Archivio Mensile: Aprile 2009
Intervista a Simone Bevilacqua, autore di BOH
Pochi giorni fa viene aperto sul forum, un topic dedicato a BOH, un gioco indie tutto italiano di cui non avevo mai sentito parlare. Leggo il testo, vado sul sito ufficiale, guardo gli screenshot e i video. Da bravo amighista decido di comprarlo (leggendo l’intervista capirete il perché di questa frase). Lo stile retrò mi affascina (non per niente, appena preso il Wii, ho tirato giù Mega Man 9…) e poi mi piace dare credito a quei pochi che in Italia tentano di fare qualcosa in ambito videoludico. A distanza di due giorni dal pagamento, arriva il gioco. La confezione è molto curata, nonostante si tratti di una piccola produzione. L’installazione va liscia e inizio a giocare… Sono rimasto folgorato positivamente! Talmente folgorato che ho deciso d’intervistare l’autore, Simone Bevilacqua, per farci raccontare un po’ i retroscena della sua creatura.
Ars Ludica: Come mai hai deciso di sviluppare videogiochi?
Simone Bevilacqua: Cominciamo bene! Mi porti indietro all’età di 6 anni (e cioè, a più di 26 anni fa).
A quell’età un mio cugino più grandicello fece la Prima Comunione, e per regalo ebbe un C64: quel C64, visto in azione, mi folgorò. Il computer divenne per me un mezzo di espressione di creatività. C’è chi usa carta e penna, chi pennello e tela, chi strumenti musicali… e io il principalmente computer: per me, il computer è come la tela per il pittore – non ho la pretesa di essere l’unico al mondo a pensarla (anzi, “sentirla”) così, ma è così.
Programmare, nonostante sia un’attività cervellotica, che richiede tecnica, conoscenze, etc., è allo stesso tempo un atto molto creativo: per me, non c’è niente di più bello che creare videogiochi, perché in essi la componente artistica e di intrattenimento ha una rilevanza enorme. A dire il vero, anche programmare demo è altrettanto stimolante (e le demo in sé sono cose meravigliose)… ma credo di preferire comunque i videogiochi perché lì ha un peso ancora maggiore la matematica, che in me suscita grande ammirazione ma non trasporto emotivo.
Nella mia vita ho programmato tantissime cose: editor, utility, macchine virtuali, etc., ma alla fine il massimo del godimento lo ottengo solo quando programmo videogiochi!
Ah, lo so che la risposta è già lunga, ma questo dettaglio lo devo assolutamente dire: di tutti i miei cugini, l’unico che si è comprato BOH è proprio colui di cui parlo all’inizio! Non sono capace di descrivere la sensazione che provo, ma è piacevole.
Ars Ludica: Ti ci dedichi a tempo pieno, oppure è solo un’attività secondaria?
Simone Bevilacqua: Domanda tosta…
Beh, poiché per me programmare non è un lavoro ma una passione (e quando è un lavoro è una tortura!), di solito decido di lasciarmi rapire per ore e ore, senza orari prestabiliti (nei limiti imposti dalle condizioni esterne). Questo chiaramente si inserisce in tutte le altre cose di cui è fatta la vita e qualche volta mi crea dei problemi – e spesso cozza (o ha cozzato, a suo tempo) anche con altre mie grandi passioni (come musica e basket, ad esempio). Fortunatamente, non ho una famiglia a carico e ho avuto diversi periodi in cui sono stato disoccupato (incluso quello attuale), per cui ho avuto naturalmente molto tempo a disposizione per programmare (in più a quello che, senza scrupoli, mi procuro “a forza”: ad esempio, ai tempi dell’università, la mia attività principale era programmare… poi, di tanto in tanto, mi ricordavo che bisognava pure studiare…).
In sostanza, potrei dire che in vita mia mi ci sono quasi sempre dedicatato a tempo pieno, sia per soddisfazione personale che, purtroppo, per lavoro.
Prima di passare alla prossima domanda ci terrei a fare una precisazione: non ritengo la condizione di non avere una famiglia propria e un lavoro una cosa positiva, anzi! Ne apprezzo soltanto l'”effetto collaterale” della disponibilità di tempo.
Ars Ludica: Da cosa nasce l’idea di BOH? Quali giochi lo hanno ispirato?
Simone Bevilacqua: Il 2007 è stato uno di quegli anni in cui facevo il programmatore di professione. Roba di sistema e comunicazioni, roba noiosissima. Facevo il pendolare a 65 km da casa, e alla sera non solo arrivavo distrutto, ma anche oppresso dall’orrore del lavoro in sé (davvero non riesco a descrivere a parole la repulsione che provo per la programmazione di qualunque cosa che non mi venga da dentro, o coinvolga certe tecnologie e/o codice scritto da altri…). La mia creatività ne era tarpata e le mie energie erano pochissime.
