Videogiochi: una nuova industria dei fumetti?

A rileggere i post sui fumetti anni ’90 di Alessandro Apreda succedono due cose: ti senti incredibilmente vecchio e non puoi fare a meno di notare come avessi ragione quando sostenevi che l’industria dei videogiochi è dieci anni indietro rispetto al resto dell’intrattenimento.

L'inizio della fine per i comics

Gli anni Novanta sono stati galvanizzanti e lucrativi per tutto il mondo dell’intrattenimento: c’è stato il boom del cinema d’azione, quello delle Pay TV, la consacrazione dell’industria del fumetto come fenomeno mainstream. Tutti modelli che, come la metti la metti, oggi sono in profonda crisi. Spodestati sì dalla tecnologia, ma anche dalle proprie autoreferenzialità e incapacità di adattarsi.

L’industria dei fumetti è quella che ha avuto un’evoluzione più simile a quella dei videogiochi: entrambi sono mercati che, per ragioni speculative, sono passati in pochi anni da un fenomeno di nicchia quasi artigianale ad uno di massa. Onesti artigiani si sono improvvisati grandi industriali con esiti spesso controproducenti: dopo un tripudio di limited edition, reboot e crossover pacchiani, il sistema è collassato e si è trovato al punto di partenza. Quel nuovo ed esclusivo stile di vita per i giovani americani è passato di moda, così come passeranno di moda le immancabili comparse delle console più popolari nel soggiorno di un rapper di MTV.

L’industria dei fumetti è rimasta vecchia dentro, e alle soglie del 2000 si è trovata con lo stesso patrimonio artistico e professionale che aveva nel 1990, sempre senza idee ma coi magazzini pieni di cover metallizzate che non voleva più nessuno e i costi gonfiati dalla speculazione. Oggi l’industria dei fumetti è tornata una voce marginale nell’universo dell’intrattenimento e sopravvive quasi esclusivamente con gli introiti cinematografici e compartecipazioni in produzioni di altro genere. Ogni volta che provano a rilanciare una proprietà intellettuale il risultato è come rivoltare un secchio pieno di sterco. Esce solo puzza.

Uno dei più grandi problemi è stato che quel repentino boom ha solamente cementato i pionieri del settore nel loro ruolo, creando potentati economici con cui un emergente poteva solo collaborare ma non competere, tagliando fuori qualsiasi possibilità di evoluzione o rivoluzione. È mancato il tempo.

I fumetti oggi li fanno quelli che li hanno sempre fatti, i videogiochi idem. È difficile stabilire se un Garriot, un Perry, uno Spector valgano più di quanto costino oggi: di certo il loro rendimento ormai è scarso, nonostante abbiano più vite di un gatto. Allo stesso modo, è difficile dire quanto un Lee o un Liefeld oggi siano realmente determinanti per il successo di un fumetto rispetto ad un illustre sconosciuto. È un effetto collaterale dell’industria padronale: il padrone non vuole oppositori e, col tempo, rimane solo con un’azienda plasmata a sua immagine. Di trenta anni prima.

Spector si ritiene un incompreso. Poco importa se nel 2011 il meglio che ha saputo fare è stato Super Mario 64 Disney.

Veniamo al movimento indipendente: nato dal basso, senza controllo, qualità o costi, visto che i banchieri lo hanno drogato per anni, salvo poi abbandonarlo per i videogiochi (indizio!). L’idea era quella di opporsi ai grandi vecchi, poco importa se poi chi lo ha fondato era in larga parte già un professionista affermato. Ha praticamente disintegrato le industrie mainstream dei fumetti, salvo poi essere incapace di raccoglierne il testimone una volta che l’alone di novità (leggi: colori decenti e stili grafici meno tradizionali) era passato in secondo piano. Qualcuno ha detto che ai videogiochi indie spesso manca quella maturità, quell’esperienza che gli sappia dare un tocco autoriale, qualcosa che resti nel tempo. Ecco, nemmeno i fumetti Image o Valiant ce l’avevano.

Come l’industria dei videogiochi attuale, in un mercato così inflazionato non sempre essere innovativi, diversificare o puntare sulla qualità premiava. A volte bastava arrivare per primo al nuovo gimmick e tiravi diritto e senza idee per anni con milioni di copie vendute a numero. Qui mi viene in mente il triste parallelo di una Firemint che oggi, con un solo gioco decente in oltre due anni (si potrebbe discutere anche su dove comincino i meriti oggettivi), non riuscendo a compensare internamente le inesperienze creative, compra una più prolifica, matura e competente Infinite Interactive.

