Terra. Giovedì 19 Ottobre 2006. Eh, sì, alla fine, anche le favole più belle possono arrivare alla conclusione più scontata e lasciare in bocca il classico sapore fecale delle storie di tutti i santi giorni, magari con un leggero retrogusto di silicio leggermente bruciacchiato, come quello che solo i migliori overclockisti sanno ottenere. Perché pare ormai certo: i due novelli sposi hanno deciso di dividere le loro strade. Craft rimarrà fedele all’OS di Casa Gates, mentre Lara, invaghitasi di un hacker filantropo con manie di grandezza, del tipo “voglio salvare il mondo dalla tirannia del software proprietario, perché da questo partirà una rivoluzione che cambierà il modo di pensare dell’umanità“, concederà le proprie grazie in esclusiva a Linux, ovviamente in maniera totally free. Comunque, sembra che il primo a donare al coniuge un palco di corna ricoperto di velluto sia stato Craft. Alcuni screenshots rubati lo avrebbero immortalato in atteggiamenti equivoci con Selen, Eva Henger e Cristina D’Avena. “Sono solo delle amiche con cui amo conversare d’attualità, filosofia, cucina, sigle dei cartoni animati. Non capisco come si possa anche solo pensare che io abbia anche solo pensato di copulare con queste distinte signorine.” Così, Craft, il giorno dopo l’uscita delle indiscrezioni. Girano voci anche che abbia pagato fior di quattrini per far sparire gli scatti incriminati, in una vicenda di ricatti che vede coinvolti anche altri personaggi del mondo videoludico, tra i quali spiccano, senza dubbio, Alex Del Piero in versione Fifa ’98 (quindi irriconoscibile) ed uno sbandieratore ormai in pensione di GP3. Dal canto suo, la popputa ereditiera chiede alimenti per svariati milioni di poligoni al secondo. “Col passare degli anni le schede video si sono sempre più potenziate, elevando il livello di dettaglio e mettendo quindi in luce i difetti epiteliali dovuti ad una vita passata a cadere da colonne, ad essere sforacchiata, tagliata, schiacciata e così via. Adesso sono stanca, voglio essere fotoritoccata ed apparire sempre pixellosa come un tempo.” C’è da capirla. Sono anni che i maschi sessualmente frustrati di tutto il mondo si divertono a “sbatterla” contro pareti e ripiani vari, a farla morire per sfogare i propri desideri repressi, a masturbarsi pensando alla collega d’ufficio vestita e svestita mentalmente con le textures copincollate dal wallpaper sul computer. Adesso basta. Anche la povera Lara vuole diventare adulta e dedicare la propria vita ad associazioni umanitarie. Girare il mondo, fare due passi tra i bambini che muoiono di fame, sorridere alle telecamere ed ai fotografi avvolta nel costume tipico locale. Insomma, guadagnare miliardi facendo la benefattrice. Virtuale.
Archivio Mensile: Marzo 2007
Interiora
Dare voti ai giochi classici… desistere desistere desistere
Immagino che il principio che porta i vari siti e riviste a dare voti ai giochi classici sia quello del “si pagano e vanno giudicati come prodotti commerciali”. Sto ovviamente parlando dei prodotti acquistabili a suon di punti, stelle, caciotte e torroni dalle interfacce delle tre console next-gen che ormai tanto next non sono più ma non ci si lamenta perché è comodo poter raggruppare tre pezzi di plastica in una sola definizione e per giunta così cool da far rabbrividire. Nell’ultimo periodo la console war è combattuta, più che a colpi di esclusive stratosferiche, al ritmo di vecchi sprite pixellosi… in effetti questa next-gen di capolavori ne ha mostrati pochini. Su Xbox 360 se ne conta uno (Gears of War), più una manciata di giochi buoni (ovviamente sto parlando di esclusive), su Wii se ne conta uno (The Legend of Zelda: Twilight Princess), riciclato dalla old-gen, ma proveniente dalla old-old-old-old-gen in quanto a concept, più una serie illimitata di giochetti mediocri o pessimi che, tentando di sfruttare il nuovo controller adattandolo a schemi di gioco old-gen e old-old-gen, sono risultati quasi ingiocabili. Per ultimi rimangono i possessori di PS3 che si stanno ancora chiedendo che cosa hanno comprato a fare la console appena uscita spendendo da 500 ai 600 dollari, visto che di giochi imprescindibili non ce ne sono e che al massimo si contano un paio di prodotti interessanti (Resistance: Fall of Man e Motorstom) ma sinceramente trascurabili. Fortunatamente c’è tempo per aspettarsi di meglio. E qui arrivano i classici.
