Retrocrap – Big Nose the Caveman

Prodotto da Camerica| Sviluppato da Codemasters| Piattaforma NES| Rilasciato nel 1991

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Decine di psichiatri hanno provato a capire perché Mando ami mischiare le formiche schiacciate e le caccole prima di mangiarle spalmate sul pane insieme a dei tarzanelli inzuppati nel vomito caldo di una novantenne amante del cunnilingus. Nessuno ha mai saputo dare una risposta soddisfacente. Probabilmente non hanno mai giocato a Big Nose the Caveman.

È bello sapere che ogni volta che a un lettore fisso di Ars Ludica viene in mente un gioco di merda, che ha irrimediabilmente segnato la sua infanzia, prende e me lo segnala. In questo caso me lo ha spedito direttamente per posta elettronica. E pensare che c’è chi riceve foto di donne nude.

Cos’è Big Nose the Caveman? Un platform. Ma, visto quanto è brutto, lo ribattezzeremo spiatform. Il personaggio sprizza carisma da tutti i pori: un cavernicolo dal naso e dalla panza grossi come porchette… una specie di tifoso di calcio intelligente, insomma. Il tipo, che oltretutto è più peloso del culo di un istrice, si eccita quando uno pterodattilo gli passa sopra la grotta e parte all’avventura. E da qui ha inizio il gioco (Shakespeare ha scritto una scena in cui Amleto si masturba davanti a Ofelia dopo averci giocato nell’aldilà).

Preso il controllo del mostruoso protagonista armato di clava avanzo baldanzoso colpendo dei piccoli dinosauri sulla nuca. Ben presto raccolgo dei sassi, la prima arma extra. Il livello iniziale è di una noia mortale, i salti sono molto semplici e i nemici prevedibili. Lo scontro con il primo boss (un triceratopo mignon) sembra andare abbastanza liscio, ma purtroppo vengo ucciso, distratto dalla terrificante musica che fuoriesce dalle cuffie.

Ma quanto è ripetitiva?

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Dopo aver ucciso un paio di vecchiette vere che passavano per strada (la colpa è stata della musica… giuro), riprendo il gioco e ritorno davanti al boss che… mi riammazza. La clava è un’arma dal raggio terribilmente corto e senza rocce anche l’elementare primo boss diventa un’impresa degna dell’uomo che è riuscito a gonfiare un canotto con le scorregge.

Il personaggio avrà si e no tre frame di animazione ma è ai nemici che è andata molto peggio visto che sembrano delle sagome di cartone rette da un martello pneumatico. Comunque muoio e muoio e muoio. Senza sassi sto boss è una pena nel… e basta con le volgarità!

Game Over

Devo ricominciare. Il primo livello è di una noia mortale (già scritto, ma fa bene ribadirlo). Questa volta supero il primo boss prendendolo a sassate. Lapidare i nemici mi piace, in fondo. Il secondo livello è divertente quanto il primo e il boss è identico (per la serie coinvolgiamo subito il giocatore). Vengo colpito fortuitamente… sigh. Sono morto. Devo riaffrontarlo con soltanto la clava. Chi mi da una copia dell’Ulisse di Joyce tradotta in sardo con testo magiaro a fronte? Magari ci ammazzo la noia, oltre che le mosche che ronzano intorno al monitor da quando ho avviato Grosso Naso il Cavernicolo.

Morte 1, morte 2 e morte 3

Game Over

Niente continue? Speriamo che gli sviluppatori perdano una palla in questo momento… e speriamo che, se sono donne, partoriscano un figlio bello come Giuliano Ferrara.

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Sono sadico e ricomincio. Supero il primo livello. Supero il secondo e, finalmente, arrivo al terzo. Infine capisco a cosa servono le ossa che si possono raccogliere saltellando di qua e di là per le piattaforme… sono la moneta locale! Tra il secondo e terzo livello, infatti, si può scegliere di entrare in uno di tre negozi. Non sapendo cosa vendono, provo il primo. Non compro nulla. Faccio per uscire e… mi trovo nel gioco? Ahem, volevo vedere cosa vendevano gli altri prima di comprare qualcosa spendendo le tanto sudate ossa!

Inoltre, questo significa che per sapere cosa vendono tutti e tre dovrò giocarci almeno altre tre volte.