Nei fumetti è successo lo stesso. Persone che avevano capitalizzato un colpo di fortuna, facevano il bello e il cattivo tempo a spese di realtà più continue e concrete, imponendo spesso visioni non basate sull’esperienza ma sulla semplice arroganza e ricchezza improvvisa. L’esperienza passò in secondo piano, facendo pagare prezzi molto alti. Basta vedere quante buone idee ha annegato la sola MacFarlane Productions, grazie alla sua mancanza assoluta di visione del mercato (sono riusciti a sbagliare persino il passaggio al cinema in un momento di monopolio assoluto!).

Ve lo ricordate? No? Nemmeno il mondo.

Forse molti di voi nemmeno ricordano quello di cui parlo, ché per voi Spider-man è quello del cinema che ha gli sfinteri sulle mani, non il ragazzino disegnato da Steve Ditko che si costruiva i lanciaragnatele in cameretta. Però un professionista medio dei videogiochi queste cose le ha vissute, tra un crunch e l’altro.

Chi fattivamente produce i videogiochi può continuare a darsi pacche sulle spalle a tutte le GDC autoreferenziali che vuole. Resta il fatto che titoli o aziende che l’anno scorso erano punti di riferimento alla conferenza oggi non esistono più, fatti a pezzi dall’ennesimo venditore di scarpe. Non si potrà ignorarlo per sempre, dando sempre fiducia al Kotick di turno. Almeno non quando Ubisoft ed EA annunciano investimenti strategici nelle produzioni cinematografiche o quando molti fenomeni indie già si spostano verso gadget, pupazzi e qualche cartone animato.

È proprio lì che sono finiti i soldi guadagnati dall’effimero boom dell’industria dei comics: in mercati che hanno avuto tutto il tempo di crescere e maturare in duraturi ecosistemi industriali. Non facciamoci finire anche quelli dei videogiochi!

23 commenti su “Videogiochi: una nuova industria dei fumetti?

  1. segnalo quest’altro articolo che parla delle affinità videogiochi-fumetti

    http://www.gamecrashers.net/2010/08/23/games-will-never-be-mainstream/

    anche se si concentra più sulla fruizione e sul ruolo del videogiocatore/lettore, parlando solo marginalmente dell’industria.

    Al che ti pongo una domanda: il ruolo del fruitore è rimasto lo stesso o è cambiato ? Voglio dire, c’è qualcosa di diverso tra il ludowanker di oggi (giusto per restare a tema con il Doc) e il personaggio medio di un film di Kevin Smith, oppure il pubblico è rimasto tale e quale e starà ad osservare inerme al declino ?

  2. Fermo restando che hai una visione sbagliata del fumetto autoriale (fino a prova contraria i nomi che contavano come Moore, Miller o Gaiman oggi valgono meno di zero, e rispetto al quel periodo d’oro oggi si contano molti più autori e molto più bravi, Ellis, Morrison, Bendis, Vaughan, Millar per dirne alcuni) il paragone può anche funzionare nella ricerca di un identità e di una dignità intellettuale, ma ci sono veramente troppe troppe differenze di approccio e produzione per poterne tirare fuori qualcosa se non lievi e flebili collegamenti.

  3. Nevade, stai parlando per lo più di autori che sono sul mercato da vent’anni. Ti salvo giusto Vaughan.

    Prendi un Warren Ellis: da mestierante da catena di montaggio ha saputo solo fare catastrofi in Wildstorm per poi tornare a fare il mestierante nelle catene di montaggio Marvel & DC. Il fatto che poi qualcosa di buono l’abbia fatto è anche frutto della statistica.

    A me il suo ultimo Iron Man non è piaciuto affatto.

    Che poi ci siano altri autori che in qualche modo riescono ad emergere ok, ma un comic indipendente da 10.000 copie non basta nemmeno a pagarti l’affitto di questi tempi. E una casa mainstream oggi se vende 100.000 copie accende l’insegna al neon sul palazzo 🙂

  4. Aspè, un conto se parliamo delle tirature di vendite (che esulano dalla qualità) un conto è se parliamo della qualità intrinseca.
    Poi degli alti e bassi si può parlare, però roba come Planetary non la chiamerei “roba da catena di montaggio” su.
    Per il panorama “indie” siamo d’accordo, sono altri cazzi 😛

  5. Rudi “Mr Rud” Oxa wrote:

    Al che ti pongo una domanda: il ruolo del fruitore è rimasto lo stesso o è cambiato ? Voglio dire, c’è qualcosa di diverso tra il ludowanker di oggi (giusto per restare a tema con il Doc) e il personaggio medio di un film di Kevin Smith, oppure il pubblico è rimasto tale e quale e starà ad osservare inerme al declino ?