Tuttavia, un giorno decisi (o meglio, sentii il bisogno) di dargli sfogo: così, una sera, tornato dal lavoro, iniziai a mettere in pratica un’idea che mi frullava nella testa dal 2003 e che nasceva da un alcuni colpi-di-fulmine avuti nel passato. Decisi di mettere in piedi un engine che implementasse l’esplorazione di labirinti costruiti a tessere, illuminati in tempo reale e rotati a 360° con visuale dall’alto. Questa idea malsana mi si era andata formando in testa da sé, senza che me ne accorgessi. I tre elementi di cui è costituita sono ispirati da: Wizard of Wor e altri giochi (tipo Alien Breed), per quanto riguarda i labirinti; Shadowlands, per quanto riguarda il sistema di illuminazione; Tail-to-nose, per quanto riguarda il concetto del personaggio fisso al centro e tutto il resto che gli ruota intorno.
Da Wizard of Wor e Alien Breed ho preso – volontariamente e non – anche altri elementi, ma le influenze non si fermano qui: altri giochi che hanno contribuito sono The Amazing Spider-Man, Impossible Mission e The Chaos Engine – e, ora che ci penso, forse l’idea dell’automapper mi deve essere venuta da Ambermoon. Questo per quanto riguarda le influenze “rintracciabili”, ma chissà quante altre (magari neanche legate a videogiochi) ce ne sono state.
Ars Ludica: Perché questo titolo criptico e, contemporaneamente, ironico?
Simone Bevilacqua: Alla fine della serata in cui cominciai ad implementare l’engine di base, mi ritrovai con un po’ di file che dovevo pur mettere da qualche parte. Anche una vaga idea di cosa si sarebbe potuto costruire su quell’engine mi avvolgeva la mente, ciò che avevo era ancora una massa informe e di difficile etichettatura: perciò, creai una directory e la chiamai “BOH”, il cui significato, a questo punto, non sfuggirà a nessun italiano. Decisi che un nome l’avrei scelto solo quando il prodotto avesse acquisito un’identità ben definita. Beh, ciò non successe mai, perché, ad un certo punto, aggiunsi la “temabilità”: la veste audiovisiva del programma può essere completamente stravolta semplicemente scegliendo uno dei temi installati. Ciò ha un impatto determinante sull’identità del gioco, per cui scegliere un nome sarebbe possibile solo mantenendosi sull’astratto (cosa che comunque ho dovuto fare nella scelta della terminologia del manuale e degli elementi di gioco, senza aver sempre grandi possibilità di movimento): ma,
a quel punto, “BOH” va benissimo, perché nella sua indefinitezza, acquista un nuovo significato e, in più, ha il pregio di prestarsi anche come TLA (Three Letter Acronym).
Hai ragione anche per quanto riguarda il sapore ironico: nessuno (italiano, s’intende) a cui ho fatto vedere il gioco non ha fatto almeno un sorriso o la faccia strana… e dentro di me, ogni volta che ci penso, scappa un sorriso ebete e sornione…
Ars Ludica: Puoi presentare BOH ai nostri lettori descrivendolo a parole tue?
Simone Bevilacqua: E’ una parola!!! Mi sono ormai trovato davanti ad una situazione del genere parecchie volte e ancora non ho trovato la formula giusta. Sarebbe tutto più facile se ci trovassimo indietro nel tempo di 10 o 15 anni, ma oggigiorno non tutti hanno il background culturale per cogliere al volo i molti aspetti di BOH.
Comunque, semplificando, BOH è un gioco di esplorazione e azione soffocato da un costante, maledetto senso di claustrofobica oppressione (è un tentativo di tirare fuori una formula: quanto sia efficace, lo ignoro).
In pratica, ci si trova a vagare in aree dalla struttura più o meno complessa (a volte dei veri e propri labirinti) in cerca di un nemico malefico – chiamato “Maestro del Male” – che continuamente scaglia all’attacco orde di nemici da lui stesso creati. Trovare la via giusta è complicato non solo dalla presenza di vari bivi, corridoi, etc., ma anche da passaggi di diverso tipo (che spesso bisogna aprire e/o varcare in una determinata sequenza) e dalla ridottissima visibilità (qui evito di addentrarmi nei dettagli per non complicare troppo le cose) – il tutto mentre l’intensità dell’attacco nemico aumenta man mano che ci si avvicina al Maestro del Male.
Il gioco cerca di coinvolgere emotivamente e di sfidare l’orientamento, la freddezza e i riflessi del giocatore.