Il termine classico indica un’opera dal valore universalmente riconosciuto. Coniato inizialmente per definire le opere dell’antichità greca e romana, è stato esteso a tutte quelle opere dell’ingegno che, secondo ogni epoca, formano o dovrebbero formare la cultura “ideale”. Insomma, un classico è un modello teorico da seguire o che è stato già seguito e che ha prodotto una linea di “idee” che a lui fanno capo… un sopravvissuto al tempo e alla memoria.
Ovviamente tutto questo discorso ha senso se si specifica che il “classico” è un prodotto essenzialmente contemporaneo, cioè viene pensato dal presente come sua funzione esclusiva, spesso come base stessa della possibilità di esistere del nuovo, che ad esso si appoggia. Il mondo dei videogiochi in questo senso non fa differenza dal resto della cultura e, con il passare dei decenni, ha prodotto una sua rosa di “classici” da commemorare e citare.
Sfatiamo un mito diffuso: non tutti i giochi vecchi sono “classici”. Un classico, per essere tale, deve continuare a produrre nel presente, fosse anche lavorando per negazione. In questo senso è possibile considerare classici tutti quei giochi che hanno introdotto i concetti base dei videogiochi (vite, labirinti, lotta contro il tempo ecc), quindi i vari Pacman, Space Invaders, Space Wars, Pong ecc rientrano tutti ampiamente nella definizione perché continuano il loro ciclo vitale (che non corrisponde con il ciclo economico) nonostante tutto, producendo ancora oggi cultura videoludica. Un classico è Super Mario Bros, ma non Mario Bros. Un classico è R-Type ma non Cotton. Si può assurgere allo stato di classico anche soltanto quando è una singola caratteristica originale ad essere penetrata nella cultura videoludica: Max Payne è un classico perché introduce il Bullet Time nei videogiochi rappresentando un punto di inizio… magari meno determinante rispetto ad altri punti d’inizio, ma pur sempre da considerare come tale.
Detto questo, torniamo alla nostra next-gen e all’atteggiamento che la stampa specializzata sta avendo nei confronti delle varie riesumazioni in atto. In primo luogo va considerato che questo, per ora, è uno dei pochi modi per “recensire” qualcosa di associabile alla next-gen. Il numero di prodotti per le nuove console sarà probabilmente ridotto rispetto a quello delle vecchie per il semplice fatto che i costi di sviluppo hanno raggiunto livelli stratosferici e non tutti potranno permettersi, soprattutto all’inizio, di far uscire vagonate di titoli destinati al fallimento. Questo significherà un’assestarsi del mercato intorno ai soliti grandi nomi con l’impossibilità per i piccoli di entrare in gioco, anche con idee potenzialmente vincenti. La situazione si è già delineata in questo modo con la old-gen, ma il fenomeno, probabilmente, sarà ancora più marcato con la next-gen. I giocatori hanno però già accettato mentalmente il salto generazionale. La console più venduta rimane la PS2, ma nessuno ci fa più troppo caso. Tutti sono proiettati verso il futuro e sicuramente l’interesse verso le nuove console è maggiore rispetto a quello che c’è intorno alle vecchie. Una PS2 è troppo vecchia per essere confrontata con la PS3 ma troppo nuova per generare comunità di appassionati della sua “classicità”, come avviene normalmente per i sistemi del passato. Questo maggiore interesse verso il “nuovo” si traduce essenzialmente in vendite maggiori di tutto ciò che con esso è correlato. È risaputo, ad esempio, che nell’editoria specializzata le riviste vendano più copie nei momenti di svolta… ovvero quando il passaggio verso i nuovi sistemi è ancora nebuloso e i potenziali acquirenti sono eccitati dalla novità. Una vera e propria fase di innamoramento che fa balzare in alto gli introiti di tutto l’ambiente paratestuale alle console stesse. In questi periodi c’è grossa fame di articoli “per tempo”… quindi si moltiplicano articoli di lancio con previsioni, statistiche, dati… una specie di gossip tecnologico che, come il passato ha sempre dimostrato, non significherà quasi nulla in termini assoluti (che la PSP sia più potente del DS è un fatto che nemmeno la Nintendo ha mai nascosto… però i dati di vendita hanno dato ragione a quest’ultima, contro tutte le previsioni degli “espertologi” del settore che volevano la PSP regnare sovrana ancor prima del lancio). I dati nudi e crudi andrebbero sempre letti “nel tempo” e, soprattutto nelle fasi antecedenti al lancio di una nuova macchina, si dovrebbero sollevare dubbi legittimi, più che incensare religiosamente l’ignoto… purtroppo questo non avviene che in rari casi e regolarmente si ripetono le stesse situazioni con articoli fotocopia prodotti in serie che però ottengono sempre ottimi riscontri in termini di lettori.
