La Nuova Esperienza XBox

Benvenuto!

Così esordisce la mia XBox 360 dopo il breve aggiornamento necessario all’installazione della Nuova Esperienza XBox, altrimenti detta l’unica esperienza XBox che ha senso se vuoi vendere delle cose.

Dite addio a quelle squallide liste testuali che elencavano centinaia di giochi senza screenshot, tanto da sembrare un catalogo di ferramenta, piuttosto che di prodotti d’intrattenimento: finalmente l’esperienza è integrata, contestuale e, cosa molto importante, user friendly.

C’è ben poca nuova sostanza dietro NXE, e questo tutto sommato è un bene, in quanto i problemi di XBox Live erano esclusivamente di forma. La cosa che spicca maggiormente è il nuovo sistema di gestione degli Avatar ispirata ai Mii di Nintendo e la nuova interfaccia grafica ispirata ai Coverflow di Apple.

Il Marketplace è stato completamente rinnovato ed ora offre qualcosa di molto simile ai servizi analoghi di Nintento e Sony: screenshot, filmati e descrizioni dettagliate. Sia che stiate acquistando un film, sia che stiate cercando qualche nuova droga sul Live Arcade, ora l’esperienza è molto più razionale ed esaustiva e, quasi sicuramente, non vi troverete più a dover navigare sul web per capire cosa è esattamente Age Of Booty, visto che la descrizione lascia a desiderare.

Sicuramente in NXE la fa da padrone la contestualità: più di prima contenuti differenti sono messi in correlazione in maniera automatica, ecco che i filmati di Inside XBox ora si ritrovano anche insieme ai trailer nelle sezioni dedicati dei giochi nel marketplace, spariscono le liste categorizzate sostituite dalla ben più pratica sezione che mostra gli add-on per i giochi che avete giocato ed altre innumerevoli chicche.

I Canali (ebbene si, hanno copiato anche il nome), sono organizzati in maniera leggermente diversa rispetto alle vecchie Blade. Gran parte del vecchio materiale è stato collassato nella sezione personale della vostra XBox, e sono apparsi canali a tema, come quello dedicato ai Film ed ai Video, direttamente accessibile dal menù principale.

Anche la Dashboard in game è cambiata, ora occupa una parte minimale di schermo, è più pulita graficamente e ha i contenuti organizzati in maniera più efficiente. Anche qui la contestualità la fa da padrone: se ricevete un messaggio da MSN, aprendo la dashboard vi troverete direttamente nella conversazione per rispondere, invece di dover fare ben due click (e relative operazioni di navigazione) del precedente sistema.

E’ proprio sulla riduzione dei click Microsoft prova a migliorare l’efficienza del suo Marketplace, che ormai inizia a soffrire un po’ la propria popolarità, grazie alla molteplicità di titoli offerti: se agli albori di X360 era sensato sostenere che un demo vale più di mille screenshot, ora che i giochi scaricabili sono diverse centinaia e che Microsoft ha potuto toccare con mano uno dei problemi principali del Trialware (ogni attività di interfaccia necessaria per installare un prodotto diminiuisce cumulativamente la probabilità che l’utente arrivi in fondo alla procedura), ecco invertire la tendenza e fornire suggerimenti più ergonomici e tagliati sulle esigenze del giocatore. Speriamo che questo si tramuti in una maggiore popolarità di alcune gemme dimenticate in Live Arcade e che Microsoft ripensi la sua iniziativa di delistare i titoli meno popolari. Sarebbe come bruciare i libri che non vendono molto.

Tornando a parlare di Social Network, i nuovi Avatar di XBox sono uno spasso, anche se piuttosto inutili e ritardatari rispetto al supporto in-game. Sicuramente vedremo un proliferare di accessori e customizzazioni a pagamento ma già il set base prevede una capacità di personalizzazione molto alta, paragonabile ad editor complessi come quello presente in City of Heroes. Speriamo che in futuro vengano resi disponibili avatar non necessariamente umani (perché imbrigliare la fantasia?).

Per i videofili, segnalo il fatto che sin da oggi c’è la possibilità di affittare film in HD da NXE, anche se, come potete vedere dagli screen che ho fatto, la scelta è piuttosto misera.

L’ultima ciliegina è la nuova Gamercard: più curata ed esaustiva, mostra una scheda per ogni gioco eseguito (mantenendo l’ordine cronologico), ed ha degli indicatori grafici che mostrano sinteticamente i gamerpoint e gli achievement acquisiti, oltre ad una revisionata visualizzazione dei badge.