Ars Ludica: Gran parte del fascino del prodotto, oltre che nello stile retrò, risiede nell’estrema claustrofobicità dei livelli, resa possibile dal campo visivo molto limitato del protagonista. Il giocatore si trova schiacciato dallo scenario, almeno finché non riesce a comprenderne la struttura (o ha completato la mappa e tutto gli appare più chiaro). All’inizio l’effetto è un po’ spiazzante, ma ben presto si capisce che l’urgenza di movimento generata dagli spazi ristretti è centrale per l’esperienza di gioco, perché mitiga il senso di oppressione e spinge ad avanzare. Ho bevuto troppo prima di giocare, oppure ho ben interpretato BOH?
Simone Bevilacqua: Hai colto uno dei aspetti chiave del gioco, e la cosa mi dà molta soddisfazione!
Da aggiungere a quanto hai detto tu, c’è solo da dire che l’esperienza viene arricchita dalla possibilità di raccogliere e utilizzare dispositivi vari, quali fonti di luce che illuminano aree più grandi e con maggiore chiarezza, un visore che estende il campo visivo a 360°, radar che segnalano la presenza di nemici non visibili e automappatori che automaticamente disegnano sul video la mappa da te citata.
Ars Ludica: BOH ha un design radicalissimo legato all’epoca dei computer a 16 bit, Amiga soprattutto.
Simone Bevilacqua: Possiamo metterci anche gli 8 bit… addirittura c’è un tema chiamato “C64”, la cui grafica è stata ottenuta ridisegnando la grafica del tema di default con i 16 colori della celebre macchina Commodore!
Al di là del tema C64, comunque, la radicalità che tu giustamente ravvisi si esprime, per quanto riguarda l’impatto visivo, nella grafica realizzata a mano, piazzando i pixel uno ad uno e nella bassa risoluzione dello schermo (in modo che i pixel si vedano per bene!).
Tuttavia, occorre evidenziare che, allo stesso tempo, ho utilizzato tecniche più moderne, che le vecchie macchine non permettevano – giusto per restare in ambito grafico, vale la pena menzionare la rotazione dell’intero campo di gioco con intepolazione a 24 bit, uso di alphachannel a 8 bit, sorgenti di luce a 24 bit, cross-fading a 24 bit, etc., il tutto calcolato in tempo reale.
Ars Ludica: Come mai questa scelta?
Simone Bevilacqua: Adoro questo tipo di giochi. Non solo perché sono cresciuto negli anni ’80 e ’90, ma perché presentano una realtà alternativa, un mondo di sogno a noi estraneo e, allo stesso tempo, accessibile. È un po’ ciò che avviene con i cartoni animati. Oggigiorno sento ancora più il bisogno di questa forma di evasione mentale, in quanto l’offerta videoludica moderna non fa altro che tentare di proporre qualsiasi cosa in chiave realistica (peraltro, nonostante le notevoli tecniche sviluppate, rimanendo ancora molto lontana dalla realtà, in quanto la nostra esperienza sensitiva del reale va molto al di là di quanto può essere ottenuto artificialmente): insomma, io già vivo in un mondo di infiniti poligoni al secondo, perché mi deve venire riproposta la stessa sbobba sempre e comunque?
Ars Ludica: Non credi che ne sarà penalizzato dal punto di vista commerciale?
Simone Bevilacqua: Ne sono sicuro, sicurissimo. Sono pienamente consapevole del fatto che c’è una barriera culturale che impedirà a molti di comprendere BOH. Non lo scopro adesso con BOH, ma sono diversi anni che ormai ci rifletto (e, a volte, discuto con gli amici).
Allo stesso tempo, sono convinto che le persone curiose e di buona volontà che avranno la pazienza e la capacità di accostarsi a BOH senza preconcetti, potranno anche loro divertirsi scoprendo un “nuovo” mondo.
Ars Ludica: Oppure miri proprio a catturare quella parte di pubblico appassionato di retrogaming?
Simone Bevilacqua: Sono partito con la speranza di trovare un appoggio di partenza in quel tipo di pubblico. Tuttavia, come accennavo sopra, spero anche che la “novità” faccia presa su chi dei videogiochi oldskool non sa niente.
Sono altresì convinto che, se – ipoteticamente – si mettesse in piedi un’ossessiva campagna pubblicitaria di quelle con cui si sono imposti certi prodotti, si riuscirebbe ad aprire un bel varco nella barriera culturale moderna. Ma, ovviamente, una cosa del genere non è alla mia portata, e alla fine mi ritrovo ad essere nient’altro che un anonimo Don Chisciotte.
Ars Ludica: Quali sono state le maggiori difficoltà nello sviluppo di BOH?
Simone Bevilacqua: Non mi è facile dirlo… anzi, più ci rifletto, e più non trovo alcun elemento in particolare.