“Ma insomma, questi classici?” vi starete chiedendo. Beh, ve ne ho parlato fino ad ora e non ve ne siete accorti. Che senso ha dare un voto oggi a Super Mario Bros? Più in generale, che senso ha dare un voto ai “classici”? Giudicare i vecchi giochi considerandone l’ “invecchiamento” è una pratica malsana che si sta diffondendo a macchia d’olio. 2 stelle a Contra perché non è invecchiato benissimo, 4 a Super Mario Bros perché è ancora divertente nonostante la grafica scarna e 4,5 a Ocarina of Time perché è sempre un capolavoro ma non è più visivamente appetibile come un tempo… Sinceramente… a chi serve questa roba? I nuovi giocatori devono concepire il passato paragonando il motore grafico di A Link to Past a quello di Oblivion? Un gioco è diventato brutto perché sui nuovi televisori i pixel sono più evidenti?
Francamente, leggere certi articoli in cui i giochi del passato vengono analizzati pensando costantemente al presente mi fa un po’ ridere. Pare più un modo di parlare del nuovo a tutti i costi sfruttando il vecchio, piuttosto che esaminare sinceramente un nuovo prodotto. Forse sarebbe il caso di ipotizzare un valore che vada al di là di un voto. Forse Super Mario Land e/o Castlevania Symphony of the Night, tanto per fare due esempi, si potrebbero consigliare per il loro valore assoluto al posto di giochi che questo valore assoluto non ce l’hanno (e forse non ce l’hanno mai avuto), descrivendoli per quello che sono e sono stati piuttosto che mirando ad affibiare il solito voto partendo dalle categorie classiche… eppure gli articoli vanno scritti per i giocatori next-gen, anche se questi vengono dalla old-old-old-old-old-gen e se ne fottono se il commentatore di turno considera inaccettabile un pixel di troppo in un gioco di vent’anni fa. I classici attirano i giocatori spesso soltanto per il fatto di suscitare in loro dei ricordi (vedi post precedente di questo blog). Figurarsi se uno si fa rovinare i ricordi da un recensore che ha deciso di maltrattare un vecchio gioco con un votaccio… come poi se avesse senso farlo.
Ma forse il voto serve per i giocatori più giovani, crederanno alcuni…
mah…
mettereste mai i voti a Eschilo e Sofocle per consigliarli a qualcuno? Se si vogliono preservare veramente i videogiochi “classici” bisogna iniziare a valorizzarli per quello che hanno rappresentato e non soltanto per quanto siano ancora freschi per il mercato… non stiamo parlando di pesce. È che spesso sembra che l’industria stessa, intesa complessivamente, abbia paura di svezzare il concetto di videogioco dandogli maggiore dignità… che poi è quello che è successo nei secoli con la letteratura, la scultura, la poesia, la pittura, il cinema ecc.
