[Retrospec] Final Fantasy IX

Prodotto e sviluppato da Squaresoft | Piattaforma Playstation | Rilasciato nel 2001 (EU)

Visto da molti appassionati della serie come un capitolo minore, Final Fantasy IX andrebbe più correttamente inquadrato come un capitolo diverso; e poco importa se il capitolo generalmente considerato effettivamente diverso è il decimo, al quale viene talvolta (più o meno fondatamente) imputata la “minorazione” del nono per le risorse che ha richiesto e quindi, ipoteticamente, dirottato: che sia voluto o meno, che a FFIX siano state dedicate più o meno risorse rispetto agli altri capitoli, il risultato è comunque qualcosa di apprezzabile in sé.

I giochi della serie di Final Fantasy possono essere affrontati principalmente in due modi: come delle avventure con una storia, in cui ogni azione del giocatore tende all’immedesimazione nei panni e nelle vicende dei singoli personaggi; oppure come una serie di sotto-giochi tenuta insieme da una trama-scusante. Vi è poi la contaminazione tra i due modi, scaturita in genere dalla necessità di “livellare” e raccogliere oggetti per poter superare prove particolarmente difficili.

Malamente sopporto l’attività di “livellamento” nei videogiochi, in quanto generalmente fine a se stessa e nociva per l’immedesimazione. Molti capitoli della serie Final Fantasy s’inorgogliscono del disporre di una vasta scelta di personaggi da utilizzare; dal canto mio, sarei contento se ciò fosse sempre una scelta e non un obbligo, ma non è così: nel dubbio che prima o poi si sia costretti ad utilizzare un personaggio che non ci piace, ogni tanto lo si arruola nel party e lo si fa livellare; non lo faremmo altrimenti, anzi, potendo abbandoneremmo quel personaggio sull’autostrada; ma non possiamo.

Forse sono vittima di un imprinting. Il primo Final Fantasy che ho giocato è stato il numero 4, in cui la composizione del party poteva variare da uno a cinque personaggi; tuttavia tale composizione era predeterminata dal gioco, in base alla trama, e il giocatore non poteva fare altro che subirla. Se questo può essere visto come una limitazione da un certo punto di vista (quello di FF come serie di sotto-giochi), dal punto di vista della narrazione il gioco ne guadagna: il giocatore ha libertà apparentemente più limitata, ma la contropartita è una trama più coerente, una maggiore immedesimazione e una varietà di gioco forzatamente maggiore (sembra un controsenso, ma il rischio di potersi definire il party è quello di usare sempre gli stessi personaggi, sarebbe a dire quelli preferiti).

Quasi della stessa scuola del quarto capitolo, Final Fantasy IX conduce per mano il giocatore molto a lungo all’interno dell’avventura: per molto tempo, non si trova nemmeno occasione per andare in giro a raggranellare incontri casuali e livellare. Il risultato è duplice: il gioco viene vissuto come l’avventura che è, e non come una palestra per personaggi; e il basso livello che essi generalmente mantengono incrementa il livello di sfida, rendendo gli scontri decisamente più interessanti anche per il giocatore più pigro (quello che preferisce passare un po’ di tempo a livellare per poi andare contro i boss a colpo sicuro, piuttosto che buttarsi allo sbaraglio).

Altra caratteristica che FFIX condivide con FFIV è la varietà, ed estrema caratterizzazione dei personaggi. Non esistono (quasi) personaggi interscambiabili, perché ognuno ha le proprie caratteristiche e abilità uniche: non ci sono Job come in FFV, Esper come in FFVI, Materia come in FFVII (e via dicendo); per questa ragione la creazione di un party, quando consentita, risulta essere un’attività molto più creativa ed appagante.

Da un certo punto del gioco in poi (approssimativamente nel terzo -di quattro- cd di gioco), le maglie della trama si fanno più larghe, in modo che il giocatore possa, se vuole, dedicarsi alle quest minori, al livellamento e a tutte queste belle cose. Il parere di chi scrive è che, per quanto le quest secondarie siano, avulse dal contesto, divertenti e stimolanti, il dedicarvisi privi il gioco di quell’atmosfera che era riuscito faticosamente a mantenere così a lungo. Cosa ne facciamo dunque della oggigiorno tanto auspicata completa libertà d’azione? Continuiamo ad auspicarla, certo, ma senza pretendere che possa sostituirsi in toto alle altre ormai rodate categorie della narrazione, che tanto hanno ancora da dire.