NXE non sarà un sistema statico come il precedente: nuovi Canali verranno aggiunti in futuro (forse anche da qualche gioco, ricorda qualcosa?) e proprio per questo è possibile customizzare la loro visualizzazione nel menù principale, nascondendo quelli che proprio non ci servono.

Nonostante la sua origine sicuramente derivativa, è difficile trovare storture immediatamente apparenti nel nuovo XBox Live. L’unica critica che si può muovere nell’immediato nasce da una scelta di usabilità del nuovo design: i temi hanno un intervento meno invasivo sullo schema dei colori e sulla leggibilità del testo nelle schede e nelle blade rispetto al vecchio sistema (dove, diciamocelo, alcuni temi disponibili erano veramente pessimi sotto questo punto di vista). L’innovazione si traduce, per chi ha comperato dei temi, in uno svantaggio: ora sono poco più che delle wallpaper parzialmente visibili sullo sfondo come testimonia anche il mio tema di Castle Crashers.

Come al solito, c’è una succosa gallery per soddisfare la vosta curiosità:

Tagliate le sequenze filmate (Crysis Warhead inside)!

Sinceramente potevano risparmiarsi il sottotitolo Warhead. È Crysis, si gioca come Crysis, gira più o meno come Crysis (è leggermente migliorato, ma non aspettatevi di vederlo andare fluido se il precedente vi girava a 3 fps) ed è rozzo come Crysis.

In realtà Crysis mi è piaciuto parecchio, nonostante gli si possa imputare di aver generato il più grande numero di masturbazioni by forum della storia di internet, avendo regalato agli onanisti tecnologici materiale per chiacchiere e teorizzazioni assurde che neanche lo scontro Doom 3 vs Half-Life 2 si era sognato.

Anche Warhead mi è piaciuto… essendo praticamente identico a Crysis, ma più corto e lineare nel level design.

Quello di cui voglio però parlare, è la sua profonda rozzezza narrativa. Una delle sequenze filmate teoricamente più drammatiche del gioco, ma invero ridicola oltre ogni standard, è quella della rabbia del protagonista (mr. Psycho) per la morte di un marine chiamato… marine.

Ora, immaginate la scena (se non ci avete giocato): si è fatta un sacco di strada per stare dietro a un treno che trasporta un coso alieno di una certa importanza, ora fermo su un ponte, e nel mentre arriva un elicottero con sopra il cattivone di turno che tiene in ostaggio il marine marine. Il nostro eroe la butta lì e la spara grossa accusando il malvagio coreano di violare nientemeno che la Convenzione di Ginevra (per la seconda volta, oltretutto, visto che la Convenzione in questione era già stata citata in una brutta sequenza filmata precedente). Già questo basterebbe per far assumere alla sequenza un tono surreale.

Ma continuiamo.

Il nostro Psycho, omino sempre incarognito, dopo la lezione di diritto internazionale, si trova a dover salvare il marine marine, lanciato di sotto dal coreano cattivo. Nel farlo perde il telecomando dell’esplosivo che ha piazzato sotto il convoglio e finisce appeso al ponte insieme al marine marine. Per farla breve il coreano cattivo si ruba il coso alieno, Psycho riesce a recuperare il telecomando, nel frattempo insidiato da un soldato coreano, al prezzo di lasciare andare marine marine (te la caverai, gli urla). Il nostro burbero eroe riesce a far scoppiare il ponte, ma non c’è niente da fare.

Si ritrova quindi nel fiume sottostante dove cerca di far rinvenire marine marine praticandogli un massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, in una scena estremamente gay visti gli energumeni protagonisti (oltretutto la tutina nanotecnologica che indossa fa molto Village People, ammettiamolo).

Purtroppo marine marine muore. A quel punto Psycho si accorge che il coreano che voleva rubargli il telecomando è ancora vivo. Preso da una rabbia incontrollata per la morte di marine marine si dirige verso il malcapitato, grugnendo più del solito. Il coreano, preso dalla disperazione, recupera una pistola e inizia a sparargli. Il nostro avanza indifferente ai proiettili, anche se ha il volto scoperto. Il coreano non riesce a prendere bene la mira, neanche quando Psycho gli è a 10cm di distanza e lo colpisce sempre al petto (in uno Star Wars avrebbe avuto un futuro radioso).

