Questo articolo è apparso per la prima volta su Babel#17
Il cinema nasce come fatto tecnologico, un’invenzione ‘senza futuro’ pensata per stupire il pubblico snob della Parigi di fine ottocento. I Lumière, epigoni di un processo di studio e ricerca sulla luce e sulle immagini che affonda le sue radici in tempi remotissimi, vedono nella loro invenzione soltanto un modo per fare soldi e, soprattutto, non si mettono a riflettere sulle potenzialità estetiche del cinema. Il cinema è un passatempo per borghesi annoiati. I primi film sono semplicemente la cattura di scene quotidiane e si racconta che alcuni spettatori di Le Déjeuneur de bébé fossero stupiti più per le foglie in movimento sullo sfondo che per il contenuto del film. Le piccole folle che si ammassavano per assistere alle brevi proiezioni dei Lumière erano probabilmente attirate più dalla novità che dalla possibilità di partecipare a qualche dibattito intellettuale scatenato dalla visione. Il cinema come arte è un’invenzione successiva al cinema inteso come tecnologia per riprodurre il movimento attraverso le immagini. In questo caso è difficile attribuire la paternità, ma è possibile fare diversi nomi che hanno contribuito alla formazione del linguaggio cinematografico prima, e alla comprensione delle sue possibilità espressive poi. Potter, Griffith, Chaplin, Buster Keaton, Eisenstejin, Murnau e così via sono solo alcuni dei nomi che hanno accompagnato il processo di emancipazione della nuova arte, mentre le resistenze da parte degli ambienti intellettuali si sono fatte sentire forti e non sono mancati spettatori illustri che hanno prodotto invettive sperticandosi in paragoni con la letteratura e il teatro; come dargli torto? In fondo per loro il cinema era solo divertimento e tale doveva rimanere. Al massimo poteva veicolare le emozioni più elementari, ma non poteva certo ambire alla ricchezza psicologica e filosofica della letteratura e del teatro. Qualcuno ammazzerebbe subito la questione dicendo che quelle persone erano accecate e che non riuscirono a comprendere la rivoluzione estetica in corso, ma questo qualcuno sbaglierebbe perché il suo giudizio nascerebbe da una semplificazione ossessiva, in un certo senso ottusa e basata a sua volta su dei pregiudizi culturali, di un processo molto complesso. In realtà nella società le resistenze al cambiamento sono naturali ed è probabile che se non ci fossero la spinta del nuovo ne verrebbe impoverità e indebolità, come un bambino viziato a cui viene permesso di fare quello che vuole senza costringerlo a riflettere sulle sue azioni. Le obiezioni che vengono mosse dagli ambienti più conservatori obbligano alla riflessione e forniscono materia prima a quel gioco di rimandi, accuse, dimostrazioni, risposte che forma il dibattito intellettuale intorno all’oggetto del contendere. È probabile che se il cinema fosse stato accolto immediatamente come arte, avrebbe rischiato un’estinzione prematura o, quantomeno, avrebbe subito un ritardo nello sviluppo.
Con questo discorso non voglio dimostrare nulla in realtà, se non riflettere sul fatto che i processi culturali non sono automatici e che, anzi, richiedono una certa fatica per attuarsi ed essere accettati. Il cinema impiega molti anni per arrivare ad essere quello che è oggi, ovvero una forma di diffusione culturale oltre che un mezzo d’intrattenimento per bamboccetti annoiati. Riflettendoci bene la poesia stessa non ebbe vita facilissima e si trovò a scontrarsi con critici del calibro di Platone, ma questa è un’altra storia. In generale possiamo dire che l’arte come la concepiamo oggi è un fatto recente e che spostandoci nel tempo e nello spazio il concetto d’arte cambia profondamente. Il problema principale è che la società, per rubare un’espressione di Gombrich, deve ‘sintonizzarsi’ sulle novità, mettendo da parte le aspettative che accompagnano ogni volta che ci si trova di fronte a una qualche opera, o anche a un semplice comportamento quotidiano. Qui nasce il dialogo/scontro tra il vecchio e il nuovo che accompagna l’umanità dai suo albori.
