sarebbero usciti 2,65 ogni giorno.

Possibile che questa qualità si associ davvero a questa quantità? Quanti tra questi giochi sopravvivono alla prova del tempo e riescono a non esser dimenticati in poco tempo? Perché se un gioco è definito come “ottimo”, questo viene dimenticato alla stregua di un gioco qualsiasi? Forse la verità è che il troppo storpia davvero, il videogioco è giudicato in maniera esageratamente velleitaria e l’utente medio è davvero poco smaliziato. E molto, molto più ricco del sottoscritto.

Lo strano caso della traduzione in italiano di Dear Esther

Recentemente è stata pubblicata la traduzione in italiano di Dear Esther ad opera di un amico di Ars Ludica, Paolo Rostagno Giaiero, fondatore del gruppo indies4indies. La traduzione è molto curata, con una ricercatezza linguistica che pochi individui viventi sul suolo patrio e praticanti la nostra lingua si possono permettere. Ovviamente è un’opera umana e come tale la si può apprezzare o criticare. Il problema che vorrei sottolineare non è certo questo.

Quello che più mi ha stupito è stato il constatare come molti non conoscano nemmeno la lingua che dicono di parlare. Alcuni hanno parlato di traduzione “sbagliata”, come se ne esistessero di corrette, altri di traduzione realizzata con google translate, che è un modo ormai banale per dire che la traduzione è realizzata male. I più ridicoli sono stati quelli che hanno parlato di traduzione sgrammaticata, senza ovviamente saper indicare un singolo errore grammaticale nel testo (semplicemente non ce ne sono).

Adesso, è vero che ormai siamo abituati a un piattissimo linguaggio standard, che vuole i Nord di Skyrim pronunciare frasi simili a quelle dei soldati di Call of Duty o delle razze aliene di Mass Effect, ma non saper riconoscere nemmeno le forme della propria lingua, per quanto desuete (eppure alle medie e alle superiori qualche testo antico lo si dovrebbe studiare) o, peggio, scambiarle per forme sgrammaticate paragonabili a quelle di un traduttore automatico, è una questione di portata ben più ampia.

Ci scandalizziamo per un “Sorcio” al posto di “Mouse”, come se in realtà “Mouse” non fosse traducibile in “Sorcio” (non sto discutendo la bellezza o la bruttezza della traduzione, solo la sua fattibilità o meno), ma non poniamo mai nessuna questione quando vengono importate delle parole inglesi che hanno un corrispettivo in italiano perfettamente usabile (es. Spread/Differenziale, per dire una molto usata di questi tempi). Non è un problema di poco conto, ma una predisposizione al far colonizzare la propria lingua da un linguaggio percepito come più forte, senza opporgli alcuna resistenza.

Badate bene, non sto dicendo che non bisogna usare parole straniere. Anzi, sono il primo a ritenere che la conoscenza di più lingue sia positiva, non certo negativa. Sto solo affermando che riflettiamo nella gerarchizzazione che facciamo dei codici linguistici la predisposizione da servi che caratterizza diversi aspetti della nostra ottusa società, come se l’adozione di parole non nostre ampliasse i nostri orizzonti a prescindere dal fatto che la stessa sia stata meditata o meno.

Ecco un estratto da uno scambio avuto direttamente con l’autore della traduzione:
Dear Esther è stato realizzato da eccelsi attori e musicisti di teatro e discutendo con l’autore, il prof. Pinchbeck, scoprii lui essere un grande appassionato di Pirandello, pertanto, prima di iniziare a lavorare sul suo testo, gli proposi di osare qualcosa di diverso: in particolare una grafia un po’ antiquata in omaggio al nostro sommo drammaturgo siciliano (e, ovviamente, lo informai del fatto che ci sarebbero state delle minime divergenze rispetto all’italiano corrente). Ei ne fu entusiasta e approvò seduta stante il mio suggerimento. (Per di più chiunque abbia giocato a Mirror’s Edge, a cui aveva collaborato proprio Robert Briscoe, ricorderà sicuramente la multinazionale fittizia denominata Pirandello/Kruger.) Non ho dunque intrapreso nulla di mia iniziativa, né tantomeno fatto alcunché non fosse stato prima approvato direttamente da chi di dovere. Seppur vero che la grafia utilizzata in Dear Esther sia misconosciuta, essa non è scorretta ed è a tutt’oggi viva e vegeta. Si vedano p. es. gli scritti del mio venerando mentore, uno dei massimi arabisti a livello mondiale, il prof. Vallaro (e altri): Link

Le sigle del Monopoli #15 – The Fight Continues (Double Dragon)


La sigla di apertura della puntata 15 della prima stagione di ArsLudicast che potete ripassare qui: ArsLudicast 15: Playlist #1, è stata questo arrangiamento monopoliano:

http://www.youtube.com/watch?v=nOaKhglLPKo

Buon ascolto!

