Per il rotto della cuffia, al millimetro, e altre unità di misura della difficoltà nei videogiochi

Tra le cose che mi sono piaciute molto di Braid, una in particolare spicca: il fatto che forse capire le soluzioni è difficile, ma metterle in pratica (di solito) è facile, divertente, e comunque puoi fare tutte le prove che vuoi. Per un videogiocatore che non è un mago del pad e non ha i riflessi di una mangusta cocainomane, questo tipo di design – che denota una certa cura perfezionista – è una manna dal cielo.

Braid

Già molto più esigente è il figlio illegittimo di Braid, The Misadventures of P. B. Winterbottom, in cui il tempismo e la precisione sono condizioni sine quibus non si va avanti, e anche trovare la soluzione richiede talvolta uno sforzo di astrazione non comune. Laddove in Braid il riavvolgimento del tempo comporta la creazione di un fantasma del protagonista che riesegue all’infinito l’azione “registrata”, nelle Disavventure il numero di signori Winterbottom fantasma può essere anche molto elevato; questo tuttavia non comporta solo un aumento di complessità degli enigmi, ma anche una deriva pragmatica delle relative risoluzioni: emblematico il livello in cui si deve superare una lunga sezione a pelo d’acqua saltando sulle decine di fantasmi creati in precedenza, ciascuno rappresentante un’iterazione del signor Winterbottom che è riuscita a guadagnare qualche metro in più rispetto a quella prima, in uno smanacciamento annaspante che non rende giustizia alla (pur solo apparente) distinzione del personaggio.

Siamo quindi di fronte a una scelta filosofica diversa alla base: un gameplay di chiarezza cristallina, con una soluzione verificata, testata, accessibile e pensata per essere divertente; o un gameplay dall’interpretazione aperta, in cui il giocatore potrebbe persino sviluppare strategie proprie ed originali, quand’anche ve ne fossero alcune più efficienti di altre, magari verificate dall’autore, magari scoperte da giocatori più furbi di lui.

Un capolavoro di sintesi di queste due visioni del gameplay è il compianto Mirror’s Edge (sentitevi il Backtracking al Futuro di Wiskast 23  in proposito): Faith avrà sempre a disposizione un percorso evidente e amichevole per i novellini, ma il level design offre numerose soluzioni alternative, più o meno facilmente decifrabili. Non c’è solo la scelta tra il sottrarre un’arma e uccidere tutti (auguri) o correre all’impazzata schivando i proiettili, ma con la giusta abilità si possono trovare strade più brevi, più veloci, decisamente più acrobatiche, impensabili, il tutto lasciando l’illusione di avere un perfetto sandbox a disposizione, ma con una cristallinità (ridaje) delle soluzioni alternative che non sembra davvero essere lasciata al caso.

Le architetture di Mirror's Edge fanno impressione, eh?

Le architetture di Mirror’s Edge fanno impressione, eh?

Trine 2 (giocherò il primo episodio dopo il secondo, pardon) è il gioco di raddrizzare i quadri senza l’ausilio della bolla: metti un po’ più a destra la cassa, metti un po’ più sporgente l’asse, prova a saltare, ricomincia da capo finché non riesci; buttati nel vuoto e lancia il rampino, torna indietro e spera che il rampino stavolta si attacchi all’asse di legno giusta. Su PC l’uso del mouse amplia lo spettro delle possibilità e probabilmente rende il gioco più divertente: è possibile essere sia precisi che rapidi, al punto da poter (ad esempio) creare oggetti a mezz’aria e fare qualcos’altro prima che cadano a terra, mentre con il pad l’unica via è pianificare bene e riprovare fino alla riuscita dei propri tentativi. Anche quelle che sono le uniche soluzioni possibili hanno un sapore di sandbox con retrogusto di perfido millimetrismo.

Trine 2: bello è bello.

Trine 2: bello è bello.

From Dust è nell’olimpo dei giochi sandbox, e d’altra parte tra polvere e sabbia bisogna riconoscere l’intercorrere di una certa parentela. Quello che mi ha sconcertato, in positivo, è quanto bene sia resa la sudditanza alla furia degli elementi e quanto quindi non ci si possa mai adagiare sugli allori anche qualora la vittoria sembri ormai scontata. Non parlo tanto di tsunami e vulcani, quanto di quel tocco geniale che sono gli alberi d’acqua e di fuoco, inesauribili e indistruttibili fonti di preoccupazioni: potete spostarli finché volete e pure gettarli in mare, ma da qualche parte riapproderanno sempre e ricominceranno imperterriti a produrre problemi. La situazione di vittoria assoluta, la copertura totale delle terre emerse con rigogliosa vegetazione può diventare in pochi secondi una disfatta, se non avete pensato a un luogo dove isolare gli alberelli incendiari.

 

Uno dei livelli più fetenti di From Dust

Uno dei livelli più fetenti di From Dust

Quello che rende From Dust un sandbox, per quanto costretto dentro una sorta di trama e un soggetto ad eventi scriptati, è il fatto che non è sempre possibile capire se si sta perdendo o vincendo. Ti è stato allagato un villaggio ed è andato distrutto? Hai fatto dei passi indietro, certo, ma puoi rialzare il terreno e ricostruirlo, o muovere il totem in un’altra posizione. Un livello pensato per essere risolto in dieci minuti può durare due ore, e divertirvi comunque. Se siete dei draghi del mouse la soluzione del gioco sarà per voi un’esperienza estremamente lineare e non vi entusiasmerà, ma per capire l’unicità del gioco dovete davvero vedere cosa succede quando le cose vanno male, forse una delle cose più realistiche mai implementate in un videogioco: non vanno quasi mai così male da non poter recuperare e giungere comunque alla fine.

3 commenti su “Per il rotto della cuffia, al millimetro, e altre unità di misura della difficoltà nei videogiochi

  1. Bisognerebbe citare un bel po’ di cose, e i commenti sembrano proprio qui apposta 😀

    Io mi sono limitato ad associazioni di idee su alcuni giochi che ho giocato – e che non sono nemmeno così difficili, se pure io sono riuscito a finirli :P. Ma ad esempio nel caso di P.B. Winterbottom o Mirror’s Edge, una volta finiti c’è la (facoltativa) fase time trial, e quella bella impegnativa la è.

    In questo frangente mi sono venute in mente analogie nel genere di difficoltà che richiede precisione, prontezza di riflessi e velocità di esecuzione, che strano a dirsi è condivisa anche dall’unico strategico citato, From Dust (che quanto a precisione tira fuori un’interfaccia molto ingenerosa).

  2. non era assolutamente una critica, era una battuta dato che il gioco in questione (Dwarf Fortress) è talmente difficile da cadere nel ridicolo 😀

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