E i videogiochi? Bella domanda. Il processo di emancipazione è iniziato, su questo non ho dubbi e iniziano ad apparire sempre più opere attente a proporre una visione estetica oltre che mero divertimento. Ovviamente il meglio lo si trova nel mondo indie, con prodotti nuovi e di difficile ricezione come The Path e Blueberry Garden. A mancare è una riflessione più organica che definisca gli ambiti del problema, anche a rischio di sbagliare. Purtroppo in questo i videogiocatori e la stampa specializzata non aiutano e si propongono sempre più spesso come ostacolo principale alla fondazione di un nuovo modo di concepire il medium videoludico. Speriamo che si riesca ad andare oltre l’ego e a produrre qualcosa di più sensato nell’immediato futuro.
Io non credo che si tratti di accettare o di superare il vecchio. Semplicemente, quando si ha in mano uno strumento, esso può servire a formare un prodotto culturamente interessante se chi lo utilizza ha questo obiettivo.
L’esempio del cinema calza assai: c’era uno strumento, era lì e veniva usato in un certo modo. Poi qualcuno ha pensato “ma perché non lo usiamo per fare qualcosa di bello e intelligente?” ed è nato il cinema come forma culturale. Non è che avessero torto quelli che dicevano che il cinema era solo un passatempo: finché nessuno ha saputo o voluto fare di meglio, il cinema era solo questo.
Lo stesso, per esempio, accade col romanzo. Il romanzo esiste da prima di Cristo, ma era stato ritenuto sempre una forma di paraletteratura, passatempo buono per le donnette. Poi nell’800 si è cominciato a utilizzare la forma romanzo per veicolare contenuti più profondi e interessanti delle banali storie d’amore. A questo punto si è smesso di dire che il romanzo fosse un genere da sciacquette, e si pensato di giudicare di volta in volta il valore della singola opera, a tal punto da poter scrivere Madame Bovary, dove un romanzo descrivere i mali provocati dal romanzo.
Per i videogiochi sarà lo stesso. Finché non arriverà qualcuno a decidere di voler fare un videogioco che sia anche culturamente interessante, continueremo a vedere giochi dove la storia è ripetuta uguale a se stessa all’infinito (l’allealanza galattica, la razza aliena che vuole distruggere l’universo, gli orchi, i maghi, le magie e le principesse da salvare…) cioè i videogiochi saranno una ottima forma di intrattenimento.
E non è necessariamente un male. Immagino che due maroni così mi farei di fronte ad un “videogioco d’autore”, con sessioni di gioco obbligatorie, tornei aziendali di classici retro e fantozziano grido liberatorio “Super Mario Bros. è una cagata pazzesca!” 90 minuti di applausi e crocifissione in sala mensa.
🙂
Esistono già videogiochi culturalmente interessanti, il problema è il mercato, che vizia i videogiocatori con titoli insulsi. La stessa identica cosa che accade col cinema italiano. La stessa identica cosa.
Se i giochi interessanti sono come i film italiani, mi sparo un’overdose di FPS 🙂
Hai capito male.
Tu indendi dire che i film italiani buoni sono sommersi dalla valanga di cinepanettoni che sbancano.
E siccome io questi bellissimi film italiani li adoro allo stesso modo in cui adoro Banfi e De Sica, mi auguro che i giochi intelligenti non siano come i film intelligenti italiani, perché allora preferisco un bel blockbuster straniero.
No, intendevo che come i film italiani sono fatti per il pubblico “televisivo”, i videogiochi sono in gran parte sempre la stessa roba, fatta per accontentare i fedelissimi. E fanculo la sperimentazione.
C’è un grosso ostacolo che impedisce (al momento) una “evoluzione” del videogioco, de è il problema tecnico.
Per sondare terreni differenti attraverso l’uso di un medium commercializzato bisogna essere nella posizione di poter autoprodurre a bassissimo, quasi inesistente, costo qualcosa in maniera AUTONOMA.
Scrivere un romanzo o una poesia non è mai stato un problema per coloro che avevano una buona idea, bastava essere dotati di carta e inchiostro, da parecchi anni a questa parte realizzare un corto amatoriale è tutto sommato abbastanza semplice, stesso dicasi per la musica che dagli anni 20′ è solo una questione di buona volontà e talento.
Ma il videogioco richiede delle competenze difficili da ottenere, con il videogioco non posso andare “a orecchio” o rifarmi semplicemente ad un’esperienza contratta tramite catarsi. Io videogioco da una vita e non saprei neanche da dove cominciare per costruire un videogioco mio, non mi intendo di programmazione ne di grafica e sopratutto non credo che esista un modo per ottenere un prodotto finale che possa davvero competere con una produzione EA o Ubisoft.
