E3

crossLa stampa non può vivere senza E3. Anche se l’E3 non rappresenta più niente ogni anno si dissimula eccitazione davanti alla presentazione di giochi di cui si conosce più o meno tutto. All’interno della fiera, quest’anno ridotta a sola vetrina per gli addetti ai lavori, le novità si possono contare sulle dita di una mano. Basta leggere i vari reportage per rendersene conto.

Internet ha reso queste fiere pura spazzatura utile per riempire siti e riviste e nulla più. Oltretutto quest’anno è stato evidente lo scollamento della fiera dalla realtà del mercato, sempre più eterogeneo e sempre meno definibile a causa di tutte le sue diramazioni.

Ad esempio dov’era il ricchissimo mercato del mobile gaming?

Dove sono i casual game?

Quest’anno mancavano anche i videogiocatori…

C’erano i giornalisti… ma per avere certe informazioni non sarebbe bastato leggere i comunicati stampa dei PR? Ad esempio perché scomodarsi per farci sapere che Fallout 3 è impressionante. Lo si può dire un po’ di tutti i giochi. Un bel copia/incolla e ci si risparmia la fatica della rielaborazione. Tanto non è che ci sia molto tempo per provare i giochi, e quindi un giudizio vale l’altro. C’è chi è stato impressionato da una cosa, chi da un’altra e così via. Tutto nella norma, insomma. Ma molta confusione in meno.

Oltretutto questi reportage appaiono sempre più incompleti. Vuoi per l’impossibilità di vedere veramente tutto, senza tornare la sera in albergo con le vene varicose esplose, vuoi per una certa mancanza di sensibilità e preparazione che non permette, ad esempio, di descrivere la fiera in sé. Sto parlando di quella nobile attività che descrive, oltre a ciò che vogliono gli addetti marketing, anche l’ambiente in sé, ovvero l’andare oltre la descrizione dell’aura magica che fa tanto comodo scomodare quando non ci si vuole sforzare a descrivere e ad osservare.

A regnare sovrana è l’aneddotica, non potendo più fotografare tope di ogni tipo che facevano la gioia di tanti videogiocatori allupati.

Bisognerebbe, invece, che qualcuno, tra i mille articoli tutti uguali su giochi già conosciuti, inserisse qualche osservazione sulla persuasività dell’evento e sull’umanità che lo frequenta. Così da togliere un po’ di flou da questo mondo che qualcuno vorrebbe illustrare ancora come fatato. Se qualcuno vuole stupirti con le tecniche più idiote e tu ti lasci stupire ogni volta senza battere ciglio, ti conviene almeno farti corrompere… così eviti di prenderti troppo sul serio.

Re-Mission – Videogiochi vs Cancro

re-mission

Mi preme di segnalare questo videogioco completamente gratuito, prodotto dalla HopeLab, che si prefigge il nobile scopo di sensibilizzare i più giovani alla lotta contro il cancro. Di seguito trovate una lista di link utili per scaricarlo (2 GB) e avere tutte le informazioni del caso sull’iniziativa.

Il sito ufficiale di Re-Mission

Il sito della HopeLab

Cosa è HopeLab (Wikipedia)?

Making of di Re-Mission

Un altro video su Re-Mission

Gli Ani in Faccia – John Riccitiello

riccitielloMentre all’E3 l’Electronic Arts presenta la solita carrettata di seguiti e controseguiti dei suoi brand miliardari che da anni infestano monitor e televisioni di tutto il mondo, leggo su Gamesblog: «Stiamo annoiando a morte le persone facendo giochi sempre più difficili da giocare. Per la maggior parte, l’industria si limita a ripetere cose già fatte. Ci sono tanti prodotti che sembrano identici alle versioni dell’anno prima, e che si giocano come le versioni dell’anno prima.»