Le sigle del Monopoli #14 – Dragon Age Origins

Dopo una lunga assenza finalmente la sigla della puntata quattordici di ArsLudicast prima stagione.
Per il solito ripasso: ArsLudicast 14: Videogiochi e Media.
Naturalmente la sigla è sempre arrangiata ed eseguita dal Monopoli, quello degli aneddoti edificanti, con la morale.

Buon ascolto!

http://www.youtube.com/watch?v=H0CSpOF19zc&feature=youtube_gdata

Players 12 disponibile!

Leggermente in ritardo sul piano di marcia, ma più ricco del previsto arriva Players 12, a giorni disponibile anche nelle versioni ePub e Mobi, che hanno riscosso particolare successo nel nostro test precedente.

Aprono questo numero i Superamici, si prosegue con il meglio del cinema di queste settimane e una retrospettiva sul cinema muto, passando per Alan Moore, Haruki Murakami, Ernest Cline, John Williams, i Bitcoin e una serie di retrospettive videoludiche per i lettori più nostalgici.

Come sempre, seguiteci su Facebook e Twitter per gli aggiornamenti relativi a magazine e podcast!

Il sommario di Players 12 è disponibile dopo le immagini.





Nel numero 12 di Players:

Arte: Hanna Megee / di Andrea Chirichelli
Stories: I Superamici sono dei players / di Maicol & Mirco, Ratigher, Tuono Pettinato, LRNZ, Dr. Pira
Cinema: Speciale cinema muto / di Andrea Chirichelli
Cinema: Recensione di Shame / di Mattia Veltri
Cinema: Recensione di Beginners / di Andrea Chirichelli
Cinema: Recensione di The Descendants / di Andrea Chirichelli
Cinema: Recensione di The Help / di Andrea Chirichelli
Cinema: Recensione di 50/50 / di Andrea Chirichelli
Cinema: Recensione di Tinker, Taylor, Soldier, Spy / di Andrea Chirichelli
Cinema: Recensione di Moneyball / di Emilio Bellu
Tv: Hell on Wheels / di Antonio Lanzaro
Tv: Black Mirror / di Matteo Ferrara
Cinema: Players Grindhouse Vol. 7 – Filippine: l’arcipelago dell’Exploitation – Parte 2 / di Piero Ciccioli
Still: Larissa Felsen / di Andrea Chirichelli
Letteratura: Recensione di Dannazione di Chuck Palaniuk / di Mattia Veltri
Letteratura: Recensione di 1Q84 di Haruki Murakami / di Alberto Li Vigni
Letteratura: Recensione di 1001 Videogiochi da non perdere di Tony Mott / di Alberto Li Vigni
Letteratura: Recensione di Ready Player One di Ernest Cline / di Claudio Magistrelli
Letteratura: Le Parole del Postribolo – Colofone / di Simone Tagliaferri
Comics: Neonomicon di Alan Moore / di Claudio Magistrelli
Comics: Teenage Mutant Ninja Turtle di Eastman & Laird / di Piero Ciccioli
Comics: Saiyukiden di Katsuya Takeda / di Piero Ciccioli
Comics: X’ed Out di Charles Burns / di Alessio Trabacchini
Comics: Il Mondo di Coo di Hideji Oda / di Alberto Li Vigni
The Gramophone: Speciale John Williams / di Maurizio Caschetto
The Gramophone: Recensione di Cannibal Movie – Avorio / di Matteo Del Bo
The Gramophone: Recensione di Radio Moscow – The Great Escape of Leslie Magnafuzz / di Matteo Del Bo
The Gramophone: Recensione di Alcest – Les Voyages De L’âme / di Pietro Recchi
The Gramophone: Recensione di Fine Before You Came – Ormai / di Pietro Recchi
Wires: Speciale Bitcoin, intervista con Vili Lehdonvirta / di Tommaso De Benetti
Videogiochi: Recensione di Neverdead / di Piero Ciccioli
Videogiochi: Speciale Commodore 64 / di Marco Passarello
Videogiochi: Speciale App Ludiche / di Mattia Veltri
Videogiochi: Speciale Layton / di Dario Oropallo
Videogiochi: Speciale Monkey Island / di Domenico “Diduz” Misciagna
Videogiochi: Recensione di Star Wars The Old Republic / di Alessandro De Luca
Videogiochi: Recensione de Il professor Layton e il Richiamo dello Spettro / di Dario Oropallo