Mercoledì 04/03 nella facoltà di Scienze della Comunicazione (università “Sapienza”di Roma) si è svolto un evento dal titolo “Social networks, game & business”, titolo altisonante per presentare una ricerca finanziata da Sony e commissionata all’università per indagare sul rapporto tra il videogioco e il social networking e le possibilità di business che questo binomio può suggerire.
Da studente di queste tematiche e appassionato di videogame non potevo mancare, soprattutto era un’occasione ghiotta per vedere come il videogame viene visto dal mondo accademico. Di contorno c’è ovviamente il discorso sulla ricerca in sé, ma in questa sede mi sembra più opportuno concentrarsi sulla percezione del medium videoludico.
A caldo mi è venuto da pensare: più o meno ci siamo. Al videogame viene riconosciuto un minimo sindacale di status culturale che permette di parlarne prescindendo dalla faciloneria che i media generalisti ci propinano regolarmente. Qualcuno potrebbe pensare: “ci mancherebbe altro”, ma quanto appena detto è un assunto tutt’altro che scontato. Basti pensare al fatto che nella facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza che vanta corsi molto attenti all’analisi e all’interpretazione dei prodotti dell’industria culturale si sente parlare di videogame solo nei corsi di nuovi media, e quasi mai entrando nel merito.
Purtroppo le note positive si limitano a questo. Alla domanda: “dobbiamo considerare il videogame un media?” del giornalista del Sole 24 Ore Marco Mele è seguito un imbarazzante silenzio da parte degli altri relatori, spezzato solo dal preside Mario Morcellini che ha parlato dell’importanza di affrontare il problema della definizione di “nuovo medium” in modo da dare una risposta precisa alla domanda. Per il resto l’evento è stato un altalenarsi piuttosto confuso tra i proclami di Sony sul fatto che loro sono il deus ex machina dell’entertainment e le velleità di una ricerca (mai espresse in modo chiaro) che si è riconosciuto essere molto ambiziosa ma a cui (aggiungo io) manca un’elementare concezione dell’oggetto di studio e proporzione dell’impresa. A intervalli regolari si affastellavano affermazioni sconnesse sul videogioco e il social networking piuttosto imbarazzanti, specie le seconde visto che il contesto avrebbe imposto maggiore padronanza di una tematica ben più sdoganata ma anche più rilevante per la facoltà.
Tirando le somme:
si poteva fare di meglio (e parecchio). Ogni volta che si è parlato del videogioco come artefatto culturale significativo la competenza in materia non ha affatto impressionato (me la cavo con un eufemismo). Ci si è impelagati prima sul concetto di simulazione, poi sull’eterno patema virtuale vs. reale (stemperato solo dall’intervento di Luca Giuliano), poi su pasticci interpretativi sulla dimensione sociale del videogame, il tutto contornato da diversi altri equivoci che testimoniavano una grande difficoltà a padroneggiare le tematiche emerse.
Eppure l’ingresso del videogame all’università (non che questo sia il primo caso…) è un dato da non sottovalutare a prescindere dalle critiche che possiamo farne da gamers “informati dei fatti”; quando si dice “l’importante è che se ne parli” è difficile negare che sia un’affermazione fondamentalmente vera.
In ogni caso la domanda rimane: ce lo facciamo bastare?
photo credit: mediamolecule
In ogni caso la domanda rimane: ce lo facciamo bastare?
Potremmo farcelo bastare se lo considerassimo come un primo passo verso un dialogo leggermente più maturo. Ovviamente come singolo event, da quel che mi è sembrato di capire, non risultava certo impressionante.
Sinceramente non capisco perché si facciano compiere ricerche a persone che non le sanno compiere, tutto qui. Oltretutto, invece di riconoscere i loro limiti e contattare qualcuno che ne capisce, se ne fregano, mettono su qualcosa di arrabbattato e tirano dritto.
Ci tengo a precisarlo: la mia non è una critica nel merito della ricerca.
Non posso farla perché avrebbero dovuto presentarla in quell’evento, ma di fatto non hanno detto granché. Certo: le premesse perché sia un buco nell’acqua ci sono vista la presentazione, ma potrebbe anche essere che abbiano organizzato quest’ultima in modo poco accurato (magari condizionati dalla presenza ingombrante di sony… anche se dubito che possa essere questa la causa)e che la ricerca si rivelerà interessante.
