Diamo il benvenuto al mitico Danilo Dellafrana, appassionato di retrogaming, collezionista di riviste di settore e conoscitore di millemila chicche sui videogiochi più disparati. Ci omaggerà del suo sapere ogni qualvolta ne avrà voglia.
Ogni appassionato di videogiochi con una cultura retro quantomeno decente ricorderà il caso Giana Sisters: che abbiate vissuto o meno quel periodo ne avrete sentito parlare così tante volte che la metà basta. Forse però non tutti ebbero la fortuna di leggerne la recensione sul numero di Zzap! Targato luglio/agosto 1988. Eh si, all’epoca le riviste di videogiochi pubblicavano un numero unico per i due mesi estivi che veniva letto e riletto con il maniacale attaccamento del tossico che, privo della sua dose, trova il suo metadone nella logorante arte della rilettura ad oltranza. Bene, tale recensione, peraltro entusiasta, vedeva l’apparizione di un singolare, italico commento accanto a quello del buon Paul Glancey (oh, ma quanto gli assomigliava l’avata….faccina, all’epoca erano le “faccine di Zzap!”) .
Questo era scritto da colui che in seguito, durante lo stesso anno si sarebbe firmato come “Il caporedattore mascherato, il difensore del copyright”, l’alter ego del mitico Fabio Rossi, redattore d’annata extraordinaire. Sostanzialmente si lamentava del plagio effettuato da Trenz e soci ai danni della Nintendo, ovviamente citando Super Mario Bros. come opera lesa. Ce ne eravamo accorti tutti eh, addirittura i pirati avevano scritto un hack che sostituiva gli sprite di Giana e Maria con il baffuto idraulico nintendaro: le cassette pirata che tutti (si, anche tu) compravamo in edicola ne erano piene. Ma quello schietto e onesto commento, così spontaneo rispetto ai rigidi pareri di Rignall e soci ci piaceva.
Nemmeno il tempo di sentirne la mancanza ed eccolo tornare per due mesi di fila, nei numeri di settembre e di ottobre: evidentemente il buon Rossi in quel periodo aveva ulcere micidiali dato che era inalberato per i plagi ad opera di Katakis (ricordate la similitudine con R-Type, tale da far ritirare il gioco dagli scaffali con lo Zzap! inglese divulgatore di una demo su cassetta più unica che rara? No? Beh studiate, poi interrogo) e Hawkeye. Forse questa è la prima volta che vedete il nome del massiccio titolo Thalamus associato ad un fantomatico plagio ma all’epoca, ovvero settembre 1988, la colonna del Caporedattore Mascherato (che nome cazzuto, ndMatilda) colpì tale titolo e relativa software house con particolare ferocia, addirittura insinuando successivamente che il voto assegnato dalla redazione d’oltremanica con tanto di Medaglia d’oro fosse stato opportunamente “pompato”. Parole forti, non prive di una legittima malizia: la Thalamus nasceva nel 1986 come software house sotto il vessillo della Newsfield Publishing, ovvero la casa editrice di Zzap!64, Crash e Amtix con cui condivideva le splendide cover ad opera del grande Oliver Frey, e riuscì rapidamente ad crearsi una reputazione di publisher di gran qualità grazie ai titoli ad opera di geniali programmatori come Stavros Fasoulas, i Rowland Brothers e i Boys without Brain.
Proprio i ragazzi senza cervello crearono quel succulento bocconcino che risponde al nome di Hawkeye che venne però accusato di essere un becero clone di Obliterator. E qui vedo i miei lettori più giovani grattarsi la nuca ma non me la sento nemmeno di metterli dietro alla lavagna in punizione: diciamo che Obly non è invecchiato benissimo e ce lo ricordiamo in pochi qui al circolo, tra una partita a briscola e un quartino di vino prima di andare a ritirare la pensione.
Pubblicato dalla Psygnosis, è sostanzialmente la controparte sci-fi di Barbarian. Non stiamo parlando ovviamente del titolo Palace, famoso per le decapitazioni selvagge, il gameplay intenso e lisergico e le abbondanti forme della seminuda Whittaker su copertina e pubblicità, bensì di uno dei primi titoli a 16 bit in grado di mostrare cosa potessero fare le “nuove” macchine nel lontano 1987. Negli striminziti panni del barbaro Hegor, nostro compito sarebbe stato attraversare grotte e segrete evitando trappole e massacrando nemici fino allo scontro finale con un drago sputafuoco responsabile della morte di nostro padre. Grafica, sonora e packaging (ad opera dell’artista Roger Dean, una costante nelle illustrazioni Psygnosis negli anni d’oro) straordinari a parte, la cosa che colpiva del gioco era il rivoluzionario sistema di controllo, che si avvaleva di icone e mouse per comandare Hegor in un ibrido tra picchiaduro a scorrimento e platform con schermi a scomparsa. L’anno seguente esce il nostro Obliterator, il secondo ed ultimo titolo della software house col gufo a condividere l’interfaccia ad icone. Stessi comandi, stessi schermi a scomparsa, e stesso gameplay basato su esplorazione e combattimenti, stavolta però nel futuro, intenti a sabotare la nave madre dei soliti alieni invasori impersonando Drake, l’ultimo degli Obliterator, una stirpe di superguerrieri cyborg.