Uffa. Ma chi è il sadico che ha progettato questo gioco? Sembra che il game designer abbia voluto fare dei dispetti ai giocatori più che farli divertire.

Avanzo nel terzo livello. Colpisco un sasso con la clava. Lo schermo inizia a vibrare. Vibra. Vibra. Vibra. Mi viene la nausea e vomito nel cappello di Solid Snake. Riesco a proseguire e… dei sassi piovono dal cielo senza preavviso e mi fanno fuori. Mi era rimasta soltanto una vita…

Ricominciamooooooo!

Qui inizio a pormi alcune domande che meritano ampie riflessioni. La prima è: come gli è venuto in mente di realizzare una mondezza simile? Fosse un foglio sarebbe sicuramente carta da culo. La seconda domanda è: il gioco è per il NES… ma la Nintendo difference? Sicuramente gli sviluppatori avranno mandato delle prostitute per corrompere a botte di gnugna gli addetti al controllo qualità, perché roba del genere non può passare impunita senza qualche forma di coercizione. Probabilmente avranno dato l’approvazione alla pubblicazione mentre venivano frustati sui genitali da delle donne addobbate con dei completini di lattice… non si spiega altrimenti l’aver firmato la messa in vendita della faccia della Binetti fatta videogioco. La terza domanda è: chi mi ripaga dello scoppio della prostata dovuto alla sovraesposizione a questa marmellata di cacca di pecora?

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Commento: Mando, fammi un favore, non pensarmi troppo durante le tue polluzioni notturne.

Da ricordare: L’animazione della morte del protagonista. Momento liberatorio e di grande goduria!

Giudizio sintetico: Legate la clava del protagonista a terra posizionandola verticalmente. Salite sopra una scala. Lanciatevi di culo sulla clava. Proverete sensazioni migliori rispetto a quelle causate dal giocarci.

Oltre la Morte, ovvero i libri andrebbero letti prima di essere recensiti

Oltre la MorteLeggendo la recensione del libro “Oltre la Morte – Per una mediologia del videogioco” scritta dal generalmente ottimo Ivan Fulco (che potete leggere anche voi cliccando QUI), sono rimasto piuttosto stupito. Possibile che un lettore attento come Fulco, profondo conoscitore del mondo dei videogiochi, non abbia colto i macroscopici errori contenuti nel libro? Alessio Ceccherelli è, probabilmente, un grande antropologo, ma moltissimi riferimenti ai videogiochi contenuti nella sua opera sono errati, cosa che mi fa supporre una sua conoscenza piuttosto superficiale del medium videoludico. Ma facciamo alcuni esempi estraendo direttamente dal libro alcuni brani autoesplicativi del discorso/polemica.

Pag. 24, nota 16:
Uno dei primi, in questo senso, fu Ultima IV, di Richard Garriott, forse il vero padre degli RPG elettronici, e il primo a pensare allo scorrimento di un tempo interno al gioco, parallelo a quello reale. A metà degli anni ’80, ci fu poi il caso Dune, in cui l’unico modo per far scorrere più velocemente il tempo era proprio quello di mettere a dormire il protagonista e farlo svegliare il giorno dopo.

Ultima IV il padre degli RPG elettronici? Dune uscito a metà degli anni 80? Mettere a dormire il protagonista per far avanzare il tempo?
Calmi che il bello deve ancora arrivare. Quindi, piano con le domande e andiamo avanti.

Pag. 28:
Se nei giochi a solo il software permette di sbagliare senza intaccare la vita del personaggio, che può morire infinite volte e riprovare, in gran parte delle communities virtuali se il personaggio muore, muore per sempre, riducendosi a fantasma, e il giocatore può rientrare nella comunità solo dando vita a un altro personaggio, con altre caratteristiche e un’altra personalità.

Questa dove l’ha presa? Chiunque abbia provato un qualsiasi MMORPG sa che non è così che funziona normalmente (sottolineiamo il normalmente, che è meglio) il genere e, anzi, negli anni si è cercato di rendere più soffice la morte dei personaggi e il loro successivo ritorno in vita. Un libro che parla della morte nei videogiochi che non sa come funziona la morte in uno dei generi che più ha fatto parlare di se negli ultimi anni?

