Alan Wake

Pubblicato da Microsoft Game Studios | Sviluppato da Remedy Entertainment
Piattaforme X360 | Uscito il 14 Maggio 2010

Alan Wake è uno scrittore in crisi. Non pubblica nulla da due anni e sta cadendo in depressione, forse perché si è reso conto di essere la copia carbone di Castle, con cui condivide il piglio da stronzetto viziato. La moglie bionda e bona è preoccupata, il suo agente (molesto ed egocentrico) pure. Alan si ferma ad un diner per prendere le chiavi della sua casa di villeggiatura ed incontra due stravaganti vecchi metallari, un poliziotto caffeinadipendente, una vecchietta fuori di testa vestita di chiaro che ha la fissa delle luci e la paura del buio (come sua moglie, del resto) e viene accolto trionfalmente da una sua fan, una cameriera che non può che essere una superficiale svampita. Le chiavi gliele consegna un’altra inquietante vecchia vestita di nero, che sembra sbucare dalle ombre tanto temute dalla vecchina fuori di testa. La scena si chiude con il sogghigno diabolico della vecchia in nero quando scopriamo, prima della cut di chiusura del prologo, che il vero affittuario di Wake era in ritardo e le chiavi che ha ricevuto non sono quelle giuste.

Arrivata la notte, non prima che Alan introduca tramite uno spiegone Thomas Zane, un anonimo e prolifico autore di libri horror di cui nessuno ha sentito parlare, la moglie di Wake sparisce in circostanze misteriose. Dopo il dramma Alan viene soccorso dallo sceriffo di Bright Falls, servito con contorno dell’immancabile agente stronzo dell’FBI che abusa del proprio potere.

A fine intro avrete il cast completo di questo coacervo di luoghi comuni e frasi fatte, alla faccia delle potenzialità illimitate del videogioco e del fatto che Alan Wake si sia dipinto come un titolo dall’alto spessore narrativo. I ruoli sono stabiliti e gli “indizi” sono evidenti come nemmeno in un TV movie di serie B.

Passerete gran parte del tempo a dirvi che ora migliora, che adesso ci sarà la Grande Rivelazione, che sicuramente ci sarà un colpo di scena che rimetterà tutto in discussione, che le cose non possono essere così evidenti come nella intro. Ci rimmarrete male come un bambino che aspetta il Natale solo per scoprire che nessuno gli ha regalato nulla. Il gioco è un costante anticlimax in cui i giochetti infantili che vengono spacciati per colpi di scena diventeranno sempre meno convincenti (anche perché, quante volte puoi abusare dello stesso espediente narrativo in una manciata di ore di gioco?) e sempre più deboli nel creare interesse.

Il problema di Alan Wake è che si è persino spacciato per un gioco letterario, il primo serial videoludico di spessore: non si può quindi non valutarlo per le sue ambizioni e la sua immagine decisamente sproporzionata rispetto ai risultati ottenuti. Il meglio che Remedy ha saputo fare per dare un minimo di spessore alle parti giocate è stato disseminare gli scenari di thermos collezionabili,  mentre a delle pagine di manoscritto che scimmiottano lo stile di Stephen King (sembra di leggere lui che si riassume) è dato il compito di creare quello spessore narrativo che a stento è sostenuto dalle cutscene e dai dialoghi. I manoscritti fanno anche altro: in pratici one-shot di massimo tre frasi vi anticiperanno tutti i passaggi fondamentali del gioco, pochi minuti prima di viverli in prima persona, finale incluso. Si, avete capito bene: l’horror psicologico del millennio si fa gli spoiler da solo. E bastano tre-frasi-tre a descrivere le scene migliori.

Ed è subito culto.

Il problema della sedicente sceneggiatura di Alan Wake è che non esiste: il gioco, nella sua interezza, è un prequel che, sostanzialmente, definisce lo status quo che viene a crearsi nel momento in cui Alice scompare ed Alan inizia il suo viaggio nell’oscurità di una Bright Falls ai confini della realtà. Alan Wake vuole emulare le serie TV ma prende il peggio dal medium, compresi i colpi di scena burinotti e la narrazione didascalica tirata su a forza di spiegoni che si affannano a negare un’imbarazzante evidenza: il gioco è fatto di continue negazioni delle situazioni appena vissute le quali, nella mente di chi ha scritto, dovrebbero essere colpi di scena. Non ci sono indizi sotto traccia che sfuggano a un’intuizione immediata: le vostre prime impressioni saranno sempre quelle giuste, e il gioco un po’ se la gode a farvi perdere tempo col solo intento di stiracchiare la trama principale. Il problema è tutto in questo meccanismo: prima rivelare un grado di parentela o dare uno sbrigativo quanto convenzionale background a un personaggio, poi far vivere a Wake un’avventura, poi instillare il dubbio che sia tutto falso e dopo ancora no, è vero e poi di nuovo falso – è qualcosa che può funzionare giusto in una serie che si trascini per anni e, complice il tempo che passa, fa perdere abilmente le tracce di questi ridicoli stratagemmi per allungare il brodo. In 4-6 ore di gioco, invece, c’è troppa carne al fuoco per la pochezza della storia e dei personaggi e viene automatico non dar credito a niente di quello che succede, visto che la storia e la rivelazione finale sono intuibili subito dopo il tutorial e molto della storia proverà maldestramente a mettere in discussione l’evidenza dei fatti.

