In questi giorni, complice una settimana di torcicollo che mi ha costretto a casa [leggasi: davanti al monitor con mouse e/o joypad in mano], riflettevo sul rapporto che intercorre tra la pratica del videogiocare e lo status di lavoratore sposato con donna non giocante. Voglio fare una piccola premessa: sono sicuro che le rappresentanti del gentil sesso, qualora dovessero leggere queste righe, non si offenderanno per essere state considerate come oggetto del discorso. Converranno infatti con me che, nonostante il numero di casual gamer femminili stia rapidamente crescendo, il loro peso sulla scena videoludica sia ancora statisticamente insignificante e, pertanto, passibile di essere arrogantemente ignorato.
Ma torniamo al titolo del post: Dove sto andando?. Mia moglie ormai me lo chiede spesso. Sono riuscito nel difficile compito di farle credere che ogni gioco abbia una storia da raccontare e che, in ogni momento, io stia compiendo delle azioni finalizzate al raggiungimento di un obbiettivo decisivo per l’evolversi della trama. La mia dolce metà, tuttavia, non è così ingenua da non capire che il raggiungimento di quella sporgenza non ha altro scopo se non quello di accaparrarmi un oggetto utile esclusivamente all’acquisizione di un altrettanto inutile achievement (ed il gioco di parole sono sicuro che verrà perdonato). Ma facciamo ancora un passo indietro e torniamo a quando lei, appena sposata, valutava il mio videogiocare come un’inspiegabile perdita di tempo. I momenti per stare insieme erano pochi, visti il lavoro e la frenesia tipica della nostra città e per me era difficile obbiettare ai suoi giustificabili rimproveri: “Se proprio dobbiamo stare davanti alla televisione, allora è meglio guardarsi un film! Almeno ci capisco qualcosa anche io!“. Come darle torto? Il mio videogiocare la escludeva, mettendola nella condizione di scegliere tra lo stare con me o lo spostarsi in un’altra stanza, perché tutto quel rumore la distraeva dalla lettura e/o dalla possibilità di ascoltare della musica. A lei non interessava muovere l’omino sullo schermo e io non ero intenzionato ad attendere che tra lei ed il mondo dell’intrattenimento videoludico strictu sensu, scoccasse il colpo di fulmine. I primi mesi di convivenza non sono stati facili per la mia affermata identità da addicted. Poi arrivò Mass Effect e la storia d’amore tra Shepard e Liara cambiò tutto.
. Dove stai andando?
. Ad uccidere la Matriarca Benezia
. Ma non è la madre di Liara?
. Sì, amore… ma se tu avessi seguito la storia, sapresti che…
In quell’occasione capii che la pratica del videogiocare poteva essere condivisa anche con un non giocatore, senza per questo inficiarne la natura single player. Mi spiego meglio. Compiere o meno un’azione capace di modificare la componente narrativa di un’opera, così come decidere l’allineamento che caratterizzerà il protagonista della stessa, sono scelte che possono essere facilmente prese di concerto, rendendo partecipe lo spettatore che in una qualche misura si sentirà parte attiva di quanto vedrà accadere su schermo. Ben più difficile risulterebbe ottenere lo stesso risultato in giochi più ignoranti come Gears of War o Wet, se solo si sottovalutasse il potere che qualunque forma di intrattenimento dotato di trama riesce a suscitare nelle persone curiose. Al pari di un film visto distrattamente o di un libro letto per passare il tempo in attesa della metropolitana, mia moglie ha imparato ad usufruire del mio videogiocare tanto quanto una normale casalinga utilizza Maria De Filippi come sottofondo alle sue faccende domestiche. Senza entrare nel merito della qualità offerta dai programmi della showgirl milanese, quello che mi preme sottolineare è che esperienze sviluppate appositamente per il singolo [non sto parlando infatti di party game], siano godibili anche se viste in una prospettiva come quella che vi ho appena descritto. A Mass Effect seguirono Fallout 3 e Bioshock, titoli anch’essi capaci di essere raccontati e non solamente giocati. Oggi, ad un anno dalla domanda fatta da mia moglie, le risposte sono state molte: dalla Gerusalemme di Altair alla Stalingrado di Vassili, passando per la Londra di Sherlock Holmes e la Manhattan di Peter, Ray ed Egon. Non sempre il risultato ottenuto è stato soddisfacente. Alcune volte queste storie erano interessanti, altre volte ci annoiavano… ma quella che non è mai andata perdendosi è stata la volontà di divertirci insieme, anche se il gameplay presupponeva la partecipazione di una sola persona. Il dibattito che gravita sulla possibilità di considerare i videogame come una forma d’arte interattiva è ampio, annoso e impossibile da trattare senza citarne le autorevoli fonti. Personalmente, però, ritengo necessario che l’opinione pubblica attribuisca alla pratica del videogiocare la stessa legittimità che solitamente riserva ad attività passive come quelle legate a pellicole e romanzi.