Come musicista posso dire di essere in grado di fare, con pochi mezzi, anche MEGLIO di molti prodotti che si sentono in radio, e non è perchè studio musica ma perchè è il medium in se che lo permette, mentre il videogioco è legato a doppio filo ad una potenzialità in costante evoluzione tecnica.
In più se uno scrittore o un musicista riesce ad essere pienamente autonomo, un creatore di videogiochi non può coprire da solo le innumerevoli figure professionali che sono necessarie a creare un prodotto competitivo dal punto di vista TECNICO.
Modellazione 3D, fisica, textures, programmazione, level design, game design, trama, ottimizzazione per le varie piattaforme ecc ecc sono tutti aspetti della creazione di un videogioco che fanno capo ad una o (più spesso) più persone.
E i tempi di lavorazione? tutt’ora proibitivi per un team indipendente.
I giochi “commerciali” hanno sviluppi che durano anni pur avendo a disposizione eserciti di PROFESSIONISTI al lavoro.
Come può un gioco indipendente imporsi all’attenzione del pubblico se il più delle volte si presenta non competitivo con il resto del mercato? e poi …
cosa c’è di male nel voler fare del “semplice” intrattenimento?
Se ci pensate, per quanto il concetto di ARTE sia stato modificato e applicato a qualsiasi medium creativo (e non) esistente sulla terra, quello che non è mai morto è l’aspetto intrattenitivo della creatività umana.
Continuano a sopravvivere, anzi a vivere meglio di altri, i romanzetti rosa/adolescenziali di Moccia, i film di esplosioni e stunts Hollywoodiani e la musica R&B dal ritornello facile facile.
Significa che la gente tutto sommato cerca nel mercato qualcosa che la intrattenga, e anche io se penso di dovermi mettere davanti a un videogioco d’autore “felliniano” mi viene da spararmi un colpo.
Preferisco dunque intrattenimento di qualità piuttosto che pseudo-arte pretenziosa da circolino radical chic bohemien.
In realtà il panorama “Indie” videoludico è forse ancora molto immaturo rispetto ai colleghi ma potenzialmente più succoso di un panorama musicale o cinematografico.
A differenza degli altri campi, dove ti servono comunque degli attori almeno non troppo cani, degli strumenti non troppo scordati, un buon programmatore che sa muoversi nel suo campo insieme a buon grafico possono, con tempo e pazienza, tirare fuori prodotto assolutamente competetivi e ben riusciti.
E’ un campo ancora troppo vergine, in cui manca una reale linea guida, ci sono sperimentazioni senza equilibri, piccoli fermenti generali e circoscritti che ogni tanto hanno la fortuna, o la buona idea, di sfociare in progetti capaci di attrarre, come dice Jimi, entrambe le masse.
Portal ne è l’esempio lampante, Braid o Aquaria ne seguono a ruota.
E’ difficile catalogare il concetto di arte applicata perchè tutto ciò che ne esce è un riflesso.
I videogiochi che attingono dal cinema, dalla musica, dalla pittura, finiscono per essere grottesche caricature di se stesse, snaturati e malconci.
Sono di certo un mattone utile a costruire la scala, ma una vera maturità andrebbe cercata nel mezzo in se, raffinando le sue peculiarità, esplorando le sue potenzialità, trovando una propria dimensione.
JimiBeck: concordo sulla prima parte, ma non sulla seconda
@Dexter
Cioè? :asd:
mah, sei per il puro intrattenimento, non ti curi del resto, per me fai male, amen
L’ho detto, sta storia del cinema d’autore sta solo nella testa di qualche fighetto snob da cineforum alternativo, soprattutto qui in italia.
Hitchcock faceva cinema d’intrattenimento, no? Allora perchè è citato in qualunque storia del cinema?
Verso gli anni ’10 fu fondata una casa di produzione chiamata “film d’art” che aveva l’obiettivo dichiarato fare cinema “d’arte”. I film erano delle ampollose mattonate sui cojoni che oggi non si fila nessuno. Ma all’epoca avevano un aspetto “importante” e “artistico” e la gente si diceva “beh, ma allora sti film…”
non so perchè mi viene in mente gente come i tale of tales.
Beh, negli anni successivi ci saranno anche moltissimi autori che verranno ricordati in quanto tali e che tenteranno di fare del cinema un mezzo d’espressione. Il tuo tentativo di desacralizzare un certo discorso si scontra con lo stesso difetto che imputi agli altri, ovvero la generalizzazione.
