Receiver: un nuovo FPS è possibile?

Definire Receiver un videogioco sarebbe leggermente esagerato: un po’ come Slender, infatti, il prodotto di Wolfire è troppo approssimativo e povero per essere considerato un’opera completa; eppure, forse proprio grazie alla sua natura in qualche modo cruda, questo particolare titolo rappresenta un interessante esperimento, una specie di studio di meccaniche di gameplay, il quale ha delle potenzialità uniche.

Realizzato in una settimana, Receiver è uno sparatutto ambientato in un singolo edificio: il giocatore sarà chiamato a collezionare 11 audiolog disseminati in una mappa generata in maniera casuale, l’obiettivo sarà quello di scoprire cosa sia successo nel mondo di gioco. Descritto in questi termini il gioco sembra abbastanza semplice, quasi banale: ciò che lo rende unico è che, per difenderci dalle orde di robot assassini che fanno da guardia nell’ambientazione, i giocatore avrà a disposizione una sola arma, e ne dovrà gestire ogni aspetto, dal disinserimento della sicura alla rimozione manuale del caricatore, dal carrello alla ricarica dei singoli caricatori.

Queste azioni, le quali vengono considerate triviali dal mondo videoludico, costituiscono ben presto la vera difficoltà del gioco: mentre in tutti gli altri sparatutto la ricarica e la raccolta di munizioni viene gestita completamente in automatico, in Receiver il giocatore dovrà destreggiarsi tramite la complessa interfaccia di gioco per eseguire manualmente ognuna di queste attività; in questo modo, persino un cambio di caricatore diventa problematico quando un robot tenta di elettrificarti con un taser, e la soddisfazione data dalla destrezza che si manifesta nelle fasi di ricarica e tiro è, stranamente, davvero edificante.

La sperimentazione proposta da Receiver in questo senso è molto più profonda di quanto sembri: nella contemporanea concezione degli sparatutto le armi sono viste come semplici strumenti di offesa e l’azione del giocatore è interamente concentrata sull’atto dello sparare; Receiver invece costringe il giocatore a prendere consapevolezza della complessità meccanica e funzionale dell’oggetto che si sta maneggiando. Mentre in Call of Duty controllare l’arma significava sparare a raffiche per compensare il rinculo, in Receiver maneggiare la pistola vuol dire entrare in un ordine mentale completamente diverso, in cui anche la preparazione assume un’importanza unica (organizzare i proiettili nei caricatori, allenare le dita nell’eseguire la sequenza di azioni per inserire un nuovo caricatore, etc.).

Da notare la lista dei comandi a destra, quelli evidenziati sono quelli eseguibili

Se Receiver è un esperimento, a questo punto è lecito chiedersi se queste meccaniche abbiano un futuro nel mondo videoludico: realisticamente parlando, penso che questo paradigma non avrà successo nel genere degli FPS: questo tipo di titoli infatti è relegato in una dimensione alquanto infantile, in cui il gameplay non riesce a trasmette altro fuorché fantasie di onnipotenza tramite improbabili massacri perpetrati da altrettanto improbabili eroi o presunti tali, mentre il gameplay di Receiver è naturalmente più sottotono poiché costringe il giocatore a concentrarsi non solo sull’azione dello sparare, ma anche sull’esecuzione, in momenti di tensione, di azioni di preparazione quasi mai viste prima, in cui l’errore può significare il game over.

Ciò significa che Receiver non può avere dei seguiti ? Non per forza, pensiamo ad un genere come quello dei survival horror: i primi Resident Evil e i Silent Hill proponevano sistemi di combattimento macchinosi, quasi legnosi, in modo da accrescere in maniera efficace la tensione nel giocatore. In questo modo non c’era bisogno di creare orde di avversari per trasmettere sensazioni di tensione e pericolo: due zombie erano sufficienti a creare non pochi problemi (non ha caso Resident Evil 4, con le sue orde di simil-zombie, ha portato il genere verso una prospettiva più action); in Receiver questo scenario sarebbe di grande impatto, poiché la mira diventerebbe fondamentale, e la mancanza di fuoco controllato costringerebbe ad un difficile e rischioso cambio di caricatore (condizione di vulnerabilità che i giochi moderni raramente riescono a trasmettere con la dovuta efficacia).