Forse, in quest’ottica, servirebbe un titolo che riesca a replicare, nel mondo dei videogiochi, quello che per il fumetto ha fatto il Maus di Art Spiegelman, “un patrimonio della narrativa novecentesca che ha ridato centralità al dibattito attorno a questo particolarissimo tipo di linguaggio fatto di parole e immagini: il fumetto” (la Repubblica). Penso quindi all’Heavy Rain di David Cage o all’Alice di American McGee, quest’ultimo paragonato addirittura al regista visionario Tim Burton. I loro titoli saranno capaci di cambiare la percezione che le grandi masse hanno del videogiocare? Forse no, ma mia moglie è curiosa e non vede l’ora che io li giochi per lei.
Io dico solo che la mia ragazza mi ha visto giocare ad Uncharted 2 ed è rimasta a guardare mezz’ora buona senza annoiarsi, anzi, mi aiutava a cercare appigli o a capire cosa fare.
Probabilmente i vg sono appena entrati in una fase che li rende più intrattenimento a tutto tondo piuttosto che di intrattenimento “solo” videoludico. Oggettivamente Uncharted 2 ha ritmo e grafica per essere apprezzato anche da chi guarda.
bell’articolo..bello bello
Finché l’appassionato di videogiochi continuerà a pensare che sia tutta colpa degli altri se è visto come un povero sfigato emarginato, e non farà autocritica (per esempio premiando e richiedendo di più i prodotti che provano, impresa titanica, ad avvicinarsi a opere come Maus e di meno quelli ignoranti e stereotipati) le cose non cambieranno.
per me tutto ciò più che alla narratività del vg, che comunque conta, dipende dall’amore che prova tua moglie nei tuoi confronti…tienila stretta 😉
Be io parto avvantaggiato perchè la mi ragazza attuale era una fan di super mario da piccola, quindi stare con me le ha risvegliato una vecchia passione. La mia ex invece era completamente estranea al mondo ma ha scoperto Silent Hill 2 e da li è entrata in piena armonia con esso. ^^
Secondo me questo articolo apre l’annosa questione: se vogliamo considerare il videogioco un medium (cio è qualcosa di più di un gioco puro e semplice) dobbiamo attribuire questo status a tutti i videogame o solo a quelli dalla trama solida e dai forti riferimenti (sul piano linguistico) a media più tradizionali come Cinema e silimi?
In altre parole: dobbiamo impegnarci a trovare un nuovo linguaggio di questo medium o dobbiamo rassegnarci al fatto che questo linguaggio dovrà per forza assomigliare a quelli gia esistenti?
La cosa si fa complicata proprio perchè il videogame è composto da una serie lunghissima di generi diversi ognuno con caratteristiche “linguistiche” e canoni comunicativi propri!
Bellissimo pezzo comunque!
Io sono fortunato: la mia quasi moglie apprezza i videogiochi. Ha sul curriculum i 3 DMC finiti (io sul 2 ho gettato la spugna) oltre a cose che trovo aberranti come i vari Dinner Dash o gli mmorpg. Adesso punta su God of War per finirlo.
Non credo che ci sia bisogno di ripetere le mie idee sulla presunta necessità di “raccontare una storia” per fare del videoludo un arte.