Questa dichiarazione, rilasciata nientemeno che dal CEO di EA, John Riccitiello, mi ha convinto a fondare questa nuova rubrica, che avrà una cadenza casuale, ovvero spunterà fuori ogni qual volta dal mondo dell’industria dei videogiochi qualcuno farà dichiarazioni degne dell’ambitissimo premio: L’Ano in Faccia; un tributo a tutti quelli che con le loro parole colorano le nostre giornate di incredulità e di risate sonanti.

Pensateci bene, le parole riportate, in bocca al CEO di EA, sono un vero e proprio ossimoro. Va inoltre ricordato che John Riccitiello è colui a cui dobbiamo l’attuale modello di business di EA, di cui prese in mano le redini nel 1997 e che guidò fino al 2004. Dopo un breve periodo fuori dalla società, in cui ha fondato Elevation Partners insieme a Bono degli U2 e ad altri, Riccitiello ha ripreso il suo posto di CEO in EA nel 2007.

Insomma, il capoccia di EA si lamenta dell’eccessiva serialità dei videogiochi e della loro difficoltà, secondo lui troppo alta… Bene, è arrivato il momento di creare un nuovo modello di gameplay: “i videogiochi che si finiscono da soli”, così finalmente il sogno di molti potrà avverarsi: “fai partire il gioco e stai a guardare”. In fondo i videogiochi non hanno da sempre ambito ad essere come il cinema?

Impossible Mission (Nintendo DS)

Impossible Mission è un’ammissione d’impotenza. Dopo anni in cui i remake dei giochi classici hanno sempre (o quasi) deluso, la System 3 annuncia l’inutilità stessa dei remake proponendo la copia carbone di uno dei classici del C64. Ovviamente gli mette un vestitino nuovo: cambia il packshot della confezione ammiccando pesantemente alla saga degli Splinter Cell, rinnova la grafica e, in onore al “vecchio”, inserisce la versione originale del gioco sulla stessa cartuccia.

Tutto è identico: salti millimetrici, la lotta contro il tempo, la necessità di esaminare gli oggetti nelle stanze per cercare le parti di un codice segreto ecc. I nostalgici inveiscono: cosa ce ne facciamo di un nuovo Impossible Mission uguale al vecchio Impossible Mission? Chi lo amava lo ha già emulato da tempo e non ha certo bisogno di qualche sprite più definito per sentirsi appagato. Gli ultimi anni stanno segnando una crisi inesorabile con il riaffacciarsi sul mercato di classici maltrattati in vario modo e usati come paccottiglia da sfruttare per giustificare certe operazioni commerciali. I classici sono ovunque e il nuovo sembra essere solo una vetrina per il vecchio. Al grido di “costi 0” vengono prodotti e riadattati giochi che meriterebbero di essere ricordati per quello che hanno rappresentato e non per delle riproposizioni fallimentari. Impossible Mission è sempre Impossible Mission. Ma perché sporcarne la memoria? Qui si è tentato di clonare l’inclonabile, di offrire su un vassoio d’argento il vomito di una società ludica tramontata e digerita. Non voglio arrivare a giudicare male uno dei giochi che più ho amato sul C64, ma questi omicidi non possono passare inosservati. Qualcuno ha deciso che è possibile stuprare i vecchi sogni, nell’indifferenza delle nuove generazioni e nell’orrore mediato delle vecchie. Quello che non sopporto è proprio il fatto che appena ho saputo che stavano per sputare sul mercato un clone di Impossible Mission mi sono fiondato a comprarlo. Quello che non sopporto è di essermi fatto volontariamente ingannare per l’ennesima volta.

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Lo strano caso di Manhunt 2

TOPIC FORUM

Manhunt 2Mission accomplished. RockStar è riuscita anche stavolta a far parlare di sé, ovunque: nei forum, in treno, sui giornali, nei salotti della politica.