Ma bando alle ciance e proseguiamo con qualche altro esempio.

A cavallo tra pag. 30 e pag. 31:
In riferimento alle avventure grafiche: Oltre ad essere tutti strutturati narrativamente su una trama gialla o poliziesca, questi videogiochi danno un’importanza fondamentale all’atmosfera in cui il personaggio viene inserito: suoi il più possibile coinvolgenti, giochi di luci e ombre al massimo del realismo, visuale spesso interrotta da ostacoli con un conseguente accrescimento di adrenalina.

Qui mi sembra si sia fatta una certa confusione accorpando due generi (le avventure grafiche tradizionali con i survival horror) o, semplicemente, confondendoli. Oltretutto non tutte le avventure sono dei gialli o dei polizieschi. Nonostante l’investigazione sia sempre presente, esistono avventure di moltissimi generi differenti.

Ma proseguiamo, rimanendo a pag. 31:
negli adventure l’azione si svolge molto lentamente e l’unica ragione di alcuni scenari è proprio quella di farli osservare per la loro bellezza: il sogno di un cinema interattivo.

Sinceramente questo passaggio non l’ho capito. Ovvero, se l’ho capito bene lo considero abbastanza puerile e inesatto, visto che con gli anni proprio le avventure grafiche sono il genere che più si è staccato dalla cinematograficità coatta impostasi in altri generi.

Vabbé… andiamo avanti.

Pag. 36:
Parlare dei giochi di ruolo non è mai semplice. Sono forse gli unici, tra i generi videoludici, a derivare direttamente dagli omonimi giochi da tavolo, e sono gli unici ad avere una versione multiplayer on line più importante e significativa della versione base per PC.

Qualcuno mi può spiegare l’ultima parte? Sinceramente non l’ho capita. Ovvero, ho capito che chi l’ha scritta aveva le idee leggermente confuse, ma per il resto stento a trovargli un’interpretazione adeguata.

Avanti Savoia!

Pag. 48:
In riferimento ai GDR: Molto spesso, a meno che non si possegga un display molto grande o che non si usi la televisione, la visuale sul campo da gioco è molto limitata, tanto che insieme al menù dei comandi c’è quasi sempre una mappa più piccola dell’intero campo.

Anche qui la confusione è tanta e, soprattutto, l’associazione tra display molto grande e la televisione, dimostra una certa ignoranza rispetto alle basi della grafica… anche perché l’affermazione successiva è completamente inventata e non trova riscontro nella realtà. Nella maggior parte dei giochi di ruolo quello che si vede a 640×480 è uguale a quello che si vede a 1600×1200. Ovviamente aumenta la definizione, ma quasi sempre la “quantità” di mondo di gioco inquadrata è equivalente. Le eccezioni ci sono e naturalmente, con la diffusione di monitor con proporzioni diverse dai 4:3, la quantità di mondo di gioco inquadrata varia a seconda della proporzione dello schermo posseduto, ma sempre se è il gioco a prevederlo.

Dai dai dai, un altro esempio e poi tiro le conclusioni che sennò vado avanti per ore.

Pag. 49:
Il genere in assoluto più narrativo è senza dubbio l’adventure, l’unico ad avere una vera e propria trama e a fondare la propria motivazione sulla più tipica delle dicotomie narratologiche: fabula e intreccio.

Quindi le avventure grafiche sarebbero le uniche, tra i videogiochi, ad avere un vera e propria trama? Da quando? Luttazzi direbbe: “cazzata o stronzata?” ma io sono più serio e mi limito semplicemente a far notare la profonda inesattezza di un’affermazione del genere. Possiamo definire le avventure grafiche più narrative dei survival horror o dei JRPG?

Potrei continuare per qualche altro migliaio di caratteri a riportare errori, imprecisioni, inesattezze e così via, ma credo abbiate capito dove voglio andare a parare. È vero che il libro pone alcune questioni interessanti; peccato però che la moltitudine di svarioni che contiene, oltretutto inerenti al medium di cui pretenderebbe di esaminare una delle componenti, ne mini profondamente la credibilità e che, quindi, il discorso generale ne risulti sbiadito e privo di autorevolezza, autorevolezza necessaria per rendere fondato e dare un qualche valore al periodo finale della recensione di Fulco: Ma il risultato finale non ne risente, offrendo a conti fatti un altro utile contributo alla sempre più interessante scena italiana dei game studies.

