TOPIC FORUM
Mission accomplished. RockStar è riuscita anche stavolta a far parlare di sé, ovunque: nei forum, in treno, sui giornali, nei salotti della politica.
Iniziamo dai fatti: il mese scorso la British Board Of Film Classification (per gli amici BBFC) ha giudicato non distribuibile sul suolo del Regno Unito Manhunt 2 per via del suo “sadismo casuale, prolungato e cumulativo nel modo in cui le uccisioni vengono compiute e incoraggiate” e che potrebbe costituire un serio rischio per certe fasce d’utenza particolarmente deboli. Successivamente, il ministro delle telecomunicazioni Paolo Gentiloni si è espresso negli stessi termini a proposito del prodotto, proponendone il bando anche in Italia. Ed infine, vero colpo di grazia, la ESRB (che ha il compito di valutare i videogiochi rilasciati per il mercato nordamericano) ha classificato il titolo sotto la categoria “Adults Only” piuttosto che “Mature”. Una tale valutazione preclude al software il noleggio in catene come BlockBuster ma, cosa ben più grave, è rigettata sia da Sony sia da Nintendo. Tutti questi eventi hanno indotto il publisher, l’arcinota Take-Two, a sospendere lo sviluppo del gioco temporaneamente, gettando Manhunt 2 in un limbo di incertezze sul suo futuro.
Il putiferio.
Mission accomplished, dicevo. O forse no? Forse gli sviluppatori, tanto inclini alla provocazione, alla violenza, al tirare la corda sempre più in là, a questo giro sono giunti in un vicolo cieco. Forse i divieti che riguardano Manhunt 2 in realtà sono messaggi volti allo stabilire una volta per tutte quale sia la linea di demarcazione tra il lecito e l’illecito (almeno secondo politici e organi di valutazione) per il mondo dei videogiochi, e per farlo sono stati scelti gli alfieri (mainstream, si intende) della carnografia e della trasgressione a mo’ di vittime sacrificali. O forse, ancora, Manhunt 2 è semplicemente vittima di quei pregiudizi che permeano da sempre il settore. A noi comuni mortali è lasciata solo la facoltà di speculare sulla vicenda, perché ignari delle reali intenzioni dei censori e, soprattutto, perché impossibilitati a provare effettivamente il prodotto.
Però, a differenza di tanti casi analoghi, nelle comunità dei videogiocatori adesso si assiste ad un fenomeno inedito per estensione: ci si interroga diffusamente se sia giusto porre limiti ai videogame. Su Punto Informatico, ad esempio, Davide Bennato propone un'”etica del videogioco” che si faccia carico della effettiva delicatezza di alcuni contenuti posti dinanzi a certi pubblici, e che riesca a risolvere il problema attraverso l’elaborazione di un sistema flessibile capace di non urtare la sensibilità di utenze particolari. Nel forum di Ars Ludica è tuttora in corso un dibattito piuttosto vivace atto a stabilire – tra gli altri spunti di riflessione sollevati – se sia accettabile o meno imporre dei confini contenutistici al medium e quanto essi debbano risultare stringenti.

Il problema non è banale. Nel momento in cui si accettano le peculiarità che distinguono il videoludo dalle altre forme di intrattenimento e/o di arte, prima fra tutte l’interattività, si accetta il fatto che sia capace di esercitare influenze forti su chi ne fruisce. E, di conseguenza, un’opera censoria diviene indispensabile. Però, al fine di garantire un servizio efficiente, bisogna che l’organo che se ne occupi sia competente in materia. Le mie preoccupazioni cominciano da questo ultimo punto. Io non penso affatto che oggi i videogame siano giudicati dalle persone giuste con le capacità giuste. Per meglio esprimermi, non sto delegittimando l’agire del PEGI o dell’ESRB, pavento bensì le intromissioni politiche. La storia ci ha insegnato che è sufficiente un estabilishment compatto per ridurre ai minimi termini un’arte, un comportamento sociale, un intero popolo. Basti guardare al caso di Rule of Rose e di Operazione: Pretofilia, giusto per rammentare quelli più freschi e accaduti in Italia. Sono bastate le parole di persone male informate e non coinvolte nel processo valutativo per scatenare casi mediatici o vere e proprie minacce.
Al di là di tutte le paranoie, rimangono degli interrogativi: quali sono (ed in base a quale criterio elaborare) i limiti da apporre ai videogiochi? E a chi affidare il compito? E’ giusto parlare di etica, nei videogame? Discutiamone insieme.