Psycho si avventa quindi sul coreano, lo afferra e lo affoga. Bene, marine marine è vendicato e lui può di nuovo partire al recupero del coso alieno.

Ora qualcuno mi deve spiegare da qualche lobo cerebrale è uscita questa roba. Perché il giocatore dovrebbe provare empatia per marine marine, ovvero per un personaggio senza nome anonimo come le centinaia di vittime causate per tutto il gioco? Perché Psycho ha questa reazione esagerata? Era suo fratello? Erano amici d’infanzia? Avevano condiviso la stessa donna? Si amavano?

Oppure… ma la Convenzione di Ginevra! Ecco, è la sua violazione ad averlo fatto infuriare! Non ci sono altre spiegazioni, anche perché vorrei capire dove si trovano le motivazioni recondite del personaggio che ne dovrebbero giustificare tale rabbia incontrollabile. Qualcuno ha spiegato agli sceneggiatori che in una storia non si può buttare lì un tizio assolutamente anonimo (almeno dategli un nome), costruirgli introno un dramma e pretendere che sia credibile? Qualcuno gli ha spiegato che sequenze del genere, per funzionare, devono nascere dalla caratterizzazione maggiore dei personaggi e da una descrizione più ampia dei loro rapporti interpersonali (per semplificare il discorso… non è neanche così semplice, in realtà)?

Non fraintendete, non sto dicendo che Crysis Warhead è brutto, sto solo dicendo che se devono inserire sequenze narrative così rozze, inutili e francamente ridicole, è meglio che lascino solo il gioco, definiscano gli obiettivi da raggiungere e lascino che l’azione faccia il suo corso. Vedere l’adrenalinica sequenza del treno essere ricompensata in questo modo, fa venire voglia di aiutare i cattivi. Passino i momenti di razzismo puro, passi la cretineria generale dei personaggi… ma questo è troppo.

[Retrospec] Dreamweb

Sviluppato da Creative Reality | Pubblicato da Empire
Piattaforme PC MS-DOS (Floppy e CD-ROM), Amiga 500/600, Amiga 1200
Rilasciato nel 1994

Che sconcerto, Dreamweb.

La critica di allora fu tiepida, quando non volle infierirvi, con questo monstrum digitale, apparentemente scalcinato freak punta-e-clicca che oggi è un piccolo oggetto di culto, cui vengono dedicati sitarelli adoranti che ne riportano l’intera risoluzione in video, come fosse il declinarsi di un’opera vera, con tutti i crismi. Mica di un giochino.
Dreamweb
in buona sostanza è forse il primo caso di avventura grafica, e tra i pochissimi casi di videogioco in genere, che cerca deliberatamente, fin dal midollo del design e della rappresentazione, di fare in modo che il giocatore si senta emotivamente respinto. Ma andiamo con ordine.

Il protagonista è tale Ryan, ovvero un pazzo.
La confezione include infatti il “Journal of a (Mad?)man”, che fa il verso al “Diario di un pazzo” che chiude i Racconti di Pietroburgo di Gogol’, la breve cronistoria dell’ascesa del re di Spagna e dell’incontro coi suoi sudditi dalla testa rasata che solo attraverso vari indizi testuali si rivela come la piccola parabola discendente di un maniaco e della sua chiusura in una casa di cura. Il diario di Ryan è scritto a mano, prima con grafia stretta e febbrile, poi dilatata e sbavata all’avanzare della follia, in un climax che parte dal suo amore tormentato per la fidanzata Eden, prosegue con le sue insicurezze identitarie e i sogni che lo perseguitano e culmina con l’adesione al sogno che costituisce l’introduzione del gioco: infine, dopo aver scorto la ventura dissoluzione del mondo, gli appare un misterioso Guardiano, alla testa di un gruppo di monaci incappucciati. Egli lo informa che il fantomatico Gruppo dei Sette sta cercando di impossessarsi del potere del Dreamweb, la Rete dei Sogni, la struttura che cerca di stabilizzare i sogni e l’immaginario dell’umanità per mantenerne l’equilibrio – quell’equilibrio che i Sette, tutti infiltrati in posizioni di potere, intendono compromettere per i loro fini di controllo. Ryan riceve così una missione divina che, come sempre in questi casi, lo investe senza che abbia mostrato meriti particolari e sposta il suo destino in una direzione che non aveva chiesto (non è forse sempre questa la storia dei profeti e degli eroi, come pure dei folli?): sarà il “Deliverer”, liberatore e portatore di morte; dovrà andare là fuori, trovare i Sette e ammazzarli uno dopo l’altro.

