È che li abbiamo riempiti di merda fin da quando erano piccoli, gli abbiamo dato in pasto parole d’accatto con cui abbiamo formato le loro capacità critiche e ora eccoli là ad azzannarsi sui forum parlando delle punte dei peli dei cani virtuali. Oggi ancora cosa gli stiamo dicendo? Che in fondo ha ragione chi vince e che, quindi, bisogna sposare la filosofia Nintendo e perdere qualche chilo davanti alla televisione facendo fitness. Non è solo colpa loro. I bambini, è risaputo, ripetono quello che sentono. Oltretutto sono molto egocentrici e nessuno fa nulla per smorzarli. È che sono un target perfetto. Tienili stupidi e mungili. Mungili, ma dagli l’illusione di contare qualcosa. Viene da ridere a pensare che gli addetti marketing conoscano i bambini meglio dei genitori. I genitori inseguono e la stampa specializzata, di cui sono fiero rappresentante, è lì per aiutare i piccoli a integrarsi meglio in un sistema sì repressivo, ma estremamente colorato. Perché la prima cosa che va repressa è la capacità critica, il corpo si adeguerà di conseguenza e agirà per inerzia. Anche la mente è corpo.
Microsoft insegue, Sony insegue… ma siamo sicuri di quello che stiamo pensando? Ovvero siamo sicuri che Microsoft e Sony siano gli alfieri dei videogiochi non-commerciali? Degli arcoregamers? Oppure si rivolgono semplicemente a un target differente puntando comunque a fare numeri più grossi possibili? inFamous e Halo sono software ribelli? Roba che ribalta la società riempendola di senso altro rispetto al comune pensare? Degli specchi che riflettono il lato oscuro del mondo? Oppure sono parte dello stesso rito di sempre? Gears of War è meno reazionario di un Wii Sports Resort qualsiasi? E se fossero comunque soltanto prodotti per le masse? Simili o diverse che vogliano apparire, pur sempre di masse parliamo, e le masse si autocelebrano continuamente, a prescindere dalla forma del rito scelto per la celebrazione.
Così, da una parte abbiamo i massificati del fitness (di cui ultimamente sono un fiero rappresentante… sto abbracciando troppo spesso il lato oscuro della scamorza, devo darmi una regolata), dall’altra i massificati delle sparatorie, ma il principio fondante di questi due mondi è sempre lo stesso. Che differenza c’è tra il pettinare un pony e il massacrare alieni? Che differenza c’è tra il fare flessioni o il saltellare da una piattaforma all’altra? Se non vengono riempite di senso, le azioni rimangono dei meccanismi vuoti e omogenei, figlie idrofobe del nulla che rappresentano, soltanto appartenenti a immaginari diversi i quali determinano la posizione sugli scaffali dei centri commerciali, più che uno scarto qualitativo.
Quello che voglio dire è che sul piano ideologico l’alternativa ai Giulia Passione non è un Mirror’s Edge qualsiasi. Lo è sul piano strettamente meccanico, ma il passo successivo è un disperante arenarsi nell’ovvio. Da una parte c’è la bambina che sogna di diventare una ballerina, dall’altra un bambino che sogna di spaccare qualche vetro sghignazzando un po’. Da una parte c’è l’archetipo della piccola donna, dall’altra quello del piccolo uomo. Niente che vada oltre il caro vecchio giocare con i soldatini e con le bambole.
Di questo torpore, di questa mera contrapposizione di fede, è madre la stampa specializzata che, facendosi eco dell’industria, sottolinea costantemente le differenze superficiali senza andare mai a fondo a disegnare un confine che vada oltre quello dato. Il problema è che certi schemi mentali fanno comodo e non ci si può fare nulla. Poter ripiegare in territori conosciuti aiuta a mettere ordine in quello che si stenta a capire e che ormai sembra sempre più sfuggire di mano.
Come si può fare cultura del videogioco se spesso sembrano mancare le basi anche agli operatori del settore? Se da una parte è logico che chi fa impresa consideri il videogioco un semplice prodotto, dall’altra ci dovrebbe essere tutta una schiera di persone che dovrebbe impegnarsi a superare i limiti che la visione imprenditoriali porta con se. Altrimenti le riviste e i siti facciamoli scrivere dai PR e non pensiamoci più. In questo modo si avrebbe il grosso vantaggio di non dover far credere al lettore, bambino e spesso già rattrappito, ma con ancora la possibilità di salvarsi, di dirgli qualcosa che nessun altro potrebbe dirgli.