Questo post nasce dalla convinzione che le relazioni sociali abbiano un ruolo fondamentale nel determinare la nostra “dieta videoludica”; non ci si può, tuttavia, limitare a tale prima constatazione. Le riflessioni in materia potrebbero spaziare tra gli ambiti più diversi: in questa sede ne proporrò alcune che, con il beneficio d’inventario, potrebbero fornire spunti e approfondimenti a chi voglia cimentarsi nell’affrontare la tematica.
I profili dei videogamers sono quanto di più difficile da tracciare ci sia; le distinzioni fatte sin’ora sono piuttosto grossolane e, pur utili per orientare un discorso, non esauriscono affatto il tema delle motivazioni che spingono a videogiocare. Per un casual gamer potrebbe essere dominante la voglia di evasione, per un hardcore gamer la sfida e per un “conscious gamer” apprezzare il videoludo come arte; c’è però un aspetto fondamentale, comune ai videogiocatori, che “detta il tempo” che dedicano alla loro passione: la socialità.
Urge ovviamente un pronto chiarimento sul senso da attribuire al termine in questa sede. Partiamo proponendone un’accezione provvisoria e limitata definendola come: “la relazione sociale che spinge due o più potenziali videogiocatori a interessarsi al giocare un certo titolo”.
Mi sto riferendo a tutte quelle volte che veniamo influenzati nell’iniziare un gioco da un discorso con gli amici, da tutte le volte che sentiamo parlare di un videogame su un forum, su una chat, e magari più spesso un domani sulla tv e sui libri. La necessità di condivisione dell’esperienza ludica (anche solo potenziale, ipotizzata) alimenta i discorsi e le narrazioni sui videogame che a loro volta determinano in modo forte l’attrattiva che un certo titolo ha per gli “attori” di questa relazione e il tempo che gli dedicheranno.
L’hype generato sui titoli più importanti fa leva su questi discorsi con diversi strumenti di marketing. La rinnovata attenzione a ciò che le community di videogiocatori dicono sui titoli in uscita e su quelli già pubblicati testimonia la rilevanza di quest’aspetto (anche alla luce del fatto che molti titoli vendono sull’effetto della long tail, in questo senso sono prodotti piuttosto atipici).
Ma, tralasciando le implicazioni commerciali di queste considerazioni, mi pare molto interessante sottolineare come il videogame sia fortemente influenzato dalle relazioni sociali che ne attivano un “utilizzo” maggiore. Questo fenomeno interessa ovviamente tutti gli artefatti culturali e più in generale le forme espressive ma, a mio avviso, nei vg non solo ha una portata particolare, ma ha delle conseguenze assolutamente rilevanti se pensiamo alla dimensione che ha assunto negli ultimi tempi.
Di seguito cerco di sintetizzare sia i motivi di questa rilevanza sia alcune caratteristiche della stessa:
– i vg sono artefatti desinati e fruiti in larga misura dai cosiddetti nativi digitali, inseriti dunque in un contesto relazionale fino a 10 anni fa sconosciuto: internet,
– la continuità tra la natura digitale del medium videoludico e il contesto relazionale in cui spesso si attivano le discussioni (il web) favorisce e rende particolarmente coerenti e rilevanti gli effetti della socialità che attivano
– il medium videoludico non ha un riconoscimento culturale e artistico, solo la socialità che attiva ne “autorizza” una fruizione massiva
– il videogame non solo è un medium “performativo” ma gli utenti definiscono in modo forte la natura e il senso della performance; le relazioni che gli stessi hanno tra loro, quindi, determinano non solo quanto utilizzeranno i videogame o quanto saranno loro legati ma anche come li utilizzeranno (per approfondire)
I primi due punti individuano due elementi di contesto, il terzo indica uno dei motivi per cui le relazioni sociali hanno un effetto così “autorizzante” la pratica videoludica e l’ultimo mette in evidenza una peculiarità assolutamente rilevante del medium: la socialità è funzionale tanto alla condivisione quanto alla produzione di contenuti.
Inutile dire che la questione necessita di un ulteriore approfondimento, magari più focalizzato sui singoli aspetti emersi da queste considerazioni “esplorative”, ma questo può essere un buon inizio.