Hitchcock faceva cinema d’intrattenimento? Certo, ma ha anche inventato molto a livello di linguaggio cinematografico ed è studiatissimo per questo motivo. Oltretutto rilasciò svariate interviste in cui non si mise certo a denigrare il cinema come forma d’arte, ma in cui illustrò il suo punto di vista in modo spesso ironico, ma molto preciso.
@P6: Da noi purtroppo c’è la sindrome dell’intellettuale minore: tutti sperano che un Umberto Eco qualsiasi si alzi una mattina con le palle girate ed elegga il nostro passatempo preferito a nona arte. Il fumetto era bello anche prima che Eco dicesse di avere sempre sul comodino Dylan Dog: avevamo già avuto Manara, Pratt, Magnus, Eisner, Oesterheld, Moore, Gaiman e Morrison, tutta gente cresciuta a libri d’avventura o fumetti pulp, tutte sottoculture spesso snobbate, gente che lo faceva perché sapeva farlo e amava quel modo di raccontare. Molti poi hanno difeso il loro lavoro artistico, ma l’obbiettivo primario non era fare qualcosa di artistico era fare qualcosa di bello.
Nei videogiochi gente come Gilbert, Romero e Mechner, fra gli altri, hanno formulato esplicitamente e buttato le basi del game design moderno (perché anche i giochi hanno le loro regole, consiglio a tutti Art of Game Design: A book of Lens). Gente che si è smazzata libri di narrativologia per raccontare le proprie storie, perché le regole di base dello storytelling sono universali (nelle università amercane ci sono proprio corsi di writing e anche se da noi vale il concetto della musa e delle regole sono per piccoli borghesi, anche gli scrittori più affermati da Hemingway a Richler sapevano che ogni disciplina ha le sue regole e non rispettarle non significa per forza fare arte, molto spesso è solo sbagliare)
ok, in effetti l’ho messa un pò sul confuso.
ce l’avevo con frasi tipo “se penso di dovermi mettere davanti a un videogioco d’autore “felliniano” mi viene da spararmi un colpo”.
voglio dire che l’arte non dipende dal “ci sono contenuti alti-impegnativi-nonpertutti”. grazie al cielo. Hitchcock è un artista perchè ha spinto a livelli altissi il linguaggio cinematografico. Kubrick ha trattato nei suoi film temi impegnativi e delicati (e ha fatto pure il filmone lento e pesante) ed è una cosa buona e giusta, ma prima c’era una tecnica ed una potenza visiva solida come una roccia, sennò non sarebbe stato nulla di diverso da tanta pretenziosa cacca “impegnato-d’essai” che ammorba le sale alternative di mezzo mondo.
questo per dire che non abbiamo bisogno di aspettare il “videogioco d’essai” (???), io ci metto la mano sul fuoco che nella costruzione del gameplay di mario world c’è dell’arte. ambientazione e personaggi sono le massime vette del kitsch, ma il gameplay è capace davvero di portarci indietro di anni e restituirci creatività, gusto per il gioco e per la scoperta dell’infanzia. E quella io la chiamo arte.
Il problema è che la gente ha bisogno di mettere tutto in scatola e ha paura delle novità non catalogate. Quindi se legge un fumetto deve essere una “graphic novel” perchè dire “comic book pare” brutto e il videogame per essere artistico deve essere presentato come qualcosa a parte, da non confondere coi passatempi per bambocci. Da li il discorso sulla film d’art.
ps.
uriele ha anticipato una parte di quello che stavo dicendo
Avete un concetto di “Arte” completamente sfasato, e spesso lo associate con quello di “comunicazione”.
Le due cose non sono legate a doppio filo, anzi tutt’altro.
La comunicazione si basa sulla conoscenza di un linguaggio e di come questo viene percepito dalle persone a cui ci si rivolge, un bravo comunicatore deve essere in grado di prefiggersi un obbiettivo e colpire sempre nel segno facendo leva sul sentire comune del gruppo di individui a cui sta parlando/esponendo.
Nella musica sono comunicatori i compositori di musica da film, che se gli viene chiesto “qua mi serve una roba che faccia paura” loro conoscono il linguaggio della musica (e il modo in cui viene percepito dalla massa) sufficientemente bene da comporre un brano che risvegli in chi lo ascolta la sensazione prevista.