    Il problema è che in larga parte il pubblico è scomparso, perché è invecchiato, ha cambiato preferenze o altro. Il problema è che ad uno Stan Lee ci sono voluti decenni per convincersi delle potenzialità del cinema, figurarsi tra quanto capirà che il fumetto del futuro non può essere una semplice scansione interattiva di quello cartaceo ma qualcosa di molto diverso. In DC stanno messi peggio. Anche i VG ancora riescono a rincorrere la vecchia guardia ma francamente non so per quanto riusciranno a tenersela. Credo che si possa semplificare o banalizzare ancora molto poco per tenersi gli over-30. E come per i fumetti, i giovani in tutto questo sono stati trascurati o educati ad apprezzare le incarnazioni più deboli e potenzialmente più sterili per il futuro dei videogiochi.

    Gli stessi iCosi sono un fenomento dedicato agli adulti, sia per il tipo di gioco che per una questione di costi.

  6. Nevade wrote:

    Aspè, un conto se parliamo delle tirature di vendite (che esulano dalla qualità) un conto è se parliamo della qualità intrinseca.
    Poi degli alti e bassi si può parlare, però roba come Planetary non la chiamerei “roba da catena di montaggio” su.
    Per il panorama “indie” siamo d’accordo, sono altri cazzi

    Boh non so. Planetary non sopravvisse ad un periodo di malattia di Ellis. Per un fumetto americano che vive di cambi artistici continui, credo sia comunque un segnale della mancanza di qualcosa…

  7. Non ho capito bene a cosa ti riferisci con “non sopravvisse ad un periodo di malattia di Ellis” ?

  8. Giusto per puntualizzare, anche nei fumetti dell’Uomo Ragno in seguito all’era Ditko verrà operato un ret-con (retro continuity) riguardo ai “lanciaragnatele”. Non ci saranno gli «sfinteri sulle mani» come nei filmacci di Sam Raimi, ma le cartucce di fluido viscoso verranno comunque realizzate a partire dal sangue di Peter Parker.

  9. Il videogioco sembra vivere il modello popolare delle strisce fumettistiche domenicali anni 50/60, con esponenti di alto rilievo che – all’esterno del loro ambito di appartenenza e sulla data di uscita  – saranno forse scoperti e valorizzati fra venti o trent’anni. Come il fumetto probabilmente troverà nell’importanza del linguaggio e nel significato insito tutto ciò che può essere ricondotto alla diversificazione di fruizione. Dal divertente scacciapensieri e più o meno riuscito passatempo estemporaneo all’opera di importanza seminale e storica. Il videogioco è gggiovane anche se invecchiato molto male, ad oggi un orrendo quarantenne che dimostra almeno 50/60 anni. Però la preoccupazione non è sulla memoria a breve termine dell’incultura che ha causato il blackout del fumetto statunitense fra i ’50/60.. E non basta neppure il ricambio generazionale, tale solo nell’anagrafica ma all’atto pratico inesistente fatta salva certa santa nicchia. Il tema è ampio e merita di essere approfondito.

  10. In tutta sincerità…potrà anche darsi che il mondo dei fumetti sia in crisi, ma la conoscenza del suddetto che traspare da questo articolo è davvero parziale.

    …tanto per dirne una, non è che solo il videogioco può essere americano, giapponese, russo, italiano, tedesco…o indie, o autoriale, o mainstream o artigianale o altro…mentre magari il fumetto è solo quello supereroistico che compravano a tonnellate i 30enne attuali e per i quali, puntualmente, oggi è sempre meglio quello che c’era prima.
    Mi sembra strano che lo si debba fa notare proprio a voi, che nel campo dei videogiochi sottolineate spesso, e giustamente, questa e altre importante distinzioni.

  11. Un articolo dalla puzza molto “superficiale”.
    Parlare del fumetto come se esistesse solo la Marvel e anche un po’, ma solo poco poco, la DC è molto semplicemente stupido.