Ryan così ha fatto propria una missione solo sognata, dovrà salvare qualcosa che non abbiamo visto se non dentro la sua testa: che la sua missione non sia altro che un delirio? Siamo già irrequieti.

Ryan è a letto con Eden (il paradiso che si appresta a perdere?), si sveglia e le parla dei sogni che lo perseguitano, tenta forse un’ultima richiesta di aiuto, forse le sta già mentendo. Ma non ci sarà niente da fare: sotto la nostra guida verrà sospeso dal lavoro al bar, riceverà una liquidazione e la userà per comprare una pistola da un trafficante. Non ci resta già più che assecondare questa pazzia.

L’ambientazione, una non meglio precisata città futuristica in perenne, plumbeo grigiore, ci appare sottoforma di ambienti visti dall’alto, frazionati e minuscoli, ogni volta non occupano che modeste porzioni dello schermo e la completa mancanza di un qualche tentativo di studio delle inqadrature è già alienante. Ryan è solo una testa e due spalle (giusto la rappresentazione a lato ci fa vedere che faccia abbia, cosa che fra altro possiamo scordarci per tutti gli altri personaggi), noi siamo come il Dio dei bambini che li guarda sotto le lenzuola; scrutiamo pupazzini che stanno seduti sul cesso, scopano, muoiono in laghi di sangue, ma di cui non può importarci niente. La musica (di tale Matthew Seldon: bravo!) è fredda e ossessionante, l’interfaccia è una sbilenca bizzarria che cerca di limitare il pixel hunting con un piccolo box che ingrandisce gli oggetti puntati, e ci dà l’accesso a un inventario dimesso e striminzito in cui alcuni spazi sono già occupati dai vestiti di Ryan (a che pro, se non serve a niente toglierli? Possiamo solo fargli indossare gli occhiali da sole, e invariabilmente sentiremo di doverlo fare). Possiamo raccogliere ogni genere di ciarpame da appartamenti in angoscioso disordine, anche se solo una minima parte di esso ci servirà effettivamente a qualcosa.

La catena dei delitti ha inizio. Dopo aver ucciso il primo e più debole dei Sette, la rockstar David Crane, scopriremo che dopo ogni delitto Ryan cannibalizzerà lo spirito dell’ucciso e verrà portato nel Dreamweb, dove il Guardiano lo aggiornerà sulla missione e da cui poi tornerà in città, in qualche altro punto. In queste fasi Ryan non ha scrupoli di sorta, è fedele e ossequioso agli ordini impartitigli – ma è davvero possibile che non tentenni nemmeno un po’? E quando lo vediamo assorbire uno spirito non stiamo partecipando al suo delirio, come abbiamo già fatto guidandolo? Siamo straniati.

La spirale di follia e morte non si fermerà: poco dopo dovremo affrontare la tipica situazione da avventura grafica del guardiano all’ingresso, che di solito va pagato, distratto o favorito, ed è tremendo scoprire che non bisogna fare altro che sparargli in faccia. E dovremo anche usare dei terminali, incluso quello di Eden, che rivedremo in un incontro senza speranza: Ryan tornerà al suo appartamento, la troverà sotto la doccia, la liquiderà con un dialogo equivoco e poi prenderà le informazioni necessarie sul suo datore di lavoro, anche lui un membro dei Sette. Non c’è altro.
In alcuni casi può succederci di venire uccisi e di dover ricaricare la posizione, e allora un testo ci riferisce della fine del mondo a venire, delle guerre totali, dei regimi disumani. Ma non siamo disposti a crederci; per quanto possiamo raccogliere diverse prove indiziarie non abbiamo mai la concreta sensazione di stare sventando una minaccia. Delitti, sembrano solo delitti in un mondo già alla fine.

La follia dei Sette è speculare alla nostra, quasi ci assecondassero: troveremo un membro (stavolta una donna) già a pezzi, nel suo appartamento divelto da un’esplosione, perché si era “mostrata debole”. Un altro membro, un prete divenuto sempre più potente con la morte di cinque dei suoi colleghi, eseguirà su di sé un esperimento genetico per superare i limiti delle umane spoglie e lo troveremo nei sotterranei della chiesa, orrendamente mutato, morto nel tentativo e non più minaccioso. L’ultimo ci inseguirà sui binari della metropolitana e finirà sotto il treno, togliendoci qualunque senso di trionfo, se mai fossimo stati disposti a provarne uno. Il finale vedrà il Guardiano affrancare Ryan, ormai identificato e pluriricercato, solo per il tempo necessario al compimento del suo fato di sangue. Un finale a sorpresa? Eppure sembra solo la conclusione più ovvia.