BOH è basato su un framework che mi sono costruito negli anni (e che ho espanso/modificato/aggiustato anche grazie allo stesso BOH): è in sé una cosa impegnativa, ma diluita nel tempo. Per quanto riguarda le parti nuove, beh, direi che tutto è stato più o meno impegnativo: il ray-tracing, la creazione e la gestione delle mappe, le intelligenze artificiali (che comunque sono abbastanza semplici), etc. Forse la vera sfida è stato far fare tutto alla CPU (sia per facilitare il porting su altre piattaforme sia perché a me programmare certe cose piace da matti) ottenendo buone prestazioni anche su macchine non troppo potenti (quest’esigenza nasce dal fatto che gli Amiga attuali non sono mostri di potenza).
Comunque sia, in BOH non c’è niente di trascendentale, che un qualunque buon programmatore non sarebbe capace di fare.
Ars Ludica: Quanto tempo hai impiegato per realizzarlo?
Simone Bevilacqua: E’ una quantificazione praticamente impossibile da fare in termini precisi.
Quello che posso dire di preciso è che ho iniziato il 19 Luglio del 2007, però il ritmo a cui ho potuto lavorarci non è stato regolare per vari motivi (lavoro, ispirazione, vita personale, etc.).
Ars Ludica: Ci sono state delle idee che volevi implementare ma che sono state escluse? Se sì, quali sono stati i motivi che ti hanno costretto a tagliarle?
Simone Bevilacqua: Sì, ce n’è una che mi spiace proprio non aver potuto includere: mi sarebbero piaciuto tantissimo che la distruzione dei nemici lasciasse tracce sul campo di gioco. Purtroppo questa è una cosa che non si sposa per niente con i motori basati su tessere, e men che meno con quello di BOH, che prevede una grande varietà di tessere anche per lo stesso tipo di elemento (ad esempio, per il pavimento semplice esistono 32 diverse tessere): le possibili soluzioni o mangiano una quantità spropositata di memoria (e magari in maniera crescente), o richiedono il rendering dello sporco in tempo reale, che non solo è un’operazione di per sé impegnativa per la CPU, ma diventa sempre più pesante a causa dell’aumento dello sporco man mano che il gioco prosegue.
Mi sono potuto concedere questo sfizio solo relativamente agli oggetti statici che possono essere fatti esplodere (casse, barili, etc.): in quel caso, dopo l’esplosione, è davvero semplice far sì che il pavimento sottostante risulti sporco. A dire il vero, di idea ce ne sarebbe un’altra, me la sono riservata per un evenutale BOH 2 nel caso il questo BOH avesse davvero successo (e cioè, mi concedesse di tirare avanti anche senza un lavoro). E’ una caratteristica che scommetto piacerebbe a molti – se non a tutti. Sai, non mi stupirei se con quello che sto per dire mi attirassi l’ira dei giocatori di BOH! Inizialmente, mi ero effettivamente avviato a implementare tale caratteristica, che era addirittura una componente fondamentale del gameplay. Solo che viene tirata in ballo una materia di quelle per me particolarmente noiose… così noiosa che fu capace di farmi perdere l’ispirazione e arrestare lo sviluppo del gioco del tutto per qualche settimana. Di che si tratta? Si tratta della modalità one-on-one online: un giocatore gioca normalmente, mentre l’altro, da un altro computer, svolge il ruolo del master! Purtroppo, però, soffro di un’allergia tremenda a tutto ciò che ha a che fare con la rete (parlando dal punto di vista della programmazione).
Quindi, per venire fuori da quello stallo, decisi di rimuovere del tutto questa caratteristica, e implementare al suo posto un’AI. E da allora sono andato come un treno!
Ars Ludica: Puoi raccontarci qualche curiosità inerente allo sviluppo del gioco? Sei libero di dire quello che vuoi, anche quante volte hai rinunciato al sesso per riuscire a portarlo a termine.
Simone Bevilacqua: Non mi viene in mente niente, se non che chissà quante volte avrò blaterato di BOH con i miei amici senza che loro fossero interessati o potessero seguirmi – poverini, cosa hanno dovuto sopportare!
Facciamo così: visto che dalla mia pessima memoria non viene fuori nulla, vado a pescare qualcosa che ho scritto nella sezione “TRIVIA” del manuale: ho programmato tutto in C; le missioni si creano semplicemente con un editor di testi… ah! ecco! Approfitto di questa domanda per sottolineare un aspetto importante del gioco: l’ho scritto appositamente perché possa essere espanso con facilità anche da terzi. Si possono aggiungere temi, missioni e traduzioni semplicemente mettendone i relativi file di dati nelle directory giuste. Se le vendite saranno buone, io stesso prevedo di rilasciare altre missioni; inoltre, sempre se ne varrà la pena, rilascerò la documentazione per la creazione delle espansioni – sarebbe bello se intorno al gioco si sviluppasse un bel movimento di “modders” (c’è già chi mi ha detto che vuole ricreare i livelli di Doom…).
Ars Ludica: È bello che, nonostante BOH giri su Windows Xp e Vista, tu abbia pensato anche a una comunità relativamente piccola come quella degli appassionati dell’Amiga. Immagino che tu sia un fan di questo computer.