L’esperienza è più solida rispetto al predecessore spirituale grazie alle maggiori dimensioni dell’area esplorabile, alla ricchezza di situazioni come gli spostamenti in jetpack e agli scontri con armi da fuoco (ce ne sono quattro di diversa potenza ed efficacia da usare) , nettamente più dinamici dei combattimenti all’arma bianca di Hegor. Nonostante la presentazione da manuale come da copione, si tratta comunque di un gioco uscito durante la giovinezza delle macchine a 16 bit come testimoniano anche le lentissime animazioni, fastidiose già allora e inguardabili oggi: una buona tech demo con un po’ di gioco attorno insomma, tanto che la conversione per c64 venne abbandonata in seguito allo scarso successo delle successive versioni per MS-DOS e Amstrad CPC. Ah, tra l’altro il gioco presenta una delle peggiori bastardate della storia dei videogiochi: dopo aver sabotato la nave aliena scatta il conto alla rovescia per l’evacuazione, usando come timer il nostro punteggio! Non conosco anima viva che non abbia bestemmiato su tutto il calendario la prima volta che si è trovata di fronte a questa affascinante caratteristica, rea di aver introdotto alla bieca arte del farming una generazione di novelli amighisti. Bene, spero abbiate fatto caso alle frasi in corsivo durante la descrizione del gioco. Il Caporedattore Mascherato nel suo commento al vetriolo si fece forte di queste caratteristiche, criticando Hawkeye perchè, come Obliterator, aveva come protagonista un cyborg che poteva utilizzare quattro diverse armi per salvare l’umanità. Stacco, silenzio glaciale, balla di fieno che rotola in primo piano.
Un po’ pochino per inneggiare al plagio con una critica che già da allora pareva tirata per i capelli; sicuramente dopo un’analisi mirata e attenta il titolo Thalamus presenterà numerose altre similitudini, no? In effetti, no. Hawkeye era un arcade tra i più classici e lineari, privi di qualsivoglia verve esplorativa: si andava avanti e indietro nei livelli a scorrimento orizzontale per raccogliere quattro chiavi necessarie ad aprire l’ingresso al livello successivo negoziando a suon di piombo con l’ostile fauna locale. Era l’impeccabile realizzazione tecnica a fare la differenza: al contrario di Obliterator, il capolavoro dei Boys without Brain nasce in un periodo in cui l’hardware che la fa girare non ha più segreti per i programmatori e si vede: il protagonista è animato divinamente e si muove su variopinti fondali caratterizzati da diversi strati di parallasse e uno scrolling liscio come la seta, affrontando stormi di nemici o giganteschi guardiani spesso alti come tutto lo schermo. Il jingle della schermata di caricamento può essere remixato in tempo reale con una semplice interfaccia e il gioco offre sul lato B della versione su cassetta (su disco era caricabile a parte) un’introduzione di una bellezza unica, con un ambasciatore alieno che narra tra testo ed immagini la storia della propria civiltà e gli eventi che spinsero la sua razza ad attivare la SLF (Syntetic Life Form) comandata dal giocatore. Un capolavoro di programmazione che faceva dell’immediatezza dello schema di gioco la sua forza, fantastico da vedere e piacevole da giocare.
Ovviamente questa pappardella non vuole essere una critica all’ottimo Rossi: messe da parte “esuberanza” ed età, quell’epoca permetteva rischi e sperimentalismo ad un livello tale che similitudini nella trama di due videogiochi tra di loro completamente estranei potevano essere sufficienti a fomentare paradossali critiche sull’originalità dell’uno a discapito dell’altro, come nell’episodio riportato.
Sarebbe divertente sapere come l’alter ego di Rossi sia riuscito a sopravvivere negli anni 90, dopo che Street Fighter 2 e Doom aprirono la strada a seguiti e imitazioni pressochè infiniti.
Che poi in seguito il nostro supereroe attaccò anche Guerrilla War come becero clone di Ikari Warriors quando entrambi erano pargoli di mamma SNK condividendo addirittura lo stesso hardware dedicato in sala giochi (il dial stick, un joystick con pomello rotante per puntare la direzione di fuco, in seguito utilizzato per altri titoli come Victory Road o Fighting Soccer) è un’altra storia, ma allora il Caporedattore mascherato aveva cominciato a perdere il suo smalto…
Due mesi senza del sano retrogame erano già troppi. Meno male che potremo continuare a leggerti qui.
