Prodotto da Capcom| Sviluppato da Airtight Games | Piattaforme PC, Xbox 360, PS3 | Rilasciato nel 2010

Un drago? Via il jetpack, datemi una spada +5!
La versione testata è quella PC
Dark Void è un gioco d’azione in terza persona come tanti altri al mondo. Quindi: si spara, ci si mette dietro le coperture, si potenziano le armi e si segue una sciocca storia a metà strada tra il misticismo d’accatto di Enrico Ruggeri e la fantascienza da riporto di Stargate. L’unica peculiarità del titolo di Airtight Games è il jetpack sulla schiena del protagonista che gli permette, ma guarda un po’, di volare.
La storia è quella di un tizio che nell’arco di quattro anni non si è mai cambiato la giacca, la camicia e i pantaloni (almeno così pare dai flashback di gioco… chissà se almeno le mutande…), però fa innamorare le donne ed è il prescelto, il terrore di una razza di alieni vermiformi che si sentono dei e che si vestono con corazze robot e tuniche rubate dall’armadio di Ratzinger. Se gradite, vi racconto anche che in un remoto passato i vermoni trattavano gli umani come schiavi: agli umani la situazione rodeva un po’, quindi si sono uniti e li hanno cacciati in una dimensione parallela. I vermoni non l’hanno presa bene e ora vogliono tornare per distruggerli, ma a mettergli i bastoni tra le ruote ci pensa la resistenza, gente dalla scorza dura che vive in un’astronave a forma di supposta.
Dark Void è breve (si finisce in una manciata di ore) e nient’affatto intenso. I primi livelli promettono male, con sparatorie ripetitive e qualche fase platform poco ispirata, ma in fondo si lasciano giocare nella speranza che le cose migliorino. Indossato il jetpack arriva il meglio, ma ben presto ci si rende conto che anche le sezioni volanti, che dal secondo capitolo in poi occupano la maggior parte del gioco, sono ripetitive a causa della scarsa varietà dei nemici, che oltretutto si mostrano tutti immediatamente. Alcune sezioni sono più impegnative di altre, ma in generale il livello di difficoltà è piuttosto basso (e ci ho giocato con il joypad, figurarsi con mouse e tastiera).

Non fatevi ingannare dall'apparente bellezza della scenografia, i livelli con il jetpack si assomigliano tutti.
A livello narrativo non ci siamo proprio, nel senso che dalla trama e da come viene raccontata non si riescono a trarre grossi spunti di discussione o riflessione. C’è il solito preselezionato telefonicamente che deve salvare il mondo, c’è la solita menata sulle potenzialità inespresse dell’essere umano, ci sono alcuni flashback inutili che fanno vedere brandelli del passato del protagonista (ho già detto che sto tizio non si cambia la giacca da anni?) e ci sono dei murales che mescolano qualsiasi stupidaggine esoterica in cui siete potuti incappare negli ultimi dieci anni (tentacoli e occhi nei triangoli, che originaloni). Non manca un drago (esatto, non sto scherzando) e non manca Londra. Insomma, pensate ai luoghi comuni più beceri che conoscete e potete stare certi che in Dark Void ci sono.
Il sistema di controllo in volo non è male come viene descritto da molti; più che altro bisogna abituarsi e, soprattutto, bisogna rimappare i tasti, perché la configurazione di default è deficitaria sotto diversi punti di vista (il tasto per eseguire le manovre in volo va premuto con lo stesso dito che si usa per accelerare e frenare… geniali). In generale, le sezioni in volo sono le migliori del gioco, ma non è che facciano gridare al miracolo: in realtà si spara e basta. Si sente la mancanza di un po’ di esplorazione e di livelli più articolati, pensati per sfruttare a dovere il jetpack.
Il sistema di potenziamento delle armi deve essere stato pensato da un genio del male, qualcuno pagato apposta per fare scelte di design suicide: andiamo con ordine e non scomponiamoci troppo. Per potenziare le armi e il jetpack bisogna spendere delle sfere energetiche, che si accumulano uccidendo nemici, o trovando dei luoghi segreti nascosti nelle mappe. Le armi sono sei in totale e ogni pezzo dell’arsenale, jetpack incluso, è potenziabile di due livelli: purtroppo però i prezzi per gli upgrade sono folli e quindi le scelte sono limitate, e appena si inizia a usare il jetpack ci si rende conto che va portato per forza al massimo livello, pena l’essere troppo deboli negli scontri aerei e morire in continuazione. Le armi migliori arrivano alla fine del secondo capitolo: un cannone gravitazionale e un fucile energetico, aggeggi potenti e divertenti da brandire, ma il cui problema è di essere completamente inutili, perché per il resto del gioco sarà impossibile usarle. Arrivo quindi al punto: che senso ha far potenziare delle armi che tanto il giocatore non potrà sfruttare? L’unico livello senza jetpack dell’ultimo capitolo (il terzo) vede tutte le armi sottratte al protagonista, che deve accontentarsi delle prime quattro (quelle impugnate anche dai nemici). Ovvero, perché mi avete permesso di spendere i sudatissimi punti tecnologici su qualcosa che tanto non potrò mai usare? Poi non vi lamentate se uno si arrabbia e vi stronca i giochi…
Commento: Dark Void è corto, visceralmente ripetitivo e scontato sotto tutti i punti di vista. Consigliarlo? Non sia mai, tranne se siete amanti dei giochi brutti come me. Meglio Dark Void Zero, la versione 2D con la grafica che imita un gioco per NES.
PS. Voci incontrollate affermano che dentro la giacca del protagonista si sia sviluppato un vero e proprio ecosistema autonomo. Ve l’ho detto che non se la toglie da almeno quattro anni?
- Non fatevi ingannare dall’apparente bellezza della scenografia, i livelli con il jetpack si assomigliano tutti.
- Tanto rumore per nulla.
- Saruman!!! C’è pure il Palantir (ma non è un gioco di fantascienza?)
Secondo me facciamo prima a pubblicare l’audio di Karat mentre gioca suddetti titoli 🙂
Che invece, giustamente, Dak Void Zero è veramente ma veramente caruccio, roba che se fosse uscito ai tempi oggi avrebbe la sua giusta fama da “gioco capcom nudo e crudo”.
Considerando che costa una sciocchezza su Steam, ha il fascino del retrogaming anche se moderno, è decisamente meglio pensato di questo e più divertente viene da pensare che ogni tanto il vecchio pregiudizio del “ah i giochi vecchi erano meglio di quelli di oggi” non sia del tutto campato in aria in certe occasioni.
In generale è il concept minimalista di quel tipo di giochi lì che spacca.
Dovrebbe essere riscoperto, un po’ come ha fatto Lara Croft.
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