Ti amo… Zoë Castillo

Dal primo momento in cui ti ho mossa… ti ho amata

Il tuo accento marcatamente britannico ti rende così desiderabile

Sensuale e sbarazzina, sin dai primi frame…

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Annoiata dalla solita routine, in cerca di nuovi stimoli

Ti sei ritrovata in un mondo a te estraneo, e anche lì hai saputo tirar fuori il meglio di te

Sai usar le mani per bene quando serve

Ma anche agire di astuzia nelle situazioni più improbabili

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Abbiamo passato appena 13 ore insieme, in cui ti sei alternata alla cara vecchia April Ryan…

Ore intense, speciali, ti assicuro che con un’altra sarebbe stato diverso

ma adesso ti vedo lì, in un letto, tra le mani del destino

… infausto destino

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Zoë, apri gli occhi… io sono accanto a te

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P.S. Cari ragazzi di Funcom,
date un seguito a Dreamfall o mi vedrò costretto a salire a Oslo con quattro picciotti per ricamarvi un sorriso sul collo.

 

Il lifting del Principe — Prince of Persia: Spirito Guerriero

Prodotto da Ubisoft | Sviluppato da Ubisoft Montreal | Piattaforme PC, Playstation 2, Xbox, Gamecube | Rilasciato nel dicembre 2005

Dagli archivi di Ars Ludica.

Deve essere stata una scena discretamente divertente quella che ha visto il Principe di Persia riunito con i vertici Ubisoft per decidere quello che sarebbe stato il suo futuro. I risultati de Le Sabbie del Tempo erano stati buoni ma non esaltanti, almeno non abbastanza da raggiungere gli obiettivi sperati.

Uno sguardo al volto del principe, limpido e pulito come il culo di un bambino, rese immediatamente chiara la situazione: troppo poco attraente per i ragazzi di oggi. A poco valsero le opposizioni del principe stesso che paventava le sue nobili origini e il fatto di vivere in Persia e non in una discarica di New York. Via quel volto effeminato, via quei capelli ben pettinati e via anche i vestitini troppo da checca. Il nuovo principe avrebbe avuto la barba incolta, i capelli spettinati, un vestitino rozzo che sembra uscito direttamente dai peggiori manga e, soprattutto, avrebbe detto le parolacce.

Spirito Guerriero

Via le motivazioni che lo portavano a combattere nel primo episodio, troppo generiche e poco comprensibili al giocatore medio, è l’egocentrismo a pagare. Da questo momento il principe avrebbe combattuto solo per se stesso, sin dal sottotitolo che è un forte richiamo all’egocentrismo. Via anche quella voce bella ma troppo delicata e, soprattutto, anonima; la voce di un attore famoso, per quanto poco adatta e per quanto questo attore si sia dimostrato incapace di dare espressività al personaggio, è molto più indicata per gli strilli di copertina.

Tutti i riuniti convennero infine sul fatto che il lifting non poteva riguardare solo il personaggio (nel frattempo il principe si stava esercitando a sputare e a bestemmiare in un angolo della sala), l’ambientazione de Le Sabbie del Tempo si era dimostrata poco efficace nel catturare l’attenzione del grande pubblico. “Perché non far diventare il tutto più fantasy, genere che va tanto di moda in questo periodo?” ha detto un manager con in mano alcune statistiche e nell’altra una copia de “Il Ritorno del Re” di EA. E così è stato.

Delle Mille e una Notte rimane poco o nulla in Spirito Guerriero… a partire dalla sequenza introduttiva (quella della nave). I richiami all’oriente si sono fatti più radi e sfumati, per non dire quasi inesistenti. Anche i nemici sembrano usciti da un brutto libro fantasy: orchi, donne ninja, donnine che vanno sul campo di battaglia in tanga, giganti di pietra, uomini corvo e chi più ne ha più ne metta. Non per niente, nel primo filmato, la telecamera indugia lungamente sul culo del primo boss… La favola è finita, morta.

