Sviluppato da Techland | Distribuito da Ubisoft | Piattaforme: PC, PS3, Xbox 360 | Versione testata: PC | Pubblicato 2009| Sito ufficiale
Il seguito/prequel della rubrica telefonica di Juarez ha solo una carta che lo solleva sopra la media del genere e che lo rende interessante, bellezza grafica a parte; ovvero la trama. Riassumendo, è uno sparatutto con due protagonisti, Ray e Thomas McCall, e alcuni interessanti coprotagonisti a fargli da contorno. Disertori della guerra di secessione, combattuta dalla parte dei sudisti, i McCall sono degli spietati criminali che fuggono dalle autorità e dalla morte. Il loro sogno è quello di ricostruire la fattoria di famiglia insieme al fratello William, uomo di fede che tenta di portarli verso il cammino di Dio per tutto il gioco, sogno velato dall’apparizione di una donna che fa girare la testa a entrambi e di un tesoro che li rende più avidi di quanto non siano già. A tallonarli c’è il loro ossessionato ex-comandante, un Bossi ante litteram che ha giurato di renderli cibo per vermi per punirli della loro diserzione e che vuole ricostituire l’esercito del Sud per poter liberare le sue amate terre dal controllo di Washington DC; e Mendoza Juarez, criminale messicano avido e deciso a tutto pur di mettere le mani sull’oro. Non mancano indiani, cavalli, parolacce e un senso della narrazione raro nel mondo dei videogiochi.
Techland aveva già dimostrato una certa sapienza narrativa con il primo Call of Juarez, in cui venivano mescolati temi religiosi e problematiche direttamente collegate alla natura umana. Qui fa il bis riuscendo, pur in una struttura di gioco più semplice rispetto a quella del primo episodio, a inserire una tragicità di fondo, inquadrata in un contesto storico preciso, che si matura per tutta l’avventura fino al finale, rovinato da una sparatoria di troppo che incrina l’atmosfera ma che non elimina gli indubbi meriti di un titolo che non usa la trama solo come cavalletto per reggere l’esibizione di fucili sempre più grossi, lunghi e duri.
A parte alcuni capitoli (quindici in totale), il giocatore potrà sempre scegliere se usare Ray o Thomas. I due hanno a disposizione armi e abilità differenti che rendono diverso l’approccio ai livelli, ma per quasi tutto il gioco sono chiamati a collaborare e a coprirsi a vicenda. Ray è il più brutale, ama l’approccio diretto, può impugnare due pistole contemporaneamente e sa usare la dinamite. Thomas è più sottile, ha delle capacità furtive (sottoutilizzate per tutta l’avventura, in verità), sa maneggiare i coltelli, è un abile arciere e può usare un lazo per arrampicarsi su sporgenze altrimenti irraggiungibili.
A personaggio differente spesso corrispondono compiti e biforcazioni differenti, fattore che invita a ripetere i livelli usando entrambi. In verità le differenze non sono sempre marcatissime, ma lo sforzo è apprezzabile. L’ambientazione è quella del vecchio West, uno dei West migliori mai visti nei videogiochi, con città polverose piene di banditi sputazzanti e cittadini impauriti che si alternano a montagne rigogliose dove vivono tribù indiane sospettose nei confronti dell’uomo bianco, ma realisticamente anche in guerra tra loro. Le scene d’azione sono piuttosto tipiche, con sparatorie continue, inseguimenti, carri da scortare e così via. Interessante la presenza di due livelli free roaming in cui si possono prendere delle missioni extra-narrative per ottenere un po’ di soldi e comprare delle armi migliori.
Per allungare la longevità del gioco, che non dura moltissimo, gli sviluppatori hanno disseminato le mappe di segreti da trovare che sbloccano contenuti extra accessibili dal menu principale. Si tratta di ricerche supplementari non necessarie per finire il gioco, ma suppongo che a qualcuno interessino e che, soprattutto, su Xbox 360 e PS3 siano legate agli Obiettivi e ai Trofei (se sbaglio offendetemi pure).
Commento: Dopo aver letto numerose opinioni discordanti su Call of Juarez: Bound in Blood, ero molto dubbioso sul gioco. Invece ho finito per apprezzarlo. Sarà il senso del tragico che lo pervade dall’inizio alla fine, sarà che si parla tanto di narrazione nei videogiochi e quando ne escono con trame decenti vengono ignorati, sarà che ho trovato le ambientazioni ben fatte e affascinanti, per quanto stereotipate (va anche detto che il western videoludico non ha molto da dire più di quello che ha già detto al cinema… vedremo come se la caverà Red Dead Redemption da questo punto di vista), sarà anche, perché no, la curiosità di vedere la genesi di uno dei personaggi migliori del primo videogioco… insomma, l’ho trovato interessante e appassionante. E pensare che stavo per perderlo, retrocedendolo a seconda scelta. Una sorpresa.