La struttura delle parti giocate è basilare. Ogni episodio è strutturato rigidamente: c’è un prologo che fa credere a chissà quali nuovi sviluppi che non ci saranno mai, prima dell’inevitabile negazione finale (di qualcosa che non è detto in futuro non venga riciclata come verità). C’è sempre una sequenza centrale di gioco in cui ogni volta Alan deve ricostruire inventario e armamentario, spostandosi dal punto A al punto B in scenari costituiti sempre con gli stessi elementi scenografici, che nulla hanno in comune con gli stupendi fondali e ambienti degli intermezzi, mentre affronta strani uomini neri che sbucano dal nulla. L’unico modo per uccidere questi nemici è stancarli puntandogli contro una fonte di luce per poi finirli con un’arma da fuoco. Le uniche occasioni di requie per Alan sono rappresentate dalle isole di luce che i lampioni creano nella notte.

Inizialmente l’atmosfera è interessante e muoversi nella foresta al buio armati solo di una torcia ha il suo perché, anche se le animazioni sono robotiche e datate (e saranno l’ultimo chiodo sulla bara del già debole epilogo/prologo). Il lip-sync è inesistente, ma il doppiaggio e la colonna sonora sono eccellenti. C’è un uso molto creativo della musica contemporanea, in particolare negli epiloghi e nel creare quella giusta sensazione di “sbagliato” che ci sarà in alcuni intermezzi. Il problema è che il combattimento, sostanzialmente, non si evolve e diventa subito noioso: certo avremo un’armamentario sempre migliore col procedere degli episodi, ma l’opposizione si farà sempre più agguerrita creando una sorta di stallo che non farà che esacerbare gli altri difetti del gioco. Anche al livello di difficoltà maggiore ci sono armi, batterie e munizioni a profusione ed è facile scoprirsi annoiati nelle sequenze che, nella testa degli autori, avrebbero dovuto essere la quintessenza della tensione. Complice di tutto ciò è anche un inesistente design degli incontri: oltre a qualche incontro scriptato, il grosso del gioco è fatto di incontri casuali che si risolvono tutti in due nemici che vi appariranno davanti, in lontananza, ed uno più vicino alle vostre spalle, subito dietro la telecamera.

Dove il gioco eccelle è nei dialoghi. Sebbene lo faccia scimmiottando troppo il Lynch di Twin Peaks, Alan Wake riesce a convincere meglio nelle situazioni ordinarie più che in quelle di tensione: gli episodi migliori sono proprio il 3 e il 4, in cui Alan non è da solo, la storia principale è messa da parte e ci sono alcuni spunti di dialogo e di approfondimento dei luoghi che fanno rimpiangere il tanto potenziale inespresso (magari anche per via di un taglio troppo da shooter) nonostante i mezzi tecnici di Remedy siano ancora incerti. L’America rurale, nelle sequenze d’intermezzo, è riproposta in maniera esemplare (anche se un po’ stereotipata), a volte sembra di essere in uno dei capitoli di American Gods tanto è palpabile il senso di isolamento sociale che si prova ad aggirarsi per Bright Falls e ad assistere agli scambi dei pochi abitanti tra di loro.

Il problema di fondo di Alan Wake è sicuramente di tipo culturale: Remedy, una casa finlandese, prova a dettagliare un gioco che dovrebbe essere l’epigono della cultura della provincia americana, ma riesce solo a riproporre i triti stereotipi del cinema di cassetta e qualche locazione copiata da una cartolina postale dei parchi nazionali americani. Si può giustificare in molti modi questo semi-fallimento, si può fare dietrologia sul fatto che il gioco sia nato come un free roamer e sia poi diventato il prologo di un’avventura lineare, che avrebbe dovuto svilupparsi a episodi (che non verranno mai realizzati, a detta di Remedy). Rimane il fatto che Alan Wake appare come un gioco decisamente troppo ambizioso e troppo costoso per quello che ha da offrire; inclusi gli episodi speciali scaricabili che, come nella tradizione delle serie TV, non aggiungono nulla alla storia e si limitano a ribadire concetti ormai triti e consolidati, non senza creare un senso di anticipazione che sarà sempre frustrato.