Altro elemento a cui è stato fatto un bel lifting è la colonna sonora. Dalle musiche orientaleggianti ed evocative del primo episodio si è passati alle squallide schitarrate metal di questo. Non che abbia nulla contro il genere metal, ma l’effetto è veramente terribile anche perché non si tratta certo di buone musiche. Purtroppo il metal va molto di moda, quindi la scelta è stata obbligata, anche in virtù della nuova visione su cui si regge il tutto.

Prince of Persia

In fondo il principe non è più se stesso, da personaggio letterario si è trasformato in una specie super eroe di serie B: mai un ripensamento, sempre con la faccia indurita, pieno di cicatrici e, soprattutto, pieno di belle frasi ad effetto che fanno tanto felice il grande pubblico. In fondo è ora uno Spirito Guerriero, un combattente capace di combo spettacolari quanto inutili.
Prince of Persia: Spirito Guerriero è come Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo solo pieno di disincanto. È un principe che si è riempito di cicatrici e ha cambiato sguardo per poter vendere meglio un nuovo modello di telefonino. E in effetti ci è riuscito. Le vendite di questo nuovo episodio sono andate molto meglio del precedente… come a dimostrare che i manager e le statistiche ci conoscono più di noi stessi.

Tutti devono poter finire un videogioco!

Una delle feature più chiacchierate dell’imminente, nuovo, Alone in the Dark, che con l’originale condivide soltanto il titolo, sarà la possibilità di saltare i livelli nel caso di sezioni troppo difficili.

Ars Ludica è fiera che i videogiochi abbiano imboccato questa strada.

Ma perché limitarsi soltanto a questo? Qualche utente potrebbe comunque trovare troppo frustrante l’esperienza di gioco e, quindi, allontanarsi dal medium videoludico impaurito dalla terribile sfida posta dalla necessità di capire quando la sfida è troppo difficile per lui. Come fare per impedire che abbia luogo un tragedia simile? Come evitare che il giocatore medio venga scioccato a tal punto dagli sviluppatori malvagi e dalla loro obsoleta concezione dei videogiochi?

Alone in the Dark

Ecco le mie proposte:

1. Rendere più amichevoli i nemici, ma non nel senso di renderli eliminabili più facilmente o limitare la loro IA. L’idea è quella di fargli apparire dei fumetti in testa con cui suggerire al giocatore sprovveduto cosa fare per avanzare. Immaginate di stare combattendo con un boss gigantesco che, in onore della sua mole, potrebbe eliminarvi con un solo colpo. Bene, renderlo più amichevole significa non solo farlo fermare per non infierire su di voi che, in fondo, avete acquistato il gioco, ma anche fargli capire che il signore e padrone della sua esistenza virtuale si trova dall’altra parte dello schermo. Quindi, dopo qualche tentativo di eliminazione andato a vuoto, il boss, o anche un nemico normale, dovrebbe poter suggerire al giocatore la modalità migliore per la sua stessa eliminazione. Frasi come: “non spararmi sulle gambe, colpisci la testa” o “vedi quell’occhio rosso brillante? Colpiscilo! È il mio punto debole” dovrebbero essere la norma. Volendo esagerare, si potrebbero inserire fumetti con cui suggerire al giocatore cosa fare dopo avere eliminato il boss o un nemico posto prima di un’enigma: “Quando mi avrai eliminato dal mio cadavere cadrà una chiave grigia. Aprici la porta chiusa che si trova dietro la colonna sopra la balaustra. Se non la trovi segui la grande freccia rossa che indica la strada che devi seguire.”

2. Giochi monotasto. Perché non creare dei giochi che per essere finiti richiedano soltanto la pressione continua di un tasto? Qualcuno ha detto Heavenly Sword? No! Bisogna andare ancora oltre e creare titoli che non abbiano bisogno dei movimenti! L’idea è che il personaggio dovrebbe camminare da solo e, nel caso incontrasse dei nemici, il giocatore dovrebbe poter premere soltanto un tasto per farglieli eliminare. Basterà aggiungere effetti speciali a manetta per ottenere l’approvazione di una larga fetta di utenza, ansiosa di sentirsi potente senza doversi impegnare troppo.