Simone Bevilacqua: Uso principalmente AmigaOS 4 per tutto. Riprendendo quanto raccontavo all’inizio, mossi i primi passi della programmazione su un C64 che, anch’io, ricevetti come regalo della Prima Comunione. Dopo passai a un Amiga 1200, sul quale ho passato incalcolabili ore a programmare direttamente l’hardware. Nel 2003 presi l’AmigaOne che sto usando per risponderti: è naturale, quindi, che io abbia pensato alla comunità Amiga.
Ars Ludica: Hai avuto riscontri dalla suddetta comunità?
Simone Bevilacqua: Devo ammettere che il riscontro commerciale è stato molto deludente. Ma un’analisi approfondita ci lancerebbe in un discorso lungo e complicato – e, comunque, affrettato, visto che non sono trascorse neanche 3 settimane dal lancio.
Devo dire, però, che ho ricevuto l’apprezzamento e il consenso generale.
Anzi, fammi aggiungere un’altra cosa, perché è quella che conta di più in assoluto. Non c’è nessuno, che io sappia, tra chi ha comprato il gioco, che non vada dal felice all’entusiasta: essere riuscito a far divertire altri con un prodotto della mia creatività e della mia passione è un’esperienza di condivisione bellissima.
Ars Ludica: Come vedi attualmente la scena Amiga attualmente? Ha un futuro, qualsiasi esso sia?
Simone Bevilacqua: Solo chi ha seguito la storia di Amiga dalla bancarotta di Commodore può avere idea di quale assurdo, complicatissimo susseguirsi di eventi ha costellato la vita di tale piattaforma. In base a questa tormentata storia, è molto difficile fare previsioni. Mi sento solo di dire che ci sono delle possibilità che la situazione di Amiga migliori: negli ultimi anni abbiamo visto il lancio di AmigaOS 4 e di nuove schede Amiga (tra l’altro, progettate e prodotte dall’italianissima ACube Systems srl); in più, ci sono anche sistemi operativi amigosi che hanno continuato ad andare avanti: sto parlando di MorphOS e AROS.
Ars Ludica: Nei riconoscimenti hai ringraziato Jesus. Che ruolo ha avuto nello sviluppo del gioco? (ora sai che c’è qualcuno al mondo che legge i riconoscimenti)
Simone Bevilacqua: Ti sono grato di aver letto pure quella pagina, ma lo sapevo anche prima: c’ero almeno io!!!
Per quanto riguarda Gesù, beh, lui ha un ruolo fondamentale in tutta la mia vita… lui *è* la Vita. Senza Gesù, senza Dio, l’esistenza del Tutto non ha nessuna ragione; e la vita, che è una parte del Tutto, è quindi anch’essa priva di ragione.
Ars Ludica: Che progetti hai per il futuro? Credi di continuare a supportare BOH? Oppure stai già lavorando su qualcos’altro?
Simone Bevilacqua: Il supporto a BOH è già in atto. Le copie erano già pronte ad inizio Febbraio, ma poi, per allucinanti cause non dipendenti né da me, né dall’editore, la commercializzazione è potuta avvenire solo dopo due mesi! In quei due mesi, ho continuato a migliorare BOH, sia aggiungendo caratteristiche che non era saggio includere poco prima della produzione del master (ad un certo punto uno deve tirare una linea e dire “ecco, questo è il prodotto”, altrimenti lo sviluppo va avanti indefinitivamente e non si arriva mai a nulla), sia sistemando qualche errorino, sia ottimizzando qualche routine. In più, ho creato due temi alternativi che, come l’aggiornamento, saranno distribuiti gratuitamente.
Sempre al riguardo di BOH, il prossimo futuro potrebbe portare un port per MacOS e per Linux (tra parentesi, BOH già funziona perfettamente su Linux con l’aiuto di Wine): ma ciò dipende, ancora una volta, dal successo commerciale del prodotto attualmente in vendita.
In un futuro ancora più lontano, ci potrebbe essere un BOH 2, come accennavo prima: ma in questo caso stiamo guardando davvero troppo in là.
A parte BOH, ho tantissime altre idee… ma, purtroppo, anche queste sono condizionate da quello che il futuro mi riserva: magari troverò un lavoro che mi prenderà troppe energie, magari perderò l’ispirazione, magari mi sposerò e troverò qualcosa di più bello di programmare… è proprio il caso di dire: BOH, chi lo sa!
Non posso tuttavia evitare di rispondere all’ultima domanda: nel Novembre scorso, durante le fasi conclusive della creazione di BOH, ho cominciato a lavorare a un altro gioco… un gioco per C64! Al momento manca l’audio e c’è da sistemare una questione che riguarda le collisioni, ma già è pienamente giocabile. Si tratta, comunque, di una cosa per farmi due risate con gli amici e per godere un po’ della programmazione diretta dell’hardware. Se un giorno anche i summenzionati aspetti saranno sistemati, lo rilascerò senz’altro gratuitamente.