  12. Si parla di un genere ben preciso di *industria* del fumetto. Quella americana.
    Il perché mi sembra ovvio.

    le_mirage: il videogioco mainstream che è in crisi creativa (quello occidentale) è di stampo esclusivamente americanoide. Almeno i titoli che arrivano a tutti, che di quello si parla. Sul resto, che ti devo dire? Torna a leggere i Fantastici Quattro bianchi o l’umo ragno fluo con n-mila costumi. No aspetta, ora i FQ sono tre. Dopo venti anni il massimo dell’innovazione è ancora il lutto ed il cambio del costume. Insieme. Sono proprio l’acme di quarant’anni di produzione artistica!

    Se ti posso consigliare, trova Operazione Tempesta nella Galassia o qualsiasi Avengers di Bob Harras (che è riuscito a valorizzare personaggi secondari come nessun altro), poi ne riparliamo. Scoprirai che anche l’universo Ultimate non è così originale come sembra. Anche le continuity di oggi sono peggiori (i personaggi che tirano in 80 supergruppi e così via).

    Malus: che ti aspettavi, l’enciclopedia del fumetto? E’ difficile collocarci la DC perché ha un andamento molto più stabile. Nonostante sono stati loro a lanciare grandi tendenze (come i crossoveroni o le morti/cambi di costume per vendere 4 copie in più), sono anche quelli che le hanno usate con maggior discrezione nel corso degli anni. Secondo me tengono anche molto di più ai loro personaggi, anche se devo dire che, personalmente, li apprezzo molto meno di quelli Marvel. 😉

  13. No, non mi aspettavo una enciclopedia del fumetto, non avrebbe avuto nessun senso.
    È anche vero che se si vuole fare un discorso in cui si affianca il mondo del fumetto a quello videoludico e viceversa (quindi un discorso complesso, che ricopre decenni di storia dell’intrattenimento e dell’arte, talmente ampio che forse servirebbe la mole di un bel libro per parlarne bene), stai pur sicuro che parlare solo di spiderman e dei fantastici4 risulta sin troppo limitativo, mandando in vacca l’intero discorso.

    Volevi concentrarti solo sull’ “industria” del fumetto? Purtroppo hai fatto la pecca di non citare quella giapponese (che sotto diversi aspetti e ben più “industria” di quella americana) e volendo anche quella coreana.

  14. Malus wrote:

    Volevi concentrarti solo sull’ “industria” del fumetto? Purtroppo hai fatto la pecca di non citare quella giapponese (che sotto diversi aspetti e ben più “industria” di quella americana) e volendo anche quella coreana.

    Che non c’entrano una fava, visto che il discorso è focalizzato sul contesto culturale ed economico del mercato occidentale, come da premessa. 😉

  15. Mh, quindi cosa hai fatto? Hai parlato di una piccolissima parte di un modo che tu stesso affermi essere decisamente più grande per poterlo paragonare ad un altro mondo ugualmente complesso, intendi questo? In questo caso, tutto il discorso continua ad avere poco senso.
    Vuoi parlare sul “contesto culturale ed economico del mercato occidentale” (immagino che “industria del fumetto” sia sempre sottointeso) e te ne sbatti le palle della controparte orientale? Specie se vuoi concentrarti su questi ultimi 10 anni, quando pure la stessa Marvel al centro del tuo discorso spesso e volentieri si è “inchinata” al successo dei manga&co.?

  16. Vero, infatti oggi tutti, invece di comperare le graphic novel nelle librerie comprano l’ultimo manga zeppo di fanservice, no? Occhio che molta di quella “qualità a cui si è inchinato l’occidente” alla fine degli anni ’90 era già vecchia di decenni e si esaurì in fretta, lasciando spazio alle produzioni contemporanee di massa che non hanno mai avuto lo spessore delle pochissime produzioni autorali giapponesi che introdussero il medium alle masse (anche quelle adulte).

    Detto questo non ho nulla contro i manga. Ne leggo e ne ho letti molti, in particolare i robotici ed i fantascientifici e quelli che semplicemente raccontano storie (tipo Urasawa). Sto ancora aspettando che Takaya finisca Guyver dai tempi dell’Università e sono anche un grande consumatore di Anime (sullo stesso genere). E’ solo che, fanboysmo rabbioso a parte, in questo pezzo non c’entravano assolutamente una mazza, purtroppo. 