Non sappiamo nemmeno bene se ci ha gratificato arrivare al termine. Abbiamo dovuto risolvere enigmi di difficoltà non indifferente, e per cosa? Una piccola stretta allo stomaco, il segno che il gioco ci ha lasciato.

Che sgomento, Dreamweb.

Autunno ricco, mi ci ficco!

Oggi, mentre percorrevo la tangenziale per scendere in ufficio, riflettevo su quanto denaro noi videogiocatori dovremo versare per accaparrarci le hit videoludiche del momento. In ordine sparso abbiamo:

Dead Space

Survival horror futuristico, con alcune feature interessanti (l’assenza totale di HUD, l’uso di ologrammi, giochi di gravità) e un look all’avanguardia. In uscita per PC, Xbox360 e Playstation 3.

Fallout 3

Oblivion coi fucili, o così dicono. Verità o meno (sono in tanti quelli che lo hanno già giocato, mannaggia a voi) sarà comunque intrigante vivere un’avventura nell’universo post-apocalittico di Fallout, soprattutto per chi, come me, è stufo delle solite storie di orchi, elfi e gnomi. PC, Xbox360 e Playstation 3.

Far Cry 2

Sparatutto orfano del proprio team di origine (per me più un bene che un male), è uscito ieri dopo un celere sviluppo, e con molte frecce al suo arco. Le premesse di massima libertà e scripting molto limitato sembrano mantenute. PC, Xbox360 e Playstation 3.

Gears Of War 2

Eccolo ghiars, più grosso e cattivo del primo episodio. Cliffy B. e la Epic si sono spinti ancora più avanti, con il seguito del gioco che più rappresenta (a parer mio) la console Microsoft. In esclusiva eterna su Xbox360 (giurin giuretta!).

Command & Conquer: Red Alert 3

Sarà di impostazione classica, sarà basato sul tank rush, dite tutto quel che volete ma il fascino di un Red Alert non lo trovi in nessun altro strategico in tempo reale. Basato sull’evoluzione del motore grafico già visto in C&C Tiberium Wars, ci porterà a combattere in un presente alternativo prendendo il controllo di una delle tre fazioni disponibili: Alleati, Unione Sovietica e Impero del Sol Levante, quest’ultima con delle unità molto originali. In uscita su PC, Xbox360 e Playstation 3.

Fable II

Amore, la parola magica più volte pronunciata da Molyneux in occasione delle varie presentazioni del suo nuovo pargolo. Premiato un po’ ovunque, sembra mantenere (finalmente) molte delle promesse fatte dal buon Peter in fase di sviluppo, cosa che mi auguro di cuore per voi e per lui. Solo su Xbox360.

Little Big Planet

Ne abbiamo discusso giusto qualche giorno fa, LBP fa gola a molti, me compreso, vuoi per lo stile grafico azzeccato, vuoi per la cura impressionante riposta nell’editor dei livelli e la simpatia dei personaggi realizzati da Media Molecule. Piena fiducia nel team di estrazione Molyneuxiana. In esclusiva su Playstation 3.

Call Of Duty – World at War

Sappiamo che i prodi ragazzi della Infinity Ward sono già a lavoro su Call Of Duty 5 (in verità è questo il titolo che attendo), ma non sottovalutiamo questo episodio parallelo realizzato da Treyarch, autori dell’onesto Call of Duty 3. World at War ci riporterà nuovamente negli anni della seconda guerra mondiale, pare proprio che il pubblico non si sia ancora stancato di questo periodo storico. PC – Xbox360 – Playstation 3.

A Vampyre Story

La bella Mona ci attende a settembre nella sua avventura punta e clicca vampiresca. Bisogna mantenere i piedi per terra, però non posso nascondere le mie alte aspettative per la prima avventura grafica di Bill Tiller e soci. Incrocio tutto l’incrociabile, se siete appassionati compratela a occhi chiusi. In uscita a Novembre in versione inglese e tedesca, si spera in una versione italiana per il prossimo anno. Solo su PC.