Il pisello scomparso dall’uomo di Vitruvio di Leonardo
“Vetruvio architetto mette nella sua opera d’architettura che le misure dell’omo sono dalla natura distribuite in questo modo. Il centro del corpo umano è per natura l’ombelico; infatti, se si sdraia un uomo sul dorso, mani e piedi allargati, e si punta un compasso sul suo ombelico, si toccherà tangenzialmente, descrivendo un cerchio, l’estremità delle dita delle sue mani e dei suoi piedi.”
Che il mondo dei videogiochi fosse sessuofobico si sapeva e non è certo una novità. In realtà non lo è sempre stato (ovvero, non è corretto affermare che il sesso nei videogiochi non esiste) e andrebbero fatti alcuni esempi interessanti di videogiochi che contengono del sesso senza per questo scadere nella pornografia o nel cattivo gusto. Ma questa è un’altra storia di cui riparleremo.
Riprendo dal blog dei Tale of Tales (quelli di The Path e The Graveyard, per intenderci) una notizia di poco conto ma indicativa di un certo modo di concepire il medium: il teaser ufficiale di Assassin’s Creed 2 è composto da una serie di opere grafiche di Leonardo da Vinci (spero che non tirino fuori la solita storia complottista alla Codice da Vinci). Il filmato, che non mostra nulla sul gioco, si conclude con il famoso uomo di Vitruvio a cui… sono stati asportati i genitali. Insomma, è senza pisello.
Ora, ve lo immaginate l’uomo di Vitruvio senza pisello? Il problema, secondo me, non è nemmeno quello fatto notare dai ToT per cui il teaser è indicato come adatto ai diciottenni e quindi non si vede perché non debba apparire il pisello; il problema vero è che se prendo una moneta da un euro o se apro un sussidiario delle elementari, l’uomo di Vitruvio il pisello ce l’ha. A nessuno, nemmeno all’educatore più bigotto, è venuto in mente di chiedere l’asportazione dei genitali dall’immagine, perché ritenuta non adatta ai bambini.
Aggiungo che nessuno porterebbe il figlio a vedere l’opera originale pretendendo che ne venissero coperte le nudità, come nessuno ha mai preteso (almeno che io sappia) che alla Venere di Botticelli venga coperto il seno oppure che nell’Amor Vincit Omnia di Caravaggio appaiano delle mutande a coprire le pudenda di quello svergognato di Amore.
Eppure, chi ha realizzato quel teaser, ha pensato bene che l’uomo vitruviano dovesse essere censurato. Sarebbe interessante conoscere il processo mentale che ha condotto al taglio. Mi viene in mente la solita tiritera: i videogiochi vengono visti, fondamentalmente, come prodotti per bambini e, quindi, ogni riferimento al sesso va eliminato. Eppure, ribadisco, in questo caso specifico, chi avrebbe mai chiesto la censura? Perché si è scelto di svilire non tanto l’opera originale, quanto il fruitore finale, ipotizzandone un moralismo così acceso da pretendere la censura di uno dei capolavori di Leonardo?
Va anche considerato che stiamo parlando del seguito di un gioco in cui si vestono i panni di un assassino professionista… insomma, non certo materiale da educande.
Con questo non voglio montare un caso su quello che, in fondo, è un dettaglio. Però va detto che se il mondo esterno all’industria dei videogiochi non fa il minimo sforzo per considerare questo medium come qualcosa di diverso da un giocattolo tecnologicamente avanzato, l’industria stessa s’impegna moltissimo per ribadire tutti i pregiudizi che le ruotano intorno e per apparire infantile, anche lì dove non sarebbe strettamente necessario e dove, invece, potrebbe cercare di confrontarsi con le altre arti non solo a botte di numeri, ma anche su temi e questioni più legate ai contenuti.
[Diario] Ricordando il massacro della Columbine High School
Esattamente 10 anni fa si compiva uno dei massacri più terribili eseguiti in ambienti scolastici. La Columbine High School di Littleton, Colorado, assistette a poco meno di un’ora di follia omicida.
Eric Harris e Dylan Klebold, studenti della stessa scuola, giorno 20 aprile 1999 dopo aver registrato un breve video dove salutavano i propri genitori scusandosi per gli atti insensati che avrebbero compiuto, si diressero alla Columbine High School armati come due commando. Uccisero ben 13 persone (perlopiù studenti, a cui si aggiunserò loro stessi dopo essersi suicidati, raggiungendo i 15 morti) e ne ferirono altre 24. Le ragioni? Odio e razzismo nei confronti della società che li circondava e forse, la voglia di entrare nella storia moderna.