3. Fine del gioco dinamica. Perché non creare dei giochi dinamici che durano giusto il tempo che avete voi? Avete mezz’ora? Un’ora? Tre ore? Non cambia niente! In qualsiasi momento dovrà essere possibile premere un tasto e far apparire il boss finale che, seguendo le regole indicate nel punto 1 si dimostrerà amichevole e si farà eliminare permettendovi di vedere la sequenza finale!

4. Opzione film. Siete completamente incapaci? Nessun problema! Perché privarvi del piacere di infilare un disco dentro una console? Infilatelo, selezionate l’opzione film e guardatelo mentre si finisce da solo. Non avete abbastanza tempo? Usate l’opzione 3 e fatelo finire quando volete!

Cryptic resuscita Champions!

Dopo la bufala presa da Microsoft con l’MMOG per 360 basato sui supereroi Marvel, Cryptic non ha perso tempo ad aggiustare la mira e valorizzare il lavoro già svolto lanciando Champions Online.

Steel Commando

Grazie ad un accordo steso anni fa con i detentori dei diritti di Champions RPG (un sistema di gioco supereroistico degli anni 80) e ai soldi ricevuti dalla vendita di City Of Heroes a NCSoft, Cryptic in poche settimane è riuscita a trasformare una disfatta in una entusiasmante rinascita, rischiando moltissimo in prima persona ed arrivando a sfidare Microsoft proponendo comunque una versione per X360, anche senza finanziamenti esterni. Alla faccia di chi identifica gli elefanti del videoludo nei pioneri dell’innovazione e dello sviluppo di nuove forme di intrattenimento.

Personalmente, essendo stato un grande fan di Cities e della sua visione iniziale (che NCSoft ha già iniziato ad adulterare per adattarla al mercato asiatico) non posso che accogliere con piacere il rilascio di una sorta di City Of Heroes 2.0, che faccia tesoro dei limiti emersi dal vecchio sistema e che sfrutti al meglio uno dei migliori sistemi di gioco supereroistici disponibili sul mercato.

Come in City Of Heroes, la vera forza di Champions Online sarà la grande apertura verso i giocatori: non presentando un universo supereroistico basato su una proprietà intellettuale ben definita, con limiti di continuity, libertà di azione sulla storia e problemi con il fandom, le prospettive di creare da zero un universo da cui far emergere personalità e concept originali è molto invitante. Personalmente mi aspetto anche una raffinazione del gioco cooperativo molto accessibile che caratterizza da sempre Cities, possibilmente senza incappare nella frustrante “cooperazione competitiva” di cui i giochi basati su equipaggiamento e drop sono pieni.

C’è da dire che Jack Emmert promette qualcosa di più di una semplice revisione di Cities: parla di un universo più dinamico e di eventi più significativi, aspetti che colmerebbero una delle lacune peggiori di City Of Heroes, ovvero un mondo che inizialmente è rimasto statico per troppo tempo e che non ricompensava in maniera significativa i giocatori più esperti e non intratteneva abbastanza quelli meno assidui.

Resta da vedere se Emmert riuscirà a battere sé stesso, convincendo i moltissimi (ricordiamoci che parliamo di un genere di nicchia) giocatori statunitensi di Cities a migrare sulla sua nuova creatura.

C’è anche da capire se Emmert riuscirà a rimanere alla larga dal trito sistema “endgame & raiding” che piaga i MMOG moderni, rimanendo fedele alla sua personalissima visione (validata comunque dal successo di Cities) per la quale un MMOG dovrebbe ricompensare e motivare il giocatore spingendolo a ricominciare con altri personaggi, piuttosto che indurre la popolazione ad “invecchiare” e sclerotizzarsi nel tempo, creando stratificazioni e differenze nelle fasce di gioco che diventano un insormontabile limite al rinnovo dei giocatori.

Un altra decisione rivoluzionaria presa da Cryptic è che, sebbene il gioco sia ancora molto lontano da una beta pubblica, il design del gioco sarà da subito community-driven. Questo non vuol dire che si sfrutterà manodopera gratuitamente ma solo che chi vorrà potrà contribuire con feedback ed opinioni su quanto pianificato, esattamente come avviene da due anni a questa parte con Cities. Evidentemente i vantaggi derivati dall’apertura al dialogo con la community hanno fatto maturare Emmert anche su questo fronte, nonostante la sua iniziale e malcelata ritrosia a coinvolgere chiunque nei suoi processi creativi.