In musica un artista è quello che in un momento della sua vita sente il bisogno di tradurre in musica quello che sente, MA (attenzione) non si pone l’obbiettivo di farlo comprendere a terzi, semplicemente usa il veicolo della musica come valvola di sfogo, l’opera esaurisce la sua funzione quando giunge a compimento poichè la sua funzione era quella di materializzare una sensazione estemporanea, qualcosa che in realtà non potrà MAI essere fissata nel tempo, poichè nell’attimo immediatamente successivo l’artista (in quanto essere umano) proverà una sensazione già differente.
In quanto tale l’opera d’Arte è giudicabile solo dall’artista che l’ha prodotta, poichè solo lui può riscontrarvi o meno la fedeltà delle sue intenzioni.
Le due figure non sono necessariamente separate, si può essere artisti e comunicatori, ma l’Arte è un processo individuale che nasce dalla necessità del singolo, mentre la comunicazione è qualcosa che si rivolge ad altri.
Ora nessuno esclude che possiate provare empatia con l’opera d’arte, o che crediate/supponiate di provarla, ma questo non significa che l’artista volesse dire a VOI qualcosa … e sopratutto con quale presupponenza si può pensare di comprendere il volere di qualcuno le cui esperienze e sensazioni ci sono totalmente estranee (per il semplice fatto che non coabitate nello stesso corpo/mente).
Quindi ben venga il mestiere di intrattenimento di qualità, la comunicazione di qualità, c’è ENORME dignità nel dare vita ad un prodotto che riesce ad essere compreso dal pubblico pur mantenendo un livello qualitativo accettabile, è un mestiere che richiede molto più studio e dedizione dello svegliarsi a mezzogiorno per vomitare su una tela le tue seghe mentali (non che tutta l’Arte sia così s’intende, ho preso solo un esempio).
Cerchiamo di non chiamare “Arte” qualcosa solo perchè lo riteniamo valido, come se l’Arte fosse il livello “elite” di qualsiasi campo, si tratta di cose ben distinte, che nascono da presupposti diversi e hanno obbiettivi diversi.
Detto questo, che si tratti di Arte o Mestiere, nel momento in cui un’opera viene messa in commercio con l’intenzione di essere venduta (fisicamente o concettualmente) sono autorizzato ad analizzarla con il metro dell’intrattenimento, perchè non compro qualcosa per farmi sfrangiare i maroni o per stimolarmi il voltastomaco. In realtà è tutto molto semplice: funziona? (come intrattenimento) bene, allora è valido. Non funziona? (sempre nei termini dell’intrattenimento) è una cagata.
Poi siccome tutto è soggettivo e “ciucia chi e ciucia lì”, può sempre saltare fuori la minoranza che dice “ma a me piace lo stesso”, ma in generale fottesega perchè se i sassi li mangia uno solo non vuol dire che sono buoni per tutti.
in b4: però sono pieni di minerali!
JimiBeck, hai appena escluso dalla definizione di arte il 99% della produzione artistica 🙂
tipo: “wow la Cappella Sistina è ARTE!!!”
Si, la escludo, perchè Michelangelo non era libero di fare quello che gli pareva a lui, aveva un tema imposto dal suo committente, e gli hanno anche rotto le scatole per come lo aveva interpretato, oltretutto inizialmente aveva anche rifiutato perchè lui si sentiva scultore e non pittore.
La Cappella Sistina è una grandissima opera di mestiere, e non c’è nulla di male in questo, anzi trovo sia molto più importante ed incisiva che non un’opera d’Arte libera, Michelangelo con la cappella sistina ci doveva “pagare le bollette” e anche in questo non c’è niente di male perchè è riuscito comunque a portare a casa la pagnotta dando vita ad un opera di grande qualità e intuizione espressiva.
Perchè non date valore al mestiere e vi fissate con il fatto che l’Arte “è una cosa superiore”?
Beck, quelli come te mi fanno pena. in base al tuo discorso praticamente l’arte è nata sessant’anni fa. per secoli e millenni l’ideale assoluto di artista è stato proprio un michelangelo, che a quanto pare per te era solo un bravo mestierante.
francamente l’arte come “cosa superiore”, così come la intendi tu, è talmente “superiore” che non serve a nessuno.
Hai capito male, io attribuisco infinitamente più valore a quello che ha fatto Michelangelo piuttosto che all’Arte.
