Certe volte mi fermo a pensare a come cambia la percezione delle cose senza che ci si ponga nessun problema in merito. Prendiamo gli shoot’em up, genere commerciale per eccellenza degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta.
Alcuni pensano che il mondo dei videogiochi sia nato da un insieme di persone che si amavano profondamente e che facevano sesso insieme in una continua sinfonia di amicizia e tolleranza. Non è così. I reietti ci sono sempre stati.
Magari non c’erano parole idiote come hardcore o casual a definire il tipo di gioco o il videogiocatore allegato, ma c’erano comunque delle gerarchie precise che definivano socialmente alcuni tipi di utenti.
In cima alla classifica c’erano i programmatori, che all’epoca potevano realizzare un videogioco nudi e in completa solitudine con la propria macchina. C’era qualcosa di sessuale nel loro rapporto con i computer ed erano venerati come degli sciamani capaci di trasportare in quei fantastici mondi di pixel di cui ci nutrivamo.
Erano, costoro, personaggi dai tratti ambigui ma geniali, che spesso distribuivano i loro giochi sotto forma di listato, ovvero ti costringevano a riscrivere ogni singola riga di codice per poter giocare (ricordo infinite ore passate davanti al C64 a scrivere poke e numeri vari… che incubo, però che tempi).
Sotto di loro c’erano i giocatori avanzati, quelli che oltre a lanciare i giochi sapevano usare molto bene i computer (di qualsiasi marca o modello) e spesso finivano per diventare membri della prima categoria. I loro generi preferiti erano le avventure, prima testuali e poi grafiche (bestemmia), gli strategici, rigorosamente a turni e complicatissimi, e i giochi di ruolo formati da muri del pianto di numeri.
Venivano poi i giocatori appassionati, ovvero quelli che leggevano riviste e sapevano un po’ tutto sull’ambiente e la sua evoluzione, ma che non avevano voglia di arrivare a conoscere visceralmente la propria macchina da gioco. Magari finivano per amarla, ma non ci facevano i miracoli delle prime due categorie. I loro generi preferiti erano sempre i GDR e le avventure, anche se ogni tanto se ne andavano via furtivamente con qualche action, ma senza dirlo ad alta voce per paura di essere sentiti dagli altri.
In fondo alla scala sociale c’era la feccia della feccia*, il giocatore amante dei giochi d’azione, tra i quali gli odiati shoot’em up, quello che pretendeva che tutto funzionasse senza il suo intervento e che veniva disprezzato per il suo essere un fruitore eternamente passivo e pretenzioso del lavoro degli altri.
Ovviamente ci sono infinite sfumature e variabili da considerare, ma accontentatevi del quadro generale.
Ricapitoliamo: per la prima nidiata di videogiocatori gli shoot’em up e giochi d’azione in generale erano visti come il fumo negli occhi ed erano considerati generi adatti solo ai bambini stupidi e superficiali, individui non certo in grado di apprezzare la vera arte dei videogiochi.
Chiunque abbia vissuto quell’epoca potrà confermare che nessuno avrebbe mai pensato che il genere considerato più di massa tra quelli sul mercato, trent’anni dopo diventasse roba da fini intenditori, cioè da veri videogiocatori che sanno quello che è bene per il mondo.
Insomma, se nel 1988 aveste cercato di discorrere di R-Type o Nemesis con uno che passava le giornate perso nei meandri dei mondi di SSI o di Origin, sareste stati guardati con sufficienza e disprezzati apertamente. Gli interlocutori più gentili avrebbero subito cercato di dimostrare il vostro stato di creature inferiori, provando a convertirvi al verbo, mentre i più cattivi vi avrebbero fatto notare che stavate parlando di roba per bambocci stupidi, voltandovi le spalle per tornare a parlare di statistiche del lancio dei dadi con altri eletti come loro.
Oggi, invece, parlare di R-Type è l’avanguardia videoludica. I capolavori veri, quelli che la massa ignora, si chiamano Rez e Bangai-O e anche i giocatori console hanno ottenuto il diritto di parola. Anzi, ora sono loro che si definisco videogiocatori hardcore confrontandosi con quelli che si divertono su Facebook o con i giochi per smartphone, segno che la stupidità si riproduce attraverso le epoche e si moltiplica con il crescere del mercato.
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*In realtà, il gradino più basso della società dei videogiocatori non era occupato dagli amanti dei videogiochi d’azione, ma dal giocatore console. Se adesso la diatriba PC vs console vi sembra accesa, si vede che non avete vissuto quell’epoca in cui i possessori di un NES o di un Sega Master System erano considerati la feccia della feccia per il loro giocare limitandosi a piazzare una cartuccia in un pezzo di plastica, senza bisogno di scrivere mezza riga su una tastiera.
Con i lucciconi agli occhi posso dire che finalmente ho capito perche’ da piccolo mi trattavano male quando chiedevo a chi era piu’ grande di me (amici di mio fratello) se usciva “Gyruss” per master system…
Boia ero proprio il peggio del peggio ai tempi…
Comunque ricordo ancora le paginate di codice da scrivere (copiate da riviste) per giocare, e ricordo anche con orrore quando per sbaglio saltavo di copiare una riga o sbagliavo un carattere…
Stampo questo articolo e lo metto sul muro dove lavoro.