    Sui fumetti Coreani mi cogli impreparato, anzi se avessi qualcosa da consigliarmi te ne sarei grato. Nelle fumetterie ho sempre trovato qualcosa, ma erano tutti fumetti di arti marziali e ormai sono troppo vecchio per esaltarmi su personaggi che ogni tre numeri scoprono un nuovo potenziale energetico.

  17. Non per fare il perfettino o pretendere che lo siate voi, ma i vostri articoli li prendo sempre abbastanza sul serio, specie quando cercare sfatare tutti i luoghi comuni che vorrebbero il videogioco un prodotto commerciale in mano a pochi, e dedicato solo a ragazzini come svago infantile o peggio ad asociali o decerebrati. Per cui, se leggo riguardo al fumetto, senza una precisa distinzione, che “Ogni volta che provano a rilanciare una proprietà intellettuale il risultato è come rivoltare un secchio pieno di sterco. Esce solo puzza.”…NON DO per scontato che si sta parlando SOLO del fumetto americano e magari SOLO di un fumetto americano di un certo tipo.
    …non è morto nessuno; però, come anche qualcun’altro ha fatto notare nei commenti, la realtà del mondo dei fumetti è molto più variegata di così.

  18. I paralleli non mancano, ma per quanto mi sforzi non riesco a trovare caratteristiche che non siano caratteristiche di ogni industria… la creatività che non premia, lo sfruttare trovate o trend momentanei, le speculazioni seguite da contrazioni… quale sarebbe la specificità dell’industria dei comics e di quella dei videogiochi?

  19. Ad esempio il fatto che sono entrambe nate come realtà artigianali, non hanno mai avuto processi industriali codificati e maturi, sono ancora influenzate da poche, anacronistiche figure e i professionisti del settore hanno troppa fiducia a mettere la parte di sfruttamento economico nelle mani di terzi. Poi la cosa più minacciosa: anche per i VG inizia ad aleggiare lo spettro che i soldi sicuri si fanno meglio altrove, in industrie “stabili” come i giocattoli o i tie-in cinematografici.

    Infine c’è il punto più interessante del parallelo: nei comics è già tutto avvenuto dieci anni fa ma nessuno sembra aver imparato o ricordare nulla.

  20. Uhm, e non potrebbero essere caratteristiche comuni a tutte le industrie giovani? Forse è proprio un percorso naturale, che nei vg è iniziato dopo…?

  21. Il problema di fondo è che hai voluto parlare di qualcosa ignorando i mille aspetti che girano intorno, più o meno collegati. Come se ti mettessi a guardare un albero e decidessi di parlarne ignorandone completamente (con consapevolezza più o meno voluta) i mille rami.
    Purtroppo non funziona così, specie se si hanno dietro certi ideali -chiamiamoli così- come quelli di ArsLudica.

    E comunque, Spawn con il cavolo che se lo sono dimenticati tutti, purtroppo.

  22. “Occhio che molta di quella “qualità a cui si è inchinato l’occidente” alla fine degli anni ’90 era già vecchia di decenni e si esaurì in fretta, lasciando spazio alle produzioni contemporanee di massa che non hanno mai avuto lo spessore delle pochissime produzioni autorali giapponesi che introdussero il medium alle masse (anche quelle adulte).”

    Questo a mio parere non è vero, ma vabbè, è anche e sopratutto una questione di gusti.

    Io, da ignorante di questioni prettamente commerciali ed economiche, posso pensare che l’appiattimento del mondo dei videogiochi, sopratutto da un punto di vista creativo, sia dovuto al fatto che negli ultimi anni il mercato si è allargato a dismisura e questo ha accellerato i tempi i produzione. l risultati sono quelli che conosciamo: videogioco ritornato per una certa parte al suo ruolo di intrattenimento spicciolo, scarso interesse a introdurre innovazioni tecniche (stupide console), scarso interesse a dare più di tanto, a livello di gameplay, visto che i numeri hanno evidentemente dimostrato che basta poco, oggi, per farsi piacere un videogioco…probabilmente anche l’allargamento alle console del gioco in rete potrebbe aver avuto un ruolo. Single playing, e relativi contenuti, potrebbero essere essere stati messi un pò più in secondo piano.

  23. Un parallelo ci può anche stare tra l’industria videoludica e l’Image di fine anni ’90 se si guarda come Activsion ha bruciato il brand Guitar Hero e sta spremendo CoD.

    Quegli anni me li ricordo: sono riuscito a vendere lo Spawn della Star Comics prima che diventasse una cagata senza capo ne coda.

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