Mah, staremo a vedere, si presentano i risultati a Giugno, intanto cerco di rimediare i materiali che hanno presentato (abstract e altro, c’era un po’ di roba ma me li devo far prestare, al momento non li ho) e vi dico qualcosa in più in un altro post magari.
Intanto mando trackback da altro articolo scritto sul mio blog personale sulla cosa.
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conoscere i videogiochi è fondamentali per studiarli, questo è sciocco che lo dica, ma poi chi compie la ricerca deve anche essere ferrato nel campo che la inquadra, definire nuovi termini, strumenti, cercare un paradigma. dovrebbero formarsi comunità mondiali nel campo della psicologia, delle scienze sociali ecc, che si dedicano ai videogiochi (e composte da videogiocatori!).
altrimenti rimaniamo alle chiacchere che già si fanno da sempre.
il problema di sc com (da studente della stessa) è che cerca di occuparsi a 360° di un pò di tutto, e spesso lo fa in modo molto superficiale.
Ancora una volta si conferma un problema culturale. A me non basta che se ne parli, perché anche di ecologia se ne sta parlando molto, ma a cazzo. A me interessi che se ne parli con cognizione di causa, altrimenti rischia di far più danni che altro.
Invece secondo me il problema è un altro.
I videogiochi esistono, sono diffusi, interessano, e hanno potenziale variegato. Ce se ne faccia una ragione.
Poi se uno vuole perdere tempo a inventarsi definizioni che costringano in binari qualcosa che per sua natura è vario e molteplice, problemi suoi.
Intanto che se ne trattino gli argomenti correlati e si dia modo a chi è interessato di avere gli strumenti per apprendere.
Noto che il mondo accademico pur di non ammettere ignoranza e perdere relativo finanziamento, non si fa scrupoli a parlare di cose che non conosce.
Il fatto che non sappiano se definire “media” un prodotto artistico con mercato da milioni di euro che invade sia gli altri media da loro riconosciuti (film, fumetti, ecc) quanto il lessico corrente (la Plei è sinonimo di console) cambiando anche le abitudini di vita di milioni di persone (Wii Fit) mi fa porre seri dubbi sulla preparazione di queste persone.
Okok, ho capito: non ce lo facciamo bastare : )
Giusto, non che non fosse una domanda retorica eh, il post parla chiaro mi pare : P
In ogni caso, per quanto lapidarie le considerazioni sulla ricerca sono minate da una presentazione/organizzazione dell’evento pessima (a parte l’ottimo buffet o_o’) soprattutto sul versante contenuti.
Mi riprometto di scriverne con un po’ di materiale e quando si presenteranno i risultati, solo così possiamo vedere se davvero questa ricerca è un buco nell’acqua.
E’ ovvio che in Italia a sc com non si trovano molti luminari della materia, meglio investire sull’Editoria, la Musica, la TV e la Pubblicità visto che i soldi girano in quel settore e alla fine Mediaset e RAI per darsi più credito tireranno sempre dentro qualche professorone di sc com per dare più credito ad una delle loro sgangherate iniziative.
Poi il fatto che per loro ci sia il principio del feudo e che sono molto poco aperti a tematiche innovative (il VG innovativo? forse 10 anni fa) perché rischierebbe di mettere alcuni luminari ad un livello più basso dei loro stessi studenti, beh, quella è una costante universitaria.
E forse voi non si sapete come si assegnano le borse di dottorato in molte facoltà e come si comportano le università quando partecipano a progetti di ricerca e sviluppo insieme ad aziende private.
quello sfocato nella foto è il bambino coi chiodi negli occhi di tim burton!
@Matteo
beh, i luminari sullo specifico del videogame certo scarseggiano, ma non mancano i luminari nei nuovi media, penso ad Alberto Marinelli da noi, ma anche Simone Mulargia è bravo (lui tra l’altro è stato coinvolto nella ricerca e di vg ne sa), però si tratta di un progetto di cui potete ben capire la portata, non basta che ci sia qualcuno bravo in mezzo..
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