Proprio perchè l’Arte in realtà non serve a nessuno tranne che all’artista che l’ha fatta.
ma è un discorso contraddittorio, eh. se per te la cappella sistina ha un valore più alto dei 4 minuti di silenzio di john Cage va da se che è anche più “artistica”.
poi scusa, se faccio uno scarabbocchio mentre parlo al telefono (quindi un “processo individuale che nasce dalla necessità del singolo”) ho fatto un’opera d’arte più “alta” della cappella sistina di michelangelo? e perchè nessuno la mette in un museo?
mi sa che in testa hai una bella insalata di idee provenienti dalle avanguardie storiche che però andrebbero capite un pò meglio (e magari inserite nel loro contesto storico).
*scarabocchio
Capisco che l’argomento è ostico, ma se non leggete quello che scrivo la matassa non si risolverà mai …
a) non esiste una relazione diretta Arte –> Museo :asd:
b) l’artista è l’unico giudice della propria Arte, se per te il tuo “scarabocchio” è la sintesi più profonda di tutto quello che ti passava per la testa … allora è Arte. Si tratta solo di sincerità con te stesso e quello che fai (cosa che non succede mai quando si tratta di commercializzare l’Arte).
c) La Cappella Sistina è un manufatto di incredibile bellezza ed espressività, ma l’Arte è un’altra cosa. E con “un’altra cosa” NON intendo migliore o peggiore, ma proprio un’altra cosa, tipo mele e sassi.
d) Mai letto nulla di avanguardistico, o di qualsivoglia corrente … le correnti di pensiero sono per gli imbecilli, come qualsiasi calderone di “idee comuni”. A delineare questo profilo dell’Arte ci sono arrivato discutendo ANNI con altri musicisti, illustratori e registi, gente che nella vita si divide appunto tra MESTIERE e tentativo di espressione artistica, tramite esperienza diretta e non ciance da bar.
Bisogna smetterla di attribuire all’Arte un valore superiore a qualsiasi altra espressione dell’ingegno umano, è un discorso ignorante che confonde le idee e tende a seppellire il vero mestiere.
Scusate se mi intrometto, stavo per rispondere al primo messaggio di Jimi, ma poi ho capito quello che voleva dire. Si è partiti da definizione di Arte differente: per lui arte significa un bisogno di espressione profondo non correlato a canoni estetici e regole strutturali. In questo senso l’arte non ha nessuna relazione con la tecnica; è una visione “particolare” dell’arte moderna, è l’arte di tutti contrapposta all’arte per tutti. Arte di tutti (chiunque voglia esprimere qualcosa attraverso la sintesi emozionale) per me equivale a dire arte di nessuno, non è arte. Se il creatore è l’unico destinatario per me non parliamo di arte, ma al massimo di introspezione.
L’arte per tutti (quelli che hanno gli strumenti per giudicare) per me è arte. La definizione è quella etimologica di arte:
Attività dell’uomo basata sul possesso di una tecnica, su un sapere acquisito sia teoricamente che attraverso l’esperienza.
Sotto questo punto di vista l’arte non è solo il trasmettere emozioni, ma il massimo livello raggiunto dalla tecnica in un particolare campo. Conoscere le regole della struttura dell’opera e saperle applicare permette all’artista di eseguire il passo successivo: infrangere o forzare le regole dei canoni artistici CONSAPEVOLMENTE per generare una particolare emozione o sentimento. Picasso conosceva e sapeva applicare i canoni classici (basti guardare i disegni del primo periodo), sapeva applicare i concetti di prospettiva, obreggiamento, anatomia secondo i canoni classici e proprio questa sua consapevolozza gli permetteva di infrangere consapevolmente questi codici; Saramago conosce perfettamente le norme che regolano la forma dei dialoghi nei racconti, ma le infrange consapevolmente per avvicinare il dialogo al linguaggio parlato; Joyce conosceva bene l’uso della punteggiatura e il suo stile infrangeva volontariamente queste norme.
L’artista è quindi il maestro della tecnica che può rivoluzionare, seguire in modo pedissequo, piegare o infrangere le regole per creare un prodotto capace di suscitare emozioni in modo mirato in chi osserva. Per fare questo bisogna conoscere bene la grammatica, la sintassi e le regole strutturali del mezzo.
Esprimere emozioni o sensazioni intelleggibili solo per l’artista per me non è arte è semplicemente collegare un ricordo o un’emozione a un vettore a un vettore. Se il giorno che muoiono i tuoi genitori rompi un vaso e rincolli i cocci mettendoci dentro le ceneri, l’oggetto che hai ottenuto non è un’opera d’arte, ma è un vettore potente che ti trasmette nel contempo il dolore della perdita e il ricordo di una persona cara.
Sono d’accordo su alcune cose, ma hai fatto degli esempi molto “limite”.