Vorrei ricordare questo triste accadimento perché i protagonisti (vittime ed esecutori), furono ragazzi come noi e in quanto venne puntato il dito contro i videogiochi (ma anche contro la musica) come possibile causa di questo assurdo gesto, quasi a voler alleggerire le responsabilità delle istituzioni nascondendo le stranezze del sistema legislativo americano.
Demigod e la pirateria
Demigod è un gioco esclusivo per PC realizzato dalla Gas Powered Games e distribuito dalla Stardock (quella di Sins of Solar Empire, osannata da tutti per come ha reagito alle polemiche sull’alto tasso di pirateria su PC).
Con l’amore e la coscienza che li caratterizza, i videogiocatori hanno risposto bene a tanta considerazione nei loro confronti e, dopo il primo giorno dall’uscita, il report della Stardock è di quelli da incorniciare: per 18.000 copie originali vendute, ci sono 120.000 persone che hanno tentato di giocare con copie piratate.
Un risultato commovente, insomma, in cui i videogiocatori PC hanno dimostrato di tenere veramente al loro hobby, premiando chi ha lavorato per loro senza prestare orecchio alle sirene consolare.
Pensate, un videogioco che a quanto pare è uscito con pochi bug, giocabile sulla maggior parte delle configurazioni (dalla minima in su), dal prezzo abbordabile (a meno di non far parte del partito di quelli che i videogiochi tripla A li vogliono a 5€ appena usciti, che per inciso è un partito di idioti), esclusivo, senza protezioni invasive e che nelle prime recensioni ha preso voti molto alti. Il prodotto perfetto, insomma, quello che tutti invocano quando si parla di pirateria. Quello che, se esistesse, tutti acquisterebbero originale… a parole.
I fatti ci dicono che la depressione del mercato dei videogiochi PC non è casuale e che il confronto con quello console è deprimente.
I giochi PC costano meno (spesso molto meno) di quelli console, sono più versatili e configurabili ma vendono anche molto meno.
Il resto delle considerazioni pro e contro sono pure speculazioni e gli scarsi margini di vendita rendono inutili anche le giuste rimostranze di alcuni utenti, infastiditi da certi atteggiamenti dei publisher.
Un gioco di valore esclusivo per console può vendere diverse centinaia di migliaia di copie originali sin dal giorno di lancio. Su PC questo non avviene, tranne in casi rari che ormai si contano sulle dita di una mano, sempre che si consideri un range di molti anni.
Spero soltanto che le vendite di Demigod, se è vero che è un prodotto molto valido, s’impennino nei prossimi giorni, in modo da dare agli sviluppatori il successo che meritano.
OnLive ha già un concorrente: Dave Perry
Il videogioco in streaming è un’idea troppo affascinante per essere venuta solo a Steve Perlman, fautore dell’ormai famosissimo e speriamo non troppo futuribile servizio OnLive. Proprio alla sua presentazione alla GDC, infatti, un altro volto noto dell’industria svelava di essere al lavoro su qualcosa di estremamente simile: Dave Perry. Il celeberrimo papà di Earthworm Jim ha dato vita, nello scorso novembre, a una piccola società olandese chiamata GaiKai, per sviluppare una tecnologia denominata Streaming Worlds. Il concetto alla sua base è il medesimo principio che anima OnLive, cioé quello di consentire agli utenti di giocare in streaming piuttosto che eseguire il software in locale; il giocatore, insomma, riceve su schermo un flusso multimediale interattivo, inviatogli da apposite server farm, che si occupano di provvedere alle opportune elaborazioni volte a fornire un’esperienza ludica del tutto equivalente a quella tradizionale con console (o PC) e DVD.
Perry, però, insiste nell’evidenziare un particolare, che secondo lui distingue in maniera netta il suo progetto: non bisogna installare nulla, nemmeno un piccolo client o un minuscolo plugin per browser, oltre all’ultima versione del diffusissimo Adobe Flash Player; ciò permetterebbe di raggiungere un numero sensibilmente più elevato di utenti rispetto a OnLive, perché non tutti possono – per varie ragioni – essere in grado di installare del nuovo software sul proprio computer (gli scenari che personalmente ritengo plausibili sono veramente pochi: penso ad impiegati privi di diritti di amministratore sulla macchina e all’immancabile analfabeta informatico). Questo è un aspetto al quale Perry sembra prestare notevole attenzione; del resto, GaiKai non si pone solo l’obiettivo di inserirsi nel mercato videoludico, bensì più in generale è al lavoro su di una tecnologia che permetta di controllare dell’hardware remoto senza dover scaricare alcun client aggiuntivo, e come step successivo cerca di mettere in piedi un’infrastruttura proprietaria dal lato server a supporto dei servizi che intende offrire.