Iniziamo dai fatti: il mese scorso la British Board Of Film Classification (per gli amici BBFC) ha giudicato non distribuibile sul suolo del Regno Unito Manhunt 2 per via del suo “sadismo casuale, prolungato e cumulativo nel modo in cui le uccisioni vengono compiute e incoraggiate” e che potrebbe costituire un serio rischio per certe fasce d’utenza particolarmente deboli. Successivamente, il ministro delle telecomunicazioni Paolo Gentiloni si è espresso negli stessi termini a proposito del prodotto, proponendone il bando anche in Italia. Ed infine, vero colpo di grazia, la ESRB (che ha il compito di valutare i videogiochi rilasciati per il mercato nordamericano) ha classificato il titolo sotto la categoria “Adults Only” piuttosto che “Mature”. Una tale valutazione preclude al software il noleggio in catene come BlockBuster ma, cosa ben più grave, è rigettata sia da Sony sia da Nintendo. Tutti questi eventi hanno indotto il publisher, l’arcinota Take-Two, a sospendere lo sviluppo del gioco temporaneamente, gettando Manhunt 2 in un limbo di incertezze sul suo futuro.
Il putiferio.

Mission accomplished, dicevo. O forse no? Forse gli sviluppatori, tanto inclini alla provocazione, alla violenza, al tirare la corda sempre più in là, a questo giro sono giunti in un vicolo cieco. Forse i divieti che riguardano Manhunt 2 in realtà sono messaggi volti allo stabilire una volta per tutte quale sia la linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito (almeno secondo politici e organi di valutazione) per il mondo dei videogiochi, e per farlo sono stati scelti gli alfieri (mainstream, si intende) della carnografia e della trasgressione a mo’ di vittime sacrificali. O forse, ancora, Manhunt 2 è semplicemente vittima di quei pregiudizi che permeano da sempre il settore. A noi comuni mortali è lasciata solo la facoltà di speculare sulla vicenda, perché ignari delle reali intenzioni dei censori e, soprattutto, perché impossibilitati a provare effettivamente il prodotto.

Però, a differenza di tanti casi analoghi, nelle comunità dei videogiocatori adesso si assiste ad un fenomeno inedito per estensione: ci si interroga diffusamente se sia giusto porre limiti ai videogame. Su Punto Informatico, ad esempio, Davide Bennato propone un'”etica del videogioco” che si faccia carico della effettiva delicatezza di alcuni contenuti posti dinanzi a certi pubblici, e che riesca a risolvere il problema attraverso l’elaborazione di un sistema flessibile capace di non urtare la sensibilità di utenze particolari. Nel forum di Ars Ludica è tuttora in corso un dibattito piuttosto vivace atto a stabilire – tra gli altri spunti di riflessione sollevati – se sia accettabile o meno imporre dei confini contenutistici al medium e quanto essi debbano risultare stringenti.
Manhunt 2 bis
Il problema non è banale. Nel momento in cui si accettano le peculiarità che distinguono il videoludo dalle altre forme di intrattenimento e/o di arte, prima fra tutte l’interattività, si accetta il fatto che sia capace di esercitare influenze forti su chi ne fruisce. E, di conseguenza, un’opera censoria diviene indispensabile. Però, al fine di garantire un servizio efficiente, bisogna che l’organo che se ne occupi sia competente in materia. Le mie preoccupazioni cominciano da questo ultimo punto. Io non penso affatto che oggi i videogame siano giudicati dalle persone giuste con le capacità giuste. Per meglio esprimermi, non sto delegittimando l’agire del PEGI o dell’ESRB, pavento bensì le intromissioni politiche. La storia ci ha insegnato che è sufficiente un estabilishment compatto per ridurre ai minimi termini un’arte, un comportamento sociale, un intero popolo. Basti guardare al caso di Rule of Rose e di Operazione: Pretofilia, giusto per rammentare quelli più freschi e accaduti in Italia. Sono bastate le parole di persone male informate e non coinvolte nel processo valutativo per scatenare casi mediatici o vere e proprie minacce.

Al di là di tutte le paranoie, rimangono degli interrogativi: quali sono (ed in base a quale criterio elaborare) i limiti da apporre ai videogiochi? E a chi affidare il compito? E’ giusto parlare di etica, nei videogame? Discutiamone insieme.