E’ ovvio che sia il fruitore a doversi sforzare di acquisire i mezzi e le informazioni per comprendere alcune opere, ma queste ultime non rientrano in quella che, personalmente, definirei comunicazione.
Il cubismo di Picasso non venne accettato a braccia aperte da tutti, proprio perchè in pochi erano preparati allo stravolgimento tecnico della pittura che lui aveva messo in atto. E anche quando a giudicare è un individuo che si è formato con un percorso simile a quello dell’artista, e quindi si presuppone padroneggi il linguaggio in causa e sia in grado di comprendere il valore delle modifiche, non sempre la “rivoluzione” è bene accetta.
E’ il caso di Louis Armstrong che si riferì alla nuova corrente Be-Bop, guidata da Charlie Parker e Dizzie Gillespie, con termini ASPRISSIMI, definendola “un’accozzaglia di note senza senso con un beat sul quale non si può ballare”. La storia poi ci raconta che è il Jazz di Parker ad essere insegnato oggi nelle scuole.
La mia domanda dunque è: si può definire comunicativa un’opera che in realtà fallisce l’obbiettivo della comunicazione nel suo tempo?
Si tratta pur sempre di un errore, se vogliamo essere pignoli, il comunicatore sbaglia la sua valutazione e non riesce ad ottenere dalla massa un feedback positivo (nel senso della comprensione).
Forse allora si tratta di una necessità dell’artista di rompere uno schema, di ampliare le potenzialità espressive di un mezzo per lui costrittivo al fine di creare qualcosa che in realtà è PIENAMENTE comprensibile solo a lui.
Io in questo caso dico Arte.
vabbè… non è ancora sceso nessuno dal cielo a darci la definizione oggettiva di arte, per fortuna.
quello su cui ci metto la mano sul fuoco è che l’arte ha a che fare proprio con la comunicazione per il semplice fatto che per essere arte deve essere riconosciuta da qualcuno (e questo credo che sia l’unico punto fermo)… e se non comunica chi caspita la deve riconoscere?
Picasso ha innovato ma la sua innovazione è stata colta da qualcuno (anche più di “qualcuno”), il be-bop lo si ascolta ancora (magari non su radio deejay, eh) e pure il free-jazz ha diversi appassionati.
ma pure i 4 minuti di silenzio o i cubi e quadri bianchi dei minimalisti “comunicano” (la mancanza stessa di comunicazione o una presa per i fondelli o quel che ti pare) perchè creati da artisti riconosciuti dietro le cui opere c’è sempre qualche idiota pronto a sperticare elogi e a tirare avanti analisi ed interpretazioni concettuali. per questa ragione se un cubo bianco (o uno scarabocchio) lo faccio io non mi caga nessuno e non ho fatto arte. oppure ho fatto dell’arte che riconosco solo io, il che non mi sembra sia tanto diverso.
io francamente, rispetto a queste seghe mentali a vuoto, preferisco tenermi l’arte della definizione etimologica.
Certe cose hanno fatto scuola, per questo si ascoltano o vi si fa riferimento ancora oggi, difatti molte opere sono comprese ed apprezzate più oggi che in passato.
Ma non bisogna confondere il processo individuale che ha portato alla modifica/ampliamento del liguaggio con le opere che sono venute successivamente dove vengono implementate queste modifiche.
Ad Armstrong il Be-Bop non diceva nulla, e non solo a lui visto che non è mai stata una musica dalla facile fruizione, vi è più in una società che stava vivendo il movimento Swing e concepiva la musica Jazz in funzione del ballo.
In quegli anni la musica di Parker non comunicava nulla alle persone e quindi non era valida?
Poi improvvisamente 20 anni dopo nelle scuole si studiavano gli assoli di Parker! In quel momento la sua musica ha acquisito valore dal nulla?
Scusa se te lo dico, ma giudicare un opera da come questa viene percepita (in termini di comunicazione poi! assurdo) mi sembra un tantino superficiale, mi sembra il discorso “non capisco, quindi fa schifo” che giusto chi non ha mai affrontato il problema dell’espressione artistica in prima persona può fare.
Aspetta, qui si fa un po’ di confusione. L’arte, se proprio vogliamo chiamarla così, non deve piacere, deve essere comprensibile a chi ha gli strumenti. Posso capire un’architettura moderna (gli stilemi e gli usi delle forme), ma posso non apprezzarla. Arte non vuol dire Bello (o almeno non vuol dire bello da dopo il ‘700), spesso si infrangono appositamente i canoni estetici, come le donne di Botero. Il fulcro sta nell’appositamente e in modo studiato: Charlie Parker sapeva ANCHE suonare in altre maniere, ma ha costruito la sua voce su il Bebop.