Complimenti bellissimo!!!
Per quanto mi riguarda non è cambiato nulla, anche adesso i videogiocatori da schifare sono quelli che stanno dietro agli sparatutto … e lo saranno sempre.
Il genere non c’entra nulla. Il punto sta nella capacità e nel coraggio degli sviluppatori, nella loro voglia o meno di dire qualcosa. Per quanto mi riguarda r-type era ed è un prodotto costruito solo ed unicamente per permettere agli utilizzatori di spegnere il cervello dopo una giornata di studio o di lavoro. Eccellente per tecnica e gameplay ma espressione di una maniera d’intendere i videogiochi che io detesto. Il fatto che oggi esistano molti estimatori di film come “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” non cambia nulla: quel film, per quanto mi riguarda, è e rimarrà spazzatura, divertente nel suo, in fondo, ingenuo candore, ma pur sempre roba che lascia il tempo che trova. Stesso identico discorso vale per tutti gli shoot’em up con cui ho avuto modo di giocare, compreso r-type. E questo, ripeto, non a causa del genere ma per colpa degli sviluppatori di questi titoli che non si sono mai impegnati nel dire qualcosa che valesse anche lontanamente la pena d’essere ascoltato.
Mah…. ero molto indeciso se commentare perché non è che abbia molta voce in capitolo. Gli home computer non li ho vissuti in prima persona e non sono mai stato un grande amante degli shoot’em up.
Però tutto quel che hai scritto lo leggo dal punto di vista di uno che “ha la percezione di queste categorie”, che forse potevano essere tali allora (anche se mai ho avvertito il peso di tali gerarchie, personalmente) ma non adesso… Adesso non frega nulla a nessuno (forse i teenager si bullano per il gamerscore, magari), gli shooter 2D non sono oggi, come è stato già detto nei commenti, considerati per fini indenditori.
Tutto è troppo aderente alla tua evoluzione personale, inutile generalizzare. O ancora, la percezione del reietto ce l’aveva e ce l’ha ancora oggi chi sta sopra. Se arrivi a parlarmi di Farmville o simili facciamo un esempio: pensi che si ritengano in qualche modo “videogiocatori” chi gioca a Farmville o abbia in qualche modo una presa di coscienza su certe “gerarchie” sub-culturali? Non gliene frega niente. E io credo che anche allora i “consolari” se ne sbattessero… magari va detto anche questo, che riduce il tutto a un sempilce elitarismo.
Ovvio che fosse elitarismo e ovvio che si tratti della percezione di una certa fetta di utenza. Se all’epoca avessi letto delle riviste specializzate avresti scoperto che l’aria che tirava era quella.
Ma è completamente diverso da allora dove oggi internet ha avvicinato questo tipo di percezione. Non faccio assolutamente fatica a crederti ed è normale che fosse così, il punto è un altro: ai tempi di R-Type il mondo non era “le riviste”, mente oggi apparentemente “è internet”. Erano essenzialmente gli amici e le persone che conoscevi che formavano la tua percezione del reale (e anche di certe fette di utenza).
Ho iniziato a comprare mensilmente riviste specializzate dal 92-93, ma come spiegato prima erano solo per console. Mi è comunque capitato di leggere TGM, ma bisogna dire che già intorno al duemila “l’aria che tirava” era ben diversa. Il discorso elitario che porti tu risale a un ventennio fa e fare un confronto tra allora e oggi, senza tenere conto di tutto quello che c’è stato in mezzo, mi appare troppo semplicistico. A parte il fatto che oggi gli shoot’em up siano per fini intenditori non so da dove l’hai percepito, forse da letture “specializzate”? Casomai se la prendiamo da un pdv storico, ossia che R-Type è da “fini intenditori”, posso anche capirlo: intenditore perché conosci la storia del videogioco, non per un genere a sé.
Hai ragione, il mondo non era “le riviste”, ma la cosiddetta opinione pubblica sì. Era sicuramente un contesto più ristretto ma certe discriminazioni erano abbastanza evidenti.
Bimbi, date retta a uno che di anni ne ha 43 suonati e gli anni di cui si parla in questo articolo se li è vissuti tutti: sono tutte balle.
Eravamo così presi a stupirci del fatto che le immagini sulla Tv le potessimo controllare noi, che potevi darci anche un simulatore di tuberi e ci avremmo passato interi giorni di gioco. E, a dirla tutta, gli shoot ‘em up erano in realtà l’olimpo inarrivabile (per motivi puramente tecnici: i computer non avevano la potenza dei coin-op) dove si misuravano i Veri Giocatori. Non a caso spendevamo milioni per ogni conversione di cacca che uscisse sul C64.
Sul serio: io Arsludica lo amo… ma parlate di ciò che sapete, per cortesia.
Caro vetusto, si vede che leggevi poche riviste, perché, a parte i gusti personali, il genere di punta dell’epoca, a livello di considerazione, non erano certo gli sparatutto (che io giocavo a pacchi, proprio su C64).