Soprattutto considerato che le “trame” dei giochi in questione sono la banalità assoluta…
@ABS: ma poi quei videogiocatori che premiano titoli che si avvicinano ad opere come Maus non sono tacciati poi di snobismo dal grande pubblico? 😛
Dipende da come si pongono quegli illuminati acquirenti quando parlano in pubblico del gioco “alla Maus”. Magari è più facile convincere tua moglie della bontà di quel titolo dandole in pasto il joypad o illustrandole sapientemente determinate scene che parlandole per ore di “metafisica dell’eroe videoludico impersonato dal conscious gamer, ontologicamente differente ed equidistante nel sottotesto culturale blabla”. Questo perché a mio avviso il videogioco, nonostante abbia già fornito prove notevoli, deve complessivamente ancora maturare e sdoganarsi come “prodotto culturale di alto livello”. Quindi rivolgersi all’uomo medio ovviamente scettico con un certo linguaggio aulico e determinati toni un po’ da fan che trasudano esaltazione suona grottesco. Insomma, ritengo sbagliato e poco intelligente l’approccio. Se poi basta l’acquisto di Ico al posto dell’FPS tamarro per far scattare l’accusa di snobismo, beh, un bel sticazzi :).
Ho capito. 😀
Proprio un bell’articolo.
Provato con MGS4? Dovrebbe essere il gioco ideale da far vedere alla moglie 😉
LEGO Maus. Believe!
Io lo sapevo che tutto dipende dalle donne. Grande intuizione, Cinese.
Boh, il videogioco bello da vedere o da raccontare mi sa di fregatura. Io ci vedo una componente ludica, interattiva e sociale imprescindibile, altrimenti ci sono dei media diversi. Sul fatto che un genere debba mutare per essere accettato, non sono daccordo. Ci sono generi per tutti ed altri un po’ meno.
Io non sono un fan del calcio e non è che spero che il calcio cambi così posso vedere le partite con mio suocero. Mio suocero, di contro, non vuole convertirmi o si bulla di averlo fatto con altri. Si tratta solo di interessi differenti.
Non siamo mica tutti aeromodellisti e non credo proprio che agli aereomodellisti freghi qualcosa di essere centomila o cento milioni…
@Matteo Anelli
Beato te che tua moglie non ti rompe le palle perchè stai giocando! 🙂
@ABS
Ok non parliamo di “metafisica dell’eroe videoludico blablabla…” ma il fatto che il videogame classico o puramente d’azione (insomma quello stupido senza trama) possegga un certo linguaggio è innegambile. Certo che si tratta di un linguaggio che viene compreso appieno solo da chi nel settore ci sguazza da tanto tempo, ma secondo me non si puo neanche ingnorarlo a priori perchè bisogna puntare solo sulla trama ad effetto e l’avvicinamento al cinema. Come dicevo prima è il mondo videogame è troppo poliedrico e vario per essere ricondotto a due generi. E’ un po’ come parlare di cinema ed escludere automaticamente il cinema popolare perchè “non è arte”. Certo non si tratta di arte ma qualcosa di interessante lo dice pure anche il Pop.
Un applauso al bellissimo articolo!
Secondo me non è questione di “copiare dal cinema”, ma cercare di averne la stessa qualità narrativa, ed è indiscusso che sia una cosa importante e centrale per la crescita di questo medium.
Prendiamo Monkey Island 3, io starei a guardarlo solo per la valenza dei suoi dialoghi e per la grafica colorata
Che vuol dire, che bisogna creare dei giochi semplici e belli da vedere? Assolutamente no, anzi molte volte anche una giocabilità molto profonda e dinamica fa gola a non videogiocatori, ma non basta la giocabilità. La strada di Half Life è quella giusta (nel settore FPS), sparatutto bello da giocare e bello da vedere. Ma anche le battaglie in campo aperto di Halo 3 sono spettacolari a vedersi. Il medium videoludico ha tutte le carte in regola per sfondare, anche artisticamente.
Quando dico “copiare dal cinema” mi riferisco al linguaggio e al modo di comunicare. Il Videogame di base ha un linguaggio diverso, è necessario che per essere qualcosa di più di un gioco debba per forza scimmiotare quello del cinema stesso?
Neo, non è quello che ho detto io. Ne faccio una questione di presentazione agli altri, di modo per coinvolgere dato che non si può pretendere e agire come se il videogioco abbia già la stessa legittimazione del cinema e del fumetto, per colpe in gran parte anche sue e dei suoi fedeli. Per cui settizzarsi troppo in strutture che tendono a escludere chi non mangia pane e giochi “hardcore” come le varie AIOMI, a parte il marcio che c’è, o battere troppo il tasto sul linguaggio specifico (che pure in certi casi va inevitabilmente usato) alla fine non la trovo una buona idea.