Alan Wake può avere le sue attrattive nei rari momenti in cui si intuisce il potenziale inespresso del gioco, tuttavia essi sono annegati nelle pochissime ore di tedio totale che riassumono l’esperienza di gioco. La costruzione scolastica della storia e la regia che spiega tutto, anche ciò che dovrebbe rimanere solo ai margini della consapevolezza del giocatore, rovinano completamente ritmo e suspance. I personaggi spietatamente bidimensionali, senza segreti né spazio nella storia (protagonista incluso) rendono il tutto un triste esercizio di stile, più che un grande capitolo della storia del videogioco. Se proprio volete giocarci, non leggete i manoscritti se non al finire delle 4-6 ore di gioco.

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12 commenti su “Alan Wake

  1. E’ un peccato che giochi strapompati come questo (e ci aggiungerei pure Heavy Rain) debbano passare per opere d’arte per lo boriosità di questo o quel sceneggiatore/produttore mentre altri giochi, potenzialmente molto più validi, passano invece inosservati.

  2. E’ gia un po di volte che lo vedo sullo scaffale e mi chiedo: lo compro? Ora so quale è la risposta 😀

    Grazie !

  3. Mmm.. Rudi “Mr Rud” Oxa l’ha messo nei migliori dell’anno… vorrei sentire il suo punto di vista.

    Visto che mi hanno regalato una xbox, ci stavo quasi per fare un pensiero, ma a quanto pare…

  4. A me non è dispiaciuto. Si vede che ha grossi problemi, ma è d’atmosfera.
    Certo, un’atmosfera già vista altrove (film, serial, etc) ma è un gioco che può prendere.

    Forse a poco ci si può fare un pensiero.

  5. per me è un’ottimo gioco senza essere capolavoro
    …non è un survaival vero,non è uno sparatutto vero,non è un avventura:è una specie di max paine con una atmosfera diversa dove si spara di meno…evoluto
    se si fosse sparato di meno sarebbe stato un giocone,se si fosse mantenuta la libertà di esplorare il mondo come un sandbox un po’ come deadly premonition sarebbe stato fantastico.Preso così com’è è un ottimo gioco che soffre il troppo hype,si trova nuovo a 35 euro in tutti i negozi,fossi in voi lo comprerei perchè merita,basta che sappiate cosa aspettarvi

  6. @ Gloan

    Mi scuso per la risposta un pò tardiva, però ho proprio glissato questo post.
    Partiamo col dire che i difetti accennati da Matteo ci stanno tutti, in questo senso Alan Wake non è un buon gioco come potrebbe esserlo un Bad Company 2, un Just Cause 2 o un Bayonetta: titoli cioè che uniscono originalità e ottima qualità generale.
    I motivi per cui penso che AW sia stato uno dei migliori giochi del 2010 derivano tutti dalla mia esperienza personale con il gioco, il quale mi ha avvinghiato/immerso/stregato nella vicenda come pochi altri.
    Riassumendo, ti potrei citare tre motivi:

    – innanzitutto il più banale: il totale è maggiore della somma delle parti; cioè i difetti presenti riescono, in qualche modo, ad attenuarsi e riappaiono solo in un secondo momento, magari quando hai posato il joystic e stai rielaborando l’episodio appena completato.
    – i parallelismi con Sam Neil e Max Payne mi hanno dato un senso di continuità della produzione dei Remedy che mi ha dato da pensare, ed è raro che un videogioco mi porti a questo livello di metatesto.
    – terzo e più importante: la resa spaziale di Bright Falls (dovuta principalmente all’iniziale intenzione di creare un titolo free roaming) è, secondo me ineccepibile: in ogni momento sapevo dove mi trovavo e il contrasto livello/ambiente di gioco dava davvero l’idea di spazio isolato e minaccioso.

    Personalmente pongo Alan Wake in quella scia di giochi che si concentrano più sull’esperienza che sul titolo in sè; Uun pò come Heavy Rain insomma, il quale presenta anche lui grandi difetti (anche negli aspetti fondamentali del gioco), ma che riesce comunque ad offrire qualcosa

  7. se un giorno scrivessi un dizionario sotto la voce “radical-chic” ci attaccherei la tua recensione.

    Mi ci gioco una palla che tra 5 anni scriverai un articolo su come è bello alan wake in confronto ai banali giochi del 2016…

  8. No ma è impossibile quello che avete scritto,il gioco dura dalle 4 alle 6 ore,secondo me non l’avete nemmeno giocato.
    Dura un singolo capitolo 3 ore,sopratutto il capitolo 3,il più lungo di tutti.
    Si può scrivere tutto quello che volete ma finire questo gioco in 6 ore è impossibile.
    L’avete scambiato con un altro gioco,leggete il nome che è scritto sulla custodia.

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