[Diario] La Prima Volta

La prima volta con un videogioco la ricordo distintamente nella sua atmosfera generale, ma molto vagamente nella sua specificità. L’idea di comprendere cosa successe nel momento fatidico di fascinazione definizionale e di nascita dell’esigenza di giocare (più che della successiva volontà di farlo) mi gira in mente da un po’ di tempo e vorrei riuscire a diradare le nubi che separano il momento in cui ancora “ero” da quello in cui “sono diventato”. La verità è che la prima volta non fu la vera prima volta. Iniziai con Pong giocato a casa di un amichetto. E finì lì. Tornai a casa mia che ancora “ero”. Non ricordo nemmeno se mi piacque oppure no. Ricordo il gioco ma non se fosse il vero e proprio Pong o qualcos’altro che ne portava lo stesso nome. Erano due barrette e c’era un quadrato che rappresentava la palla. Tanto basta. Ricordo un’esperienza successiva con un Game & Watch. Un Frogger realizzato molto bene (con tutti i limiti del sistema in se… comunque Frogger era il gioco ideale per i Game & Watch), uno schiacciapensieri avanzato con cui giocai a lungo. Mi buttavo sul letto e andavo avanti per ore fino a consumare le due batterie necessarie per farlo vivere. Il sistema di controllo era formato da un solo joystick mcroscopico e un paio di tasti di cui non ricordo bene neanche le funzioni (il colore mi è rimasto stampato nella mente… e ho pure trovato una sua immagine su internet…). Immagino che il seme fosse stato gettato già con queste due esperienze preliminari e immagino anche che sia scorretto cercare di individuare il momento di passaggio tra un passato e un presente che dal passato si estende fino al futuro che è oggi (non rompete, questo periodo non ammette virgole, altrimenti si capirebbe quanto è assurdo). Sono anche cosciente che l’esperienza è fluida e che non può essere ricostruita per momenti.

Ma veniamo a Scorpion (gioco arcade del 1982 emulato dal MAME) così da concludere questo articolo che ha più a che fare con la masturbazione che con la storia. Parlandone velocemente si può definire uno shoot’em up (quanto mi piaceva questa categorizzazione) a scorrimento orizzontale in cui ci si scontrava con ragni e scorpioni di dimensioni variabili, attraverso una manciata di livelli piuttosto brevi ma difficilissimi. È con Scorpion che sono diventato definitivamente un videogiocatore tossico. Posso ricostruire il passaggio citando vari ricordi che si rincorrono nella mia mente. In primo luogo mi colpì l’accanimento dei grandi intorno al cassone. Ricordo un giocatore particolarmente forte (Chicco… mai saputo il suo nome di battesimo) che fomentava chi lo guardava all’opera. Era veramente bravo e riusciva a terminare tutti i giochi (un paio di anni più tardi sarebbe riuscito nell’impresa titanica di finire Gun Smoke con una sola moneta da 100 lire). Volevo forse essere come lui? Mi piaceva quell’eccitazione e quella “socializzazione” che avvertivo nei commenti più o meno sboccati di chi era semplice spettatore? In fondo quelle persone le conoscevo tutte e rappresentavano grossa parte della mia vita sociale di allora (avevo pochi anni, non ricordo nemmeno quanti con precisione)… ma c’è un altro punto su cui ho riflettuto solo più tardi. Il gioco si chiamava Scorpion, ma tutti lo chiamavano confidenzialmente “La Vedova Nera” perché il nemico finale era un ragno di grosse dimensioni. Durante il gioco si incontravano degli scorpioni giganti in uno dei livelli avanzati. Come ogni bambino mi identificavo con alcuni segni identitari che mi riguardavano: nome, cognome, città di origine… segno zodiacale. Ci ho riflettuto molto e posso affermare che mi esaltava combattere contro gli scorpioni giganti o vedere altri che li affrontavano (ovviamente sono dello scorpione)… era come “essere” nel videogioco, ritrovare il proprio immaginario, ancora mal delineato e non elaborato, all’interno di un contesto esterno in cui mi potevo identificare. Per anni non ho ricordato la forma dell’astronave che si guida durante il gioco, ma ho sempre avuto nitida nella testa quella degli scorpioni contro cui si combatteva.