Considero davvero ottuso questo accanirsi di alcuni sulla trama dei videogiochi, come se a momenti raccontare una storia sia l’elemento portante e irrinunciabile del medium (al contrario, spesso è un po’ rinunciare alle sue specificità per scimmiottare il cinema o la letteratura), segno della maturità acquisita.
Secondo me l’aeromodellismo è imparagonabile essendo qualcosa di più limitato, meno denigrato e molto meno vasto e ambizioso del videogioco, per questo gli appassionati si incazzano (giustamente) se il loro “passatempo” non viene accettato o viene additato quale peste bubbonica, come l’altra sera su Rai Tre da Mirabella.
Ora che la questione è saltata fuori, bisogna specificare il termine “scimmiottare”
Per me l’unico modo negativo in qui il videogioco scimmiotta il cinema è l’uso a oltranza di sequenze video (vedi l’ultimo metal gear), ma se prendi un gioco come Half- Life 2 (o anche il recentemente bistrattato Call of Duty) ti accorgi come la trama sia raccontata in prima persona, e quindi già qui non sono più d’accordo.
lo scimmiottare il cinema potrebbero comunque essere gli eventi “scriptati”, o situazioni dove il giocatore non ha controllo, ma davvero vi danno così tanto fastidio quando usati in maniera funzionale e coreografica?
Non so, illuminatemi, fatemi capire cosa intendete.
Per quanto riguarda la trama come elemento portante, parlo per me. La trama diventa elemento portante (o quantomeno molto im-portante) quando un videogioco vuole appunto raccontarla, quando lo pretende. Ci sono poi altri bellissimi giochi che si basano completamente sulla loro ludicità (Super mario, portal) senza la pretesa di voler raccontare un bel niente.
Io mi infervoro sulla trama perché vedo che è uno dei difetti maggiori dei videogiochi attuali, e noto che quando c’è, fa la differenza.
Ragazzi, considerate sempre che la narrazione non è prerogativa fondante del cinema.
Zì, mamma Karat, il cinema è immagine ecc. Si parla dei film che riescono miracolosamente a resistere per qualche giorno nelle sale di questi tempi e che hanno nella trama, piaccia o meno, una delle pietanze portanti: se non c’è una storia comprensibile a tutti il film generalmente genera disgusto e orrore. Perlomeno nell’uomo medio. Nei videogiochi si è fatto tranquillamente a meno delle trame a lungo (ancora se ne fa a meno in tanti generi), quindi è una caratteristica meno presente, che in teoria dovrebbe contraddistinguere in misura minore il medium. Zì, la narrazione “in senso” lato c’è anche in Pac-Man, DooM e Super Hang On, ed è importante, però basta puntini sulle i, dai. Quando si vedono trame alla Anna Karenina in un videogioco l’impressione è che siano cacciate dentro di forza violentando un po’ la natura del medium, che dovrebbe esprimere la sua specificità soprattutto per altre vie. A mio avviso i videogiochi scimmiottano soprattutto il cinema (visto come un “videogioco, ma più bbello!1”), quindi questa necessità di ficcare trame e stratrame deriva soprattutto da lì. Dal cinema come viene inteso dalle masse. Oltre all’uso a oltranza di sequenze video (che incidono parecchio e sono un chiaro segnale di una sudditanza psicologica che permea il modo in cui sono concepiti certi titoli) e ai dialoghi “cinematografici” ho l’impressione che il videogioco faccia troppo poco per andare oltre essere l'”opera d’arte totale” vagheggiata da alcuni; aleggia spesso quella sensazione tipo “che fico che sarebbe se i videogiochi fossero come i film, della stessa qualità, solo con la possibilità di saltare, esplorare e sparare quando vogliamo!2”. Poi ovviamente non vale per tutti i videogame, ecc. (aggiungere puntini sulle i a piacere ché sono stanco).
Errata scorrige: “per andare oltre *e cercare finalmente di* essere l’”opera d’arte totale” vagheggiata da alcuni”.
beh, forse bisognerebbe smetterla di considerare il cinema come una specie di libro illustrato animato.