Sapremo certamente di più dei progressi del gruppo di Perry alla presentazione ufficiale di Streaming Worlds, in programma al prossimo E3. Pur permanendo i soliti dubbi su latenza e banda necessarie al supporto di un servizio del genere (a tal proposito ritengo interessante la lettura di un post sul blog dello stesso Perry), va ad ogni modo riconosciuto che progetti di tal sorta sono un gustoso antipasto di come senza dubbio evolverà il mondo dei videogame.
D&D ci Spiega Come non Fare Digital Delivery
Quando si parla di digital download la gente pensa sempre e solo ai videogiochi, al massimo alla musica; eppure di iniziative simili in altri domini ce ne sono state parecchie. Ad esempio l’editoria è stato forse il primo vero mercato ad appoggiarsi alla distribuzione digitale, da molto prima del lancio dell’iPod, quando ancora esistevano i Palm e l’Apple Newton era poco più di un ricordo ilare. Ancora oggi è uno dei settori dove la distribuzione digitale regna più florida anche grazie anche ad un massiccio investimento da parte degli editori.
Nel mondo dell’editoria ludica il fenomeno era rimasto per lo più vincolato alle case indipendenti, e solo di recente Wizards of the Coast aveva iniziato a far distribuire i manuali della 4a edizione di D&D a terzi (guarda caso gli stessi portali che già vendevano manualistica indipendente per la 3a edizione).
Ho avuto una doccia fredda quando oggi ho ricevuto la seguente e-mail, che, garbatamente, mi informava che WotC ha deciso unilateralmente di vietarmi l’accesso ad un bene regolarmente acquistato:
“By now, you have probably learned that Wizards of the Coast recently decided to cease the sale of digital download versions of their books. This means that *** and *** will no longer be able to offer you future downloads of Wizards titles you have purchased.
We are offering you a final 24-hour period in which to re-download copies of any Wizards of the Coast files you have purchased from us in the past. If there are any titles you purchased, and you need a new copy of the file for your personal archive, this is your last chance to get it.”
In anni di acquisti da indipendenti i servizi di cui sopra non hanno mai smesso di supportare i vecchi download, anche quelli di prodotti non più sul mercato o i cui editori sono falliti. Invece, da una multinazionale, arriva lo switch-off dopo pochi mesi, forse motivato anche dalla partenza di un servizio online simile, ma su abbonamento, erogato da WotC stessa.
Fortunatamente, per i download in questione non c’era alcun DRM con cui fare i conti: si perde solo il diritto ad avere un repository affidabile nel tempo per scaricare nuovamente le proprie copie in caso di smarrimento. Non peggio di quanto EA non faccia già sul suo sito. La possibilità di continuare ad utilizzare in maniera indefinita il proprio acquisto è garantita dal buon senso dell’utente.
Quando c’è un sistema di attivazione e certificazione di mezzo, invece, la situazione può essere molto più drammatica, come sanno bene gli utenti di MSN Music, che l’anno scorso si sono visti chiudere il servizio e le relative licenze connesse con gli acquisti fatti.
La class action risultata dall’evento ha acceso in seno alla commissione antitrust degli Stati Uniti un acceso dibattito (ancora in corso) sulla legalità di certi sistemi di tutela digitale, dibattito che ha spinto molti e-store a giocare d’anticipo disattivando il supporto al DRM, in realtà non senza doppi fini. L’idea preponderante, infatti, è quella di rendere il DRM delle licenze d’uso analogo ad un servizio di certificazione digitale (rendendo quindi obbligatoria la portabilità ed il supporto delle licenze da parte di chiunque eroghi servizi simili), visto che il suo scopo è proprio certificare l’acquisto. In questo modo, la licenza sarebbe di proprietà dell’utente (non del distributore) che potrebbe accreditarsi verso diversi servizi e community per utilizzare i propri acquisti. Paradossalmente, i servizi che ora sono più liberali sarebbero esenti da tali obblighi, continuando a tenere in ostaggio il pregresso di acquisti degli utenti, scoraggiandoli dall’aderire a servizi o community (visto che sempre più spesso si parla di mash-up multimediali connessi agli acquisti digitali) più convenienti o meno limitanti.
Spostando in chiave videoludica il mio disguido con WotC, la prospettiva rimane inquietante. Cosa succederebbe ai miei acquisti se un grosso publisher revocasse i diritti di distribuzione digitale delle aziende a cui li ha concessi sinora? Oppure se un grosso distributore fallisse?
Visto che la GI è, come al solito, in tremendo ritardo tecnologico rispetto al mondo reale, vale la pena di chiedersi anche come evolverà l’emergente migrazione verso il DRM di alcuni dei più popolari sistemi di distribuzione digitale proprio ora che, apparentemente, stanno per cambiare le carte in tavola con la prospettiva di un ragionevole accordo tra la tutela dei diritti d’autore e quella dei consumatori.