Banjo – Kazooie: Nuts & Bolts

Probabilmente non è il classico platform che in molti si attendevano, ma puo’ rappresentare un divertente gioco di piattaforme e corse su mezzi creati appositamente dal giocatore. Uno stile grafico delizioso, in pieno stile Rare, per il ritorno di un marchio che ha riscosso un buon successo in passato su Nintendo 64. Solo su Xbox360.

Per i calciofili ovviamente si ripresenta l’eterna sfida tra Pro Evolution Soccer 2009 e FIFA 09.

Io al momento investirò su Far Cry 2, Red Alert 3 e A Vampyre Story.

E voi?

Con gli occhi di un casual gamer?

Gli occhi di un casual gamer per l’industria dovrebbero essere assimilabili alle cavità scopiche del fanciullino del Pascoli, e invece somigliano più al frignare del poppante con i genitori in continua apprensione dopo ogni ruttino con suono “borp” invece che con suono “burp”.

L’industria tenta di stigmatizzare la critica, cercando di svalutarla e di ghettizzarla, provando però a trovare un punto di mediazione con indicazioni come “i giochi dovrebbero essere valutati partendo dal punto di vista del pubblico di riferimento”.

Uno, preso da un incontenibile onanismo intellettuale potrebbe pensare che un minimo di ragione in postulati del genere ci sia anche, ma basta fermarsi a ragionare un attimo per capire come il discorso porterebbe a un’inevitabile degenerazione della critica stessa.

Sarebbe come se l’uomo primitivo, invece di imparare da quelli che lo hanno preceduto, avesse preteso di azzerare ogni volta la sua esperienza e di riscoprire ogni cosa da zero. Ovvero ignorare che, ad esempio, quella cosa informe gialla e rossa è meglio non toccarla perché brucia.

Pretendere che la critica non critichi perché un decenne davanti al gioco di Shrek si esalta come un babbuino davanti a una banana è assurdo.

Perché dovrei rinunciare alla mia esperienza per valutare, non so, uno Spore qualsiasi? Perché dovrei negare a me stesso che negli anni 90 Will Wright stesso realizzò Sim Life che è, a livello di complessità e profondità, mille anni avanti a Spore? Perché dovrei “dimenticare” per fare un favore a quelli a cui piacerebbe che i videogiochi venissero sempre giudicati capolavori (in fondo devono venderli… li capisco anche)? Ho il diritto a soppesare? Quando qualcuno viene a dire che giochi come Sim Life erano troppo complessi ho il diritto di alzare le spalle ed essergli indifferente?

L’arte nasce dalla critica e viceversa, l’arte nasce (anche) perché c’è una critica. La poesia nasce come esibizione pubblica, non come fatto intimo e privato. Vorrei mantenere il mio diritto a fare parte di un pubblico con esperienza e non di uno vergine che considera i videogiochi nati con la PlayStation o, peggio, con il Nintendo DS.

So da dove vengo, so dove vorrei andare (dove mi era stato promesso che si sarebbe andati) e capisco dove stiamo andando, ma voglio mantenere il diritto di non farmelo piacere, perché se è assurdo che tutti giudichino un videogioco dal punto di vista più gradito a chi lo produce, è ancora più assurdo che qualcuno creda di poter rinunciare a quello che è stato per poter venire incontro alle esigenze dell’industria.

Se la quantità di persone che acquista e gradisce un gioco fosse un metro di giudizio valido, basterebbero le classifiche di vendita per farsi un’idea di quali siano i videogiochi migliori e quelli peggiori. La verità è che non ha senso chiedere alla critica di abbracciare il punto di vista del lettore/giocatore medio, altrimenti la si fa diventare inutile e dannosa, perché incapace di esprimere una sua peculiarità, ovvero di porsi sopra le parti esaminando le cose dalla giusta distanza.

La critica fa il suo lavoro non certo quando stronca o quando esalta, ma quando analizza, quando trae argomenti da quello di cui fruisce, quando ne coglie alcune contingenze. La critica non dovrebbe essere quella che mette i voti o che scrive comunicati stampa sotto forma di anteprime e, spesso, di recensioni, ma dovrebbe cercare di “leggere” i videogiochi grazie a un certo bagaglio culturale ed esperienziale. L’alternativa è avere un ruolo da ratificatori di giudizi espressi a maggioranza. Una mera perversione di un concetto malato di gusto e democrazia.