Voi cosa ne pensate? Quante volte siete stati spinti al giocare (o rigiocare) un titolo perché avete visto qualche discussione in merito, o perchè ve ne hanno parlato condividendo con voi le sensazioni che suscitava? Allo stesso modo: quanti periodi di inattività dai videogame sono stati influenzati da un contesto sociale poco stimolante?
Mi piacerebbe sentire la vostra, magari anche su un singolo aspetto che vi ha incuriosito particolarmente : )
ANCORA! ANCORA!
Penso che la socialità sia quasi tutto nelle scelte. Alla fine, a parte i casi/momenti di tossicodipendenza allo stadio terminale, l’impulso a tornare a giocare viene soprattutto dall’esigenza di dimostrare di avercelo più grosso (a livello di “know how”, scheda grafica, personaggio del gioco di ruolo, ecc.) e non sentirsi esclusi dal piccolo circoletto di nerd, reale o (ormai sempre più spesso) immaginario (forum, mmog, ecc.).
E il “videogiocatore consapevole” più che altro è qualcuno che si illude e si bulla di essere tale (non può essere che un’autodefinizione, perché nessun altro meglio di noi può sapere come e perché giochiamo; e come tutte le definizioni che diamo di noi stessi pecca di ingenuità, e in questo caso è autocelebrativa, in quanto ovviamente manchiamo di obiettività nel giudicare noi stessi).
L’uomo in generale è abbastanza pigro e “stupido”, sotto la scorza sborona/esibizionista è insicuro, non ha fiducia nelle proprie capacità di giudizio; e ha bisogno che qualcun altro gli dica in maniera convincente e ripetuta che qualcosa è buono per assaggiarlo e, soprattutto, per attribuirgli valore (altrimenti non si spiegherebbe perché qualcosa di così palesemente idiota come la pubblicità abbia un’importanza fondamentale nella vita e perché WoW abbia tanto seguito).
Posso dire di aver comprato molti più giochi prima di avere l’adsl che da quando l’ho preso.
Nel mio caso asdl = frequentazione assidua forum.
Tuttavia già prima navigavo per leggere recensioni o lurkare, il che equivale a dire che di questa comunità facevo già parte, pur come membro poco attivo.
Quanto le opinioni lette in giro mi abbiano influenzato negli anni a fare o meno acquisti, non lo so: posso dire però tranquillamente che i miei generi preferiti sono rimasti gli stessi e che giochi maltrattati sia dalla critica che dal pubblico mi sono piaciuti, e viceversa. Dall’altro lato, ci sono giochi che ho conosciuto, giocato e apprezzato solo perchè ne ho letto in giro, giochi che altrimenti avrei snobbato sicuramente.
Va comunque rilevato che questo articolo si adatta principalmente al gaming online: non è un caso infatti che fortissima componente dei MMOG siano proprio i forum ufficiali, frequentati quasi quanto il gioco stesso.
Su una cosa però discordo: “il medium videoludico non ha un riconoscimento culturale e artistico, solo la socialità che attiva ne “autorizza” una fruizione massiva”.
Per me un gioco è artisticamente valido IN SE’, non per chi lo utilizza. Questo vale in primis per un gioco offline (bioshock sarebbe arte anche se avesse venduto 20 copie), ma imho anche per uno online.
Metin 2 (brr…) è MERDA, e importa poco che lo giochino tanti in italia: non per questo è arte, è solo che piace al pubblico. Non è arte perchè manca di contenuto.
Ma questo sarà perchè sono legato ad una concezione ontologica dell’arte stessa…
@cyberarrotino
il celodurismo è sicuramente una componente fondamentale e caratterizza gran parte delle relazioni sociali orientate alla discussione/condivisione videoludica, ma non possiamo ridurre il discorso a questo aspetto.
Basta pensare alla community di Ars Ludica, in questo caso l’appartenenza al gruppo si misura con parametri del tutto antitetici ai classici discorsi su chi sia il pg più tosto a un rpg, o abbia il pc più performante o quale sia la console migliore (se ci badate queste considerazioni comportano tutte un giudizio di valore); al contrario in questi spazi si valorizza un discorso critico che non contempla scale misurate e l’esprimere opinioni o concetti in questa direzione viene fortemente “sanzionato*”.