Se io comincio una frase con “e” commetto un errore, a meno che io non conosca il mio errore e voglia enfatizzare la frase dando un tono biblico e imperioso:
“E Dio disse: La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto” (Gen.)
si ma NON DEVE per chi? chi l’ha stabilito?
poi chiariamo una cosa, voi avete parlato di Picasso e Charlie Parker, io dei minimalisti (per l’occasione sostituiamoli con Duchamp) e di John cage. sono due cose diverse.
Picasso oggi piace, anche se non a tutti (poi vabbè, la quantità di opere e stili diversi che ha usato è enorme, non è mica così facile la questione) e lo stesso vale per il be-bop. anche gli impressionisti inizialmente erano considerati degli imbratta-tele, oggi nessuno, manco il più ignorante degli ignoranti, considererebbe Monet brutto o incomprensibile.
Duchamp invece non piace a nessuno, oggi come ieri, e manco cage: non c’è niente da farsi piacere in un orinatoio firmato o nella registrazione del traffico sotto casa.
questa gente ci dice soltanto che l’arte non esiste e che può essere qualunque cosa (un cesso se sta in un museo -l’orinatioio di duchamp- o il silenzio se “suonato” ad un concerto -4.33 di Cage-), cioè fa (ha fatto) una non-arte di pura provocazione. credo che siano questi i delirii sull’arte non-comunicativa di jimibeck, perchè appunto nè picasso nè parker facevano arte “solo per se stessi”, potete starne certi.
oltretutto anche quell’atteggiamento lì è superato, noi siamo figli della trans-avanguardia degli anni ’80, quando si cominciò a portare (cioè, idealmente…) i murales nei musei, ad esaltare la spontaneità nell’arte e a rivalutare l’importanza della tecnica (tradizionale e non). sarà stato un recupero reazionario ma tant’è. aggiornatevi.
nota: con “piace” intendo semplicemente dire che piace proprio esteticamente. che poi ci siano fanatici pronti a svenarsi per tenere in casa ruote da bicicletta e vetri rotti non lo nego.
dipingo per hobby, ho girato corti e pure programmato giochi amatoriali, è abbastanza per “entrare nei meccanismi”?
se dici che anche duchamp comunica qualcosa confermi quello che sostengo io. chi è l’artista che non vuole “comunicare” per te? e non dire picasso o Parker.
Esistono pacchi di “artisti” che non vogliono comunicare ma semplicemente realizzare, perchè il mestiere della comunicazione è una cosa e l’Arte è un’altra.
Può esserci l’artista che in un momento della sua vita comunica e in altri semplicemente da vita a qualcosa solo per rispondere ad un suo personale impulso.
Sono due momenti separati, ma non può esserci premeditazione nell’Arte, quando invece è indispensabile per l’opera di mestiere.
E delle due, l’ho già detto, preferisco l’opera di mestiere, anche se non quella che si assume il ruolo di educatrice o flagello della società o che so io.
Trovo odioso il connubio di musica/pittura/cinema e politica/religione/filosofia.
Perchè vuoi negare la possibilità che qualcosa non sia stato creato perchè tu ne possa fruire? Io al contrario non nego che esistano opere concepite per comunicare, solo le chiamo in un modo diverso per attribuirgli maggior valore.
Un ragazzo tiene un diario e ci sfoga dentro discorsi senza un senso compiuto, fa degli scarabocchi quando è nervoso e tira linee verticali quando i suoi genitori divorziano. Lui realizza senza comunicare ed è l’unico a capire il senso del suo diario, ma non è un Artista: lo fa per istinto non per tecnica
boh, francamente non capisco. io in questo discorso son d’accordo con te, ma poi dici “però quella lì non è arte”… perchè?? chi l’ha stabilito?
poi è una questione piena di contraddizioni: in base a quel che dici Hitchcock era un mestierante tanto quanto James Cameron, no? non c’è arte di mezzo, quindi stanno sullo stesso piano, e Titanic vale quanto Psycho, giusto?
e per i videogiochi? togliamo direttamente mano (ad eccezione delle vecchine al cimitero ovviamente)?
Quindi Arte elite di un determinato ambito?
Se la cosa ti soddisfa tieniti questa definizione.