Introdurre queste meccaniche creerebbe un paradigma di gioco diverso, in cui i combattimenti sarebbero ridotti in termine di scala ma diventerebbero più maturi, più rilevanti e meglio contestualizzati da un punto di vista narrativo, aumentando notevolmente l’immersione del giocatore (penso che Receiver sia uno dei pochi giochi moderni in cui la mancanza di HUD abbia senso, poiché tutte le informazioni necessarie sono comunicate efficacemente al giocatore).

Altro che ricarica rapida alla Gears of War!

Receiver è un esperimento interessante poiché propone una nuova interfaccia; sebbene singoli elementi del gameplay siano apparsi qua e là nella storia dei videogiochi (Trespasser, Condemned), per la prima volta abbiamo un titolo che costringe i giocatori a confrontarsi prima di tutto con lo strumento che stanno impugnando. In un panorama come quello odierno, in cui quasi ogni interazione complessa viene ridotta ad un becero QTE, questa caratteristica risalta per freschezza e innovazione.

Xbox One: brevi annotazioni ed alcuni screenshot

Oggi, 21 maggio, è stata finalmente svelata la nuova Xbox, che non si chiamerà 720 proseguendo sulla scia della precedente bensì Xbox One. La nuova generazione videoludica di Microsoft prende così vita, e vediamo alcuni dettagli emersi dalla presentazione condotta da Don Mattrick.

Cominciamo dalla dotazione hardware. CPU a 8 Core, 8 GB di RAM DDR3, 500 GB HDD, lettore Blu-ray, USB 3.0, HDMI in/out, Wireless 802.11n con Wi-Fi Direct; questa piattaforma servirà a supportare, tra le altre cose, il multitasking: ad esempio, si può accedere al web con Internet Explorer mentre si guarda un film. Da rilevare i comandi vocali, che nella dimostrazione hanno funzionato davvero bene consentendo di switchare dalla televisione alla musica, da un film a Internet molto velocemente. Sembra che Microsoft abbia puntato a realizzare un hub multimediale da salotto, con l’evidente intenzione di dare un senso importante alla vita extraludica della console.

Kinect ha subito un ovvio potenziamento, con un sensore HD 1080p, un array di microfoni, la possibilità di tenere traccia del battito cardiaco dell’utente, la capacità di gestire fino a sei giocatori; grazie al supporto delle gesture, sarà possibile comandare anche la dashboard. Anche il controller ha subito del labor limae, con interventi sulla croce direzionale. Com’era lecito attendersi, SmartGlass fa parte sin da subito dell’offerta di questa generazione Xbox.

A circa metà presentazione, fanno capolino i videogiochi: Microsoft ha annunciato con orgoglio che entro il primo anno di vita di Xbox One saranno 15 le esclusive, con 8 nuove IP. I titoli effettivamente presentati sono una manciata: la lineup EA Sports composta da Fifa 14, NFL 14, Nba Live 14 e UFC (tutti basati sull’engine Ignite), Quantum Break di Remedy (di cui è stato mostrato un tanto breve quanto misterioso trailer), Forza 5 e Call of Duty: Ghosts.

Al nuovo Call of Duty: Ghosts è stata riservata tutta la parte finale della conferenza: secondo gli autori sarà il migliore CoD di sempre (non sarebbe potuto essere altrimenti, no?), puntando le sue carte su una trama curata da Stephen Gaghan (sceneggiatore di Traffic e Syriana), mappe dinamiche, texture ad alta definizione, e via discorrendo. A quanto pare anche i cani saranno una componente attiva della squadra.

Nota curiosa: a quanto pare sugli schermi televisivi potremo prossimamente trovare la serie di Halo, con il coinvolgimento di Steven Spielberg.

Questo è quanto. Per ulteriori dettagli, Microsoft rimanda all’E3 in calendario il mese entrante. Xbox One sarà commercializzata alla fine di quest’anno.