Little Big Planet BETA

Sviluppato da Media Molecule | Pubblicato da Sony Computer Entertainment Europe
Piattaforma Playstation 3

Nei giorni scorsi ho avuto la possibilità di provare in anteprima la beta di Little Big Planet, grazie ad uno dei codici che sono stati provvidenzialmente diffusi da Sony: questo titolo ha una enorme importanza strategica per il colosso giapponese, che non sta certamente attraversando un buon periodo dal punto di vista commerciale.

Little Big Planet è fondamentalmente un platform 2.5D con elementi puzzle. L’indicazione di una mezza dimensione in più è dovuta al fatto che il personaggio che controlliamo, un pupazzo di pezza estremamente personalizzabile nell’aspetto, può spostarsi tra più livelli di profondità all’interno degli ambienti di gioco.

La beta, che sfortunatamente nel momento in cui scrivo non è più utilizzabile perchè a tempo, mi ha consentito di esplorare alcuni livelli (anche online) e di utilizzare un po’ l’editor.

Little Big Planet (d’ora in poi abbreviato in LBP) dal punto di vista grafico mi è sembrato davvero soddisfacente: sembra uno di quei film o corti animati in stop motion che erano discretamente popolari alcuni decenni addietro, un vero spettacolo da vedere. E anche da giocare, per fortuna: i livelli disponibili in questa beta prendono per mano il giocatore, portandolo ad affrontare rompicapo con difficoltà crescente; la fisica sembra svolgere un ruolo di primaria importanza, assoggettando alle proprie leggi pressoché tutti gli oggetti – il cui comportamento spesso costituisce parte integrante del puzzle solving – presenti in questo mondo virtuale.

Il nostro simpatico pupazzo è in grado di saltare, afferrare o aggrapparsi ad alcuni oggetti, volare grazie ad una sorta di jetpack, ecc. E’ anche possibile (e in alcuni frangenti indispensabile) sfruttare l’aiuto di uno o più giocatori ulteriori per raggiungere parti inaccessibili in singolo. Sfortunatamente non sono riuscito a giocare delle partite online in maniera soddisfacente, a causa di un consistente lag che ha sempre afflitto le mie sessioni: immagino che possa avere a che fare con il codice non finalizzato e pertanto suscettibile di miglioramenti, pertanto mi astengo da qualsiasi giudizio su questa parte.

Quello però che, a mio avviso, può rappresentare il vero, enorme punto di forza di LBP è la creazione e soprattutto la condivisione di contenuti. Grazie al poderoso editor di cui dispone il titolo Sony, è possibile non solo dar vita a nuovi livelli di gioco, ma anche metterli a disposizione della comunità, rendendone virtualmente infinita la longevità.

Le potenzialità sembrano essere veramente notevoli: il numero di oggetti-base disponibili, che possiamo immaginare come dei mattoncini Lego videoludici, è enorme e viene ampliato man mano che si completano gli indispensabili tutorial. Dai diversi tipi di materiale per le piattaforme e i blocchi passando per mezzi di locomozione come uno skateboard, io stesso credo di non aver visto granchè del campionario accessibile nella beta.

Ed è questo a mio avviso che, forse paradossalmente, potrebbe rappresentare il vero limite di LBP: vedo l’utente medio su console meno propenso ad investire il proprio tempo libero nell’apprendimento di un editor rispetto, ad esempio, ad altre piattaforme ludiche come il PC. Unire una certa apparente macchinosità di fondo nella fase di creazione ad un numero sterminato di opzioni (ergo, oggetti) disponibili temo possa spaventare la maggior parte dei videogiocatori, insomma. E sarebbe davvero un peccato mettere da parte una feature del genere.

In quest’ottica trovo comunque di conforto il quantitativo di livelli già creati con questa beta “chiusa”: se una parte così piccola dell’utenza è riuscita a mettere online tutto questo materiale, è lecito immaginare che il numero non possa che salire ulteriormente una volta che il gioco sarà giunto ufficialmente nei negozi.