E Ars Ludica non è assolutamente un caso isolato, si potrebbero fare anche esempi di community di videogamers più classiche e orientate al gioco online che si definiscono in negativo rispetto a quelle di progamers (in pratica giocano per il piacere di farlo e condividere l’esperienza ludica), il fatto che siano più rare non ci permette di generalizzare troppo sulla questione.
In conclusione: io non sarei così pessimista : )
ho dimenticato di spiegare l’asterisco nel commento di prima:
sanzionare è un termine che si utilizza in sociologia dei gruppi per indicare quelle pratiche avversative atte a scoraggiare forme di interazione osteggiate da un gruppo sociale.
@Il_Fabri
la tua esperienza (che in parte è simile alla mia) dimostra la complessità delle relazioni sociali che si attivano intorno ai videogame, allo stesso tempo ne evidenzia la rilevanza; come hai giustamente sottolineato il discorso è particolarmente efficace in relazione al gaming online (che ha dalla sua una contiguità forte tra il contesto di gioco e il contesto relazionale -in molti casi non c’è differenza tra i due-) ma anche qui è bene rimanere cauti, non bisogna dimenticare che prima di internet la socialità assumeva forme diverse ma altrettanto interessanti (basti pensare alle sale giochi, al ruolo di alcune riviste ecc…)
Sulla frase “il medium videoludico non ha un riconoscimento culturale e artistico, solo la socialità che attiva ne “autorizza” una fruizione massiva” non vedo discordanza con la tua tesi.
La mia è una considerazione sulla sociologia del videogame, il tuo (come hai giustamente detto) sull’ontologia dello stesso.
dio ‘bbono, mille paroloni per dire “la compagnia influenza i gusti”.
wow.
beh, se preferisci apriamo un account su twitter e chi s’è visto s’è visto… può essere una soluzione per i lettori amanti della sintesi
Vabbè, in community “rilassate” come può essere questa, o quelle di “non pro-gamers”, senza arrivare agli eccessi e ai plateali infantilismi del celodurismo, c’è comunque una sorta di “competizione culturale”, partecipativa e ludica sottesa, fosse anche solo per la necessità di raggiungere quel “livello minimo sindacale” per sentirsi accettati come parte effettiva del gruppo. Quindi una molla che spinge a giocare (“se non gioco [a determinate cose] non vengo accettato o mi sento un corpo avulso”).
@cyberarrotino
si, sono d’accordo.
Dopotutto stiamo parlando di dinamiche fondantamentali all’interno di qualsiasi gruppo sociale, in particolare i criteri di inclusione/esclusione sono necessari alla sussistenza stessa del gruppo; allo stesso modo per quanto riguarda l’aspetto competitivo (che come giustamente hai messo in evidenza può assumere diverse forme) direi che entro certi limiti è assolutamente naturale.
Qui su Ars Ludica mi pare sia proprio questa la situazione; più che altro è facilmente rilevabile una pluralità di punti di vista non indifferente, ma sto parlando di un approccio “paradigmatico” alla materia che innanzitutto può essere visto come una ricchezza, in secondo luogo non permette di fare scale di valori. In questo senso possiamo dire che sicuramente ci sono le prospettive d’analisi di Karat, Emack, Mario e chi più ne ha più ne metta ma non mi pare si sia mai discusso su chi abbia maggiore autorevolezza o sia portatore del punto di vista migliore.
Il pezzo è scritto bene, ottimi gli spunti, aspettiamo un tuo nuovo articolo… 😉
grazie Mario,
mi sorprende che nessuno abbia ancora tirato fuori la prima osservazione che facesti leggendo l’articolo: e le sale giochi? mica i videogame nascono con internet… questa obiezione (sacrosanta) mette in evidenza il fatto che questo articolo sia in realtà una bozza piuttosto sommaria e parziale sull’argomento, gli spunti ci sono ma innanzitutto si propone una visione webocentrica (come qualcuno ha già fatto notare) inoltre alcuni passi sarebbero da integrare/approfondire.
Chi vuole può cimentarsi, volendo possiamo anche collaborare, basta un pm sul foro : )