The Path

Sviluppato e pubblicato da Tale of Tales | Piattaforma PC | Rilasciato a Marzo 2009

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The Path non dice. Suggerisce, ma non espone, lavora sullo spazio, ma non lo svilisce pornografizzandolo alla comprensione. È un videogioco liquido che si adatta all’esperienza di chi lo gioca, anche di chi lo disprezza completamente. Non impone un senso, ma lo costruisce con il giocatore, dandogli la possibilità di crearsi un’angoscia personalissima all’interno della scatola / gioco.

Le meccaniche di The Path sono semplicissime: scelta una tra le sei ragazzine / ragazze / donne disponibili nella schermata iniziale, la si ritrova alla fine di una strada asfaltata, che muta in un sentiero sterrato. Intorno c’è un bosco oscuro in cui viene suggerito di non entrare da una scritta in sovraimpressione. Seguendo il sentiero si arriva in breve a casa della nonna, fallendo nella missione. L’esperienza inizia addentrandosi nel bosco, ovvero violando il divieto iniziale, come in tutte le favole che si rispettino.

Il bosco è oscuro e profondo, uno spazio senza confini che costringe a girare in tondo e a ritornare sempre sui propri passi. Una volta fra le sue brame il sentiero sparisce e si è costretti a cercare la luce nel buio, vagando apparentemente alla cieca in un territorio che assume presto connotati metafisici. Non c’è nulla che minacci il giocatore in The Path, ma pur essendone coscienti, se ci si lascia andare alla fruizione, si riesce a provare l’inquietudine di trovarsi da soli in un luogo ameno, in cui il rischio maggiore è proprio quello di farsi travolgere dal recupero dei ricordi.

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Non c’è una linea narrativa precisa da seguire; si vaga, si interagisce con gli ambienti, si sta a guardare. Niente appare chiaro e non c’è nulla che tenti di stabilire dei punti fissi. L’interazione stessa è paradossale, perché nei momenti chiave si limita a chiedere al giocatore di abbandonare i controlli lasciando che il personaggio s’immerga nello scenario che contiene il suo ricordo traumatico.

In realtà anche la descrizione che sto facendo è una forzatura perché, me ne rendo conto, è una mia interpretazione di un microcosmo che ammette il molteplice. Non c’è niente, in The Path, che permetta di svelare il moto del giocare perché, nonostante tutto, il suo fascino ruota intorno al mistero che lo genera. Cos’è The Path se non una negazione, in termini videoludici, di come vengono interpretati oggi i videogiochi anche dai videogiocatori stessi? Non c’è morte, ma la morte è ovunque; non ci sono combattimenti, non ci sono enigmi da risolvere, se non il gioco stesso, e non c’è uno schema fisso da seguire, eppure sembra di dover fare sempre la stessa cosa.

Il giocatore è perso nel bosco come le ragazze, tutte con indosso abiti rossi e neri (tranne per… vabbé, niente spoiler): come loro vaga nel buio alla ricerca della luce e, in generale, sembra saperne quanto loro di quello che ha intorno. Sin da subito, viene invitato a modificare il processo cognitivo del medium, che in questo caso rappresenterebbe più un ostacolo alla fruizione che un aiuto a “portare a termine” l’avventura. Le sequenze finali aiutano solo in parte, ma in generale sembrano pensate per confondere e stratificare ulteriormente il senso, quasi in un gioco rizomatico di significati che non ammettono sedimentazioni (per quanto possibile).

Andando a caccia di altri paradossi, si può dire che gli elementi più stranianti siano proprio quelli più propriamente riconducibili ai videogiochi tradizionali, ovvero la raccolta dei fiori sparsi per il bosco e la schermata di fine capitolo con un riepilogo che sembra uscite da un Doom qualsiasi, più che da un gioco horror, e che possono essere lette come dichiarazione di appartenenza, come una demarcazione di territorio non priva di una certa ironia, dovuta soprattutto al fatto che i dati oggettivi non comportano la vittoria, determinata piuttosto dal fallimento, ovvero dall’incontro con il lupo, allegoria del riemergere.

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In fondo, The Path tematizza la ricerca in quanto tale, nata dall’abbandono dell’ambiente rassicurante, per quanto caotico, rappresentato dall’illusione urbana, poco visibile ma sempre presente come un’apparizione, che sembra voler indicare la distanza tra la città e l’individuo. Le bambine devono perdersi per potersi ritrovare, devono abbandonare il sentiero per poter arrivare veramente a scoprire il senso del loro viaggio che è, neanche a dirlo, insito nella casa della nonna, figura assente, ma che sottende continuamente il suo esserci, almeno fino alla fine.