Longplay
Alle volte non si ha tempo per rigiocare alle vecchie glorie che si sono tanto amate. Eppure fa piacere rivedere un vecchio boss che ci ha fatto penare o ripercorrere un livello particolarmente ostico, o semplicemente affascinante, in grado di riportarci alla memoria bei momenti di gioco. Da vecchio giocatore proveniente dal C64 ho nella memoria moltissimi giochi che posso legare a momenti particolari della vita, esperienze ludiche indelebili che non si cancellano nonostante i lustrini delle produzioni più recenti. Noi esseri umani siamo fatti così, per quanto ci sforziamo di vivere al presente ad un certo punto iniziamo a sentire il peso del passato che ci consola o ci atterrisce, con le sue schegge di vita continuamente rilette. Spesso viene voglia di navigare nei ricordi seguendo associazioni più o meno spontanee che fanno riaffiorare momenti che pensavamo dimenticati. Non potrò mai dimenticare la meraviglia mista alla frustrazione davanti a Shadow of the Beast II, la gioia provata dopo aver finito The Legend of Hero Tomna la prima volta davanti ad una folla rapita di ragazzini increduli, l’arrivo a casa di mio fratello con in mano una copia originale di Batman the Movie per C64, le ore passate con Speedball 2 e i Joystick rotti con World Games. Ricordo le giornate passate a guardare un tipo (Chicco, lo chiamavamo… non ricordo neanche il nome vero) giocare a Gun Smoke e arrivare allo scontro con i tre fratelli, ricordo la prima volta che avviai un gioco per Amiga, dopo aver passato vari anni con il C64… I, Ludicrus, si chiamava… faceva schifo, ma a me piacque lo stesso. Insomma, quei momenti sono irripetibili… ma fortunatamente gli emulatori, le varie console virtuali delle nuove console e alcune raccolte ci permettono di rigiocare quanto si pensava irrimediabilmente perduto e dimenticato prima dell’avvento di internet. Ma, come dicevo all’inizio, se non si ha tempo per rigiocare? Beh… ci sono i longplay. Si tratta, sostanzialmente, di filmati in cui un singolo videogioco viene giocato dall’inizio alla fine. Solitamente i longplay vengono realizzati da grandi appassionati in grado di non perdere vite in titoli difficilissimi come Project-X o di finire Shadow of the Beast II senza Ten Pints. Insomma, oltre a solleticare le memorie di ognuno di noi, questi filmati mostrano anche una maestria che si può trasformare in ammirazione. Il fenomeno riguarda soprattutto il C64 e l’Amiga, ma cercando bene si possono trovare filmati del genere un po’ per tutte le piattaforme (celebre il longplay o perfectplay di Ikaruga).
Per vederne qualcuno andate su Youtube e cercate “longplay”. Vi apparirà una lunga lista di filmati.
Altro modo per ottenere i longplay è quello di cercarli su Emule, anche se il download è piuttosto lento.
Un sito molto fornito di longplay di giochi Amiga è http://recordedamigagames.ath.cx/ da dove si possono scaricare in vario modo.
MotorStorm (ovvero: alcuni pensieri su PS3)
Produzioni come MotorStorm vengono concepite al fine di mostrare, sin da subito, le potenzialità tecnologiche di una nuova piattaforma. Infatti, un po’ come accaduto per Killzone 2, le clip del gioco mostrate allo scorso E3 risultavano una grande goduria per gli occhi, e motivo di infinite fantasticazioni sulle capacità della ventura PlayStation 3. Per tali ragioni, avvicinarmi a questo titolo per me ha significato una sorta di “prova del nove”, ossia un esame mediante il quale muovere un primo passo verso la formulazione di un giudizio sull’offerta next-gen di Sony.
Compiacersi della propria guida muscolare: ecco il succo del gameplay. L’utente può scegliere tra diversi mezzi (ATV, moto, jeep, camioncini, e via di questo passo) e affrontare, a suon di sportellate, di calci e di scorrettezze varie, i suoi avversari (secondo quanto ho avuto modo di vedere, latita una modalità multiplayer, quindi niente party tra amici) in tracciati che assomigliano a campi di battaglia piuttosto che a sede di corse motoristiche. That’s all. Niente di più, niente di meno.