Non commento l’articolo perché l’unica cosa che ricordo di quanto hai scritto è la rivista unica nei mesi estivi. 😀
Grande Dan, sempre un piacere leggerti 😀
cmq geminix dice che ad avercelo piccolo sei tu :coffy:
i tuoi articoli son sempre uno spettacolo
Articolo stupendo!
Carina la storia di Obliterator non la sapevo, le altre erano abbastanza note, visto che le polemiche furono (quasi) globali e forse anche un pelino tendenti al reale plagio (ma in fondo si tratta dell’estremo tentativo di recuperare promesse di licenze non concesse).
Secondo me è tutto frutto dell’ingenuità di fondo che contraddistingueva l’epoca. I recensori erano poco più che fanboy, il videogioco sembrava chissà quale opera d’arte ed ecco questi disinformati (disinformati perché all’epoca erano pochissimi quelli che sapevano realmente qualcosa di sviluppo e game design) paladini della giustizia schierarsi a favore del loro titolo preferito.
Che poi in fondo era simile ad una surreale guerra di architetti che si accusano di plagio perché tutte le villette hanno le finestre.
Ne ricordo altre di uscite simili anche in era Amiga, su K.
Pensa se il Redattore Mascherato recensiva i dischi di Zucchero…
Analisi perfetta: in molti videogiochi la trama è un pretesto, dire che uno è il clone dell’altro in base a questa similitudine… manco fossero adventure testuali. Dire che lo schema di gioco di Hawkeye è stupido, quindi il gioco fa schifo, equivale a buttare nel cesso carrettate di arcade presenti, passati e futuri. Sono cose che si capivano già all’epoca, e la tenera età per me significa poco (la professionalità e la lucidità di Rignall, Penn e soci era su altri livelli). In generale, il secondo periodo di Zzap! lo presi abbastanza male, con le menate moraliste e fuori fuoco del Caporedattore mascherato, la continua esaltazione sbroccotronica (“boozah!1”, “ultraviolenza!2”, “c’è il personaggio dei fumetti figo quindi vai con le fette di salame, il gioco diventa automaticamente figo, a meno che non faccia proprio vomitare cani e porci”) e robe tipo le medaglie d’oro alla conversione di R-Type. Dopo aver vissuto la fase conclusiva, in cui ho sperato che la mia rivista preferita di tutti i tempi venisse fatta dolcemente morire, per non vederla in quello stato eluanoso (e non certo solo per colpa del minor quantitativo di giochi in uscita), ho rivalutato il periodo Bidibì/Fabio Rossi/MBF/Carlo Santagostino (dalla copertina oscena con Pac-Land all’avvento dei bambini dell’asilo, diciamo) 🙂 .
La scuderia di AL si sta arricchendo di altri scrittori interessanti 🙂
Ottimo lavoro, Dan 😛
(si tratta comunque di cose che non ho vissuto in prima persona – non sapevo neanche leggere all’epoca – ma un po’ di sana retrospettiva fa bene :D)
medaglia d’oro a R-Type…l’avrei assegnata senza problemi alla versione spectrum…Ma quel numero (Gennaio 1989) era un po’ una corsa alla medaglia d’oro, Robocop l’ho sempre visto come un’altra forzatura tanto per dire, mentre altre come Neuromancer o Thunderblade erano meritate, anche solo per gli sforzi di Chris Butler nel secondo caso. Ma la presenza di R-Type aveva comunque acceso fiaccole e affilato i forconi dei paladini del copiright fai da te di quegli anni; IO, Salamander e Netherworld (ma lo avete VERAMENTE giocato Netherworld?) erano tra gli incriminati, bollati come cloni del coin op irem con cui condividevano -non sempre tra l’altro, vedi appunto Netherworld e Salamander- il solo scorrimento orizzontale. Oh, comunque sono felice che vi sia piaciuto l’articolo, speriamo di migliorare continuamente.
ma netherworld clone di r-type? ma quello di jukka tapanimaki? a me non pareva…
ah lol ti riferivi al commento originale. no, mi sa che non lo aveva giocato.
Tra i cloni di R-Type dimentichi Katakis… secondo me fu quello il caso che stizzi maggiormente i puristi del copyright (anche perchè il gioco era migliore della conversione originale).
Keep up the good work, sempre grandi articoli.
naaa, il buon katakis è citato nell’articolo e come dici tu ha ragione di essere preso in considerazione per qualità e giustificatissimo fattore imitazione (il force pod, gli alieni oculari che rilasciavano power ups…); era infatti un signor gioco, tralasciando la sua reincarnazione in Denaris, Trenz ne tramanda un ricordo nel successivo turrican 2 dove, ucciso un particolare nemico, appare uno striscione con la scritta “remember katakis”. Grazie per il complimento 😉
Graaaan bel pezzone. Adoro queste retrospettive, anche laddove (come in questo caso) non me ne sento coinvolto per ragioni di storia personale.
Attendo con ansia la prossima.
Wow! Alcuni retroscena non me li ricordavo, devo andare a recuperare gli ZZap! Grande Dan!