Little Big Planet ed il Corano, ovvero la Religione ed il Mondo Reale

Little Big Planet, uno dei titoli più attesi per PS3 era ormai prossimo all’uscita quando, sul forum europeo di PlayStation.com ecco apparire un messaggio urgente (che è stato subito rimosso, questa è una copia cache) che rende noto una violazione delle norme di moralità secondo i dettami della religione islamica. Una delle canzoni che fanno da colonna sonora al gioco, infatti, citerebbe due frasi del Corano e, per l’Islam, citare frasi sacre accompagnate da musica o danze è una grave mancanza di rispetto. La reazione di Sony al post (che per quanto ne sappiamo potrebbe essere stato scritto anche dal nostro Monopoli per minare la diffusione della PS3, visto che al solo pensiero di programmarla sta male) ha lasciato interdette moltissime persone.

Poiché si trattava di Islamismo, quello che si presume abbia fatto esplodere le torri gemelle, e non di quell’inoffensiva arma di intolleranza di massa che porta il nome di Benedetto Mk16, la Sony non solo ha deciso di intervenire tempestivamente, ma lo ha fatto nella maniera più radicale possibile, ritirando tutte le copie del gioco e facendo slittare la data di distribuzione per avere il tempo di rimasterizzare copie con i contenuti corretti.

Qualcuno ha fatto notare che la canzone reputata offensiva (Tapha Niang di Diabate’s Symmetric Orchestra, canzone tutt’altro che ignota, vincitrice anche di un Grammy) non solo è in distribuzione discografica senza conseguenze da oltre due anni ma è anche opera di un mussulmano.

Rimane il problema del contesto: la canzone era lì perché era gradevole non certo perché il gioco voleva attaccare una religione o mancare di rispetto ad un credo. Ce lo vedete Sackboy a fare il ragazzaccio in stile Rockstar?

Resta comunque il problema etico del perché assecondare una minoranza religiosa ed imporre le sue scelte al resto della comunità. A guardare bene, in realtà, il discorso è estendibile a qualsiasi altra religione: perché assecondare qualsiasi dettame religioso fuori dal suo contesto d’applicazione (ovvero il culto e la vita del religioso osservante)? Quanto bisognerà aspettare che God of War sia reputato immorale o irrispettoso perché rappresenta divinità pagane messe al bando da molte religioni di massa? Perché un religioso osservante non può semplicemente privarsi di qualcosa spontaneamente piuttosto che imporre la propria visione della realtà su tutti? Non sono forse gli individui a scegliersi la religione oppure i gamer di tutto il mondo hanno il vizio di giocare su maxi-schermi solo in moschee, sinagoghe, sedi di Scientology o chiese, impedendo ai religiosi di non rimanere offesi?

E’ semplice estremizzare: in quasi tutti i giochi ci sono donne che vanno in giro a discinte ed a capo scoperto, somma onta per le religioni islamiche (che non sono certo le prime per rispetto ed uguaglianza verso il sesso femminile, ci sarebbe da ribattere), perché non adeguare anche quelli allora? Mettiamo il burqua a Lara Croft e, già che ci siamo, facciamo sposare in chiesa Duke Nukem, invece di farlo andare a puttane.

Di recente si è parlato tanto di videogiochi ed incitazione alla violenza o all’odio razziale, pochi hanno preso coscienza che, con il massificarsi del mezzo, essi continueranno sempre più spesso a cozzare con le sensibilità religiose di tutto il mondo. Ormai il videogico ha una potenza espressiva tale che le conseguenze di una censura hanno una portata ben maggiore della censura dei crocifissi in Castlevania per NES.

In passato è accaduto per Dungeons & Dragons, Magic The Gathering e moltissimi altri giochi da tavolo che furono additati dalle più disparate religioni come elementi perturbanti la sensibilità dell’osservante. D&D ha riavuto i suoi diavoli e demoni solo dopo una decina d’anni, Magic ancora porta i segni di illustrazioni censurate e testi modificati, nonostante molte nuove carte siano decisamente più offensive delle vecchie. Entrambi i giochi sono ormai ben accetti anche in quei salotti religiosi che li avevano originariamente messi al bando.

Questo sta a dimostrare che, alla fine, gli unici ad essere danneggiati da tutto ciò sono proprio gli osservanti stessi: incapaci di fare una piccola rinuncia e di mettere alla prova la loro fede, spingono per un’omologazione globale che renda le cose un po’ più facili per loro, ignari di minare gradualmente i principi morali per cui vivono.

Il loro non è un grido di sfida: è una richiesta d’aiuto perché sono così vulnerabili da essere incapaci di evolvere il loro pensiero critico autonomamente. Aiutiamoli, ma stiamo sempre attenti che i desideri di pochi non prevarichino le libertà fondamentali di molti.