MotorStorm, nel suo continuo rincorrere l’esaltazione della volontà di potenza del giocatore, mette in luce un aspetto, che azzarderei elevare a paradigma, caratterizzante la PS3, e, in particolar modo, il suo controller (il Sixaxis): manca la vibrazione. Mai, e sottolineo mai, avrei pensato che una simile lacuna potesse gravare così tanto sull’esperienza ludica; ho temuto, per un attimo, di aver compiuto un balzo nel passato, di esser tornato a dieci anni fa (complici sono le meccaniche di gioco del titolo in esame, che non introducono alcuna novità significativa né nel modello di guida né nelle modalità single-player nel mondo delle corse arcade). A cosa serve la potenza del Cell, a cosa serve l’alta definizione, a cosa serve la capienza del supporto Blu-Ray se l’interfaccia utente-macchina-gioco consiste in un tale collo di bottiglia? Ci sono i sensori di movimento, si obietterà. Hanno aggiunto i grilletti, si osserverà. Beh, sono titubante. Aspetto critiche nei confronti del presente post, e nel frattempo resto a guardare.
In The Pit
Mai visto un gioco senza grafica? Non parlo di grafica simbolica o formata da pochissimi elementi. Parlo proprio di un videogioco con cui si può tranquillamente giocare ad occhi chiusi. Gli unici requisiti sono un paio di cuffie (o un impianto surround ben posizionato) e un joypad dell’Xbox 360. Avviato In The Pit, questo il nome del gioco, il desktop non cambierà di una virgola ma inizierete a sentire delle voci. Premendo il tasto A del controller partirà il tutorial, sempre vocale, mentre premendo il tasto start inizierà il gioco vero e proprio. Il vostro scopo è quello di raggiungere una vittima che come voi è stata gettata in un pozzo oscuro… talmente oscuro che non si vede proprio niente. Per raggiungerla ed eliminarla dovrete contare soltanto sul vostro udito, ovvero dovrete sentire la direzione da cui provengono i vari suoi emessi dalle vittime (respira, lamenti, urla ecc) e dirigervi in quella direzione. Quando sarete nei pressi del vostro obiettivo, i suoni diverranno più alti e il controller inizierà a vibrare. Più vi avvicinerete più la vibrazione diverrà intensa. Uccisa la vittima passerete allo stage successivo. La difficoltà dei vari livelli è determinata dalla velocità di movimento della vittima di turno.
Sembrerà strano ma funziona. Basta chiudere gli occhi e abbandonarsi completamente al gioco. Essere privati di tutti i punti di riferimento visivi rende l’atmosfera incredibile… all’inizio sembra come di dover rinunciare al gioco, perchè idealmente sembra mancare un elemento essenziale di tutti i videogiochi, anche di quelli prettamente musicali, ma poi ci si lascia trasportare e diventa un’esperienza intensa e incredibilmente articolata che dimostra come si possano esplorare ambiti differenti da quelli canonici riuscendo a proporre qualcosa di originale.
Se volete provarlo potete scaricarlo dalla pagina ufficiale: In The Pit
Come ho potuto dimenticarlo? Se vi interessa l’argomento, NEO-GEO aveva già postato la recensione di alcuni videogiochi che si basano sullo stesso concept. Potete leggere l’articolo qui. Chiedo venia, è colpa della senilità galoppante.
Civilization
<<Uccidi tuo padre e scopa tua madre, viene detto ad Edipo; uccidi tuo padre e fotti tua madre, urla disperato Jim Morrison…>>
Piccola citazione tratta dalla prefazione del libro Civilization: Storie virtuali, fantasie reali, scritta da Mario Ricco.
Cominciamo male. A Edipo nessuno ha mai detto niente del genere. “Disse che era destino che mi accoppiassi con mia madre per mostrare agli uomini una stirpe spaventosa da vedere“, così Edipo racconta, nell’Edipo Re di Sofocle, quello che la Pizia di Delfi gli profetizzò quando ancora viveva con i genitori adottivi, che oltretutto l’eroe tragico non sapeva essere tali. Esistono molte altre versioni del mito, ma in nessuna di esse Edipo è obbligato a compiere ciò che gli è stato profetizzato. Non si capisce bene da dove siano stati desunti gli imperativi della versione di Marco Ricco… ma forse è solo una citazione pressapochista e va presa come tale. Certo che iniziare una raccolta di saggi su Civilization in questo modo…