Pensandoci bene, l’inserimento di elementi videoludici “puri” è anche un modo per dire: è un videogioco, non un film, non un quadro interattivo, non un prodotto determinato dalla sola composizione di altre arti a cui si vorrebbe subordinato e inferiore. È un videogioco e, in quanto tale, riesce a produrre senso, piaccia o meno. Non potete limitarvi ad osservarlo e a decantarlo, dovete anche giocarlo. Se riconoscete i suoi meriti espressivi, non potete prescindere dal riconoscerne la natura e, quindi, non potete non esaminarlo in quanto tale, senza fuggire in territori più comodi e più tranquillizzanti. Per questo evito di parlare di grafica e sonoro, che in questo caso stonerebbero ancora più del solito.

The Path invita a perdersi a tutti i livelli di lettura possibili, scartando l’ipotesi dell’indifferenza e invitando a provare sentimenti forti, fossero pure l’odio o la ripugnanza. La sua natura informe o, meglio, difforme sfugge dall’ormonalità dominante e invita alla contemplazione, a una fruizione lenta. Non per niente correre nel bosco comporta l’impossibilità di guardare in prospettiva, ovvero si perde la profondità dello sguardo sul contesto, con l’inquadratura che ruota sull’asse Y passando dall’essere posizionata alle spalle del personaggio, all’essere posizionata a volo d’uccello.

Tutto avviene all’interno dell’azione e in realtà dal fruitore non viene preteso molto, se non la partecipazione e la capacità di accettare l’impossibilità di arrivare a qualcosa di definito o, meglio, di detto. Gli stessi elementi testuali che appaiono sullo schermo non guidano, ma ampliano l’idea generale, contribuendo allo splendido smarrimento.

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34 commenti su “The Path

  1. Volevi scrivere una recensione senza usare le categorie classiche?

    come leggevo le parole che autonomamente mi si disponevano in testa erano,
    inutile eserciz<io di stile inconcludente…

    come l’ultimo prince of persia….ma senza le scene powah

  2. La sua natura informe o, meglio, difforme sfugge dall’ormonalità dominante e invita alla contemplazione, a una fruizione lenta.
    Spettacolo.
    Non vedo l’ora di provarlo, appena ne ho la possibilità.

  3. @Ray

    Il giochino “non ho capito una fava di quello che hai scritto, ma siccome si parla di videogiochi devi utilizzare i soliti, rassicuranti schemi triti e ritriti e un linguaggio terra terra, a meno che non tratti di robbe tecniche, nel qual caso sei giustificato”, altrimenti sei uno sbruffone snob screditabile senza sforzo e che non merita ascolto avrebbe anche rotto il cazzo.

    Se io leggo un testo, chessò?, di filosofia della scienza o di economia o una poesia e non capisco una fava (mi capita quasi sempre), semplicemente rileggo, e rileggo, e rileggo ancora, non do la colpa all’autore del testo, visto che il 95% delle volte la mancata comprensione è colpa mia. Bisognerebbe avere l’umiltà di farlo a tutti i livelli e in tutti i contesti. Ma si vede che aprire la bocca e dare fiato sparando sentenze è più facile.

    Sarà per questo che poi opere come The Path sono come perle gettate ai porci (con tutto il rispetto per gli affettati) e la banalità videoludica impera.

  4. @ABS

    Non mi trovo propriamente concorde. Se leggessi un articolo simile o almeno caratterizzato da una simile retorica trattante il diritto internazionale dell’economia la cosa mi creerebbe parecchio disappunto. Il fatto che un testo debba essere letto e riletto per essere compreso non è un punto a suo favore, anzi, ma tengo a precisare che non è questo il caso. Il testo si capisce alla prima lettura ma non ritrovo, malgrado le qualità vengano decantate, nessuna molla che mi spinga a provarlo…

    ovviamente mi sbaglio, ma mi sembra che dalla lettura Karat sia più compiaciuto dall’aver avuto la possibilità di scrivere una recensione simile che non dal piacere del gioco stesso…

  5. Bello, molto bello, ma di sicuro non è un videogioco appunto perchè manca totalmente la parte ludica. Psyco detective e The Last Express (il primo particolare nel sistema, il secondo ancora fra i miei giochi preferiti) erano al limite del ludico e più vicini a una fiction interattiva (e che fiction in TLE, maniacale la cura dei dettagli e rigiocabile potenzialmente all’infinito).
    Questo The Path, come il precedente Graveyard manca totalmente nella parte ludica (non esiste un solo enigma in tutto il gioco è puro movimento all’interno di un opera d’arte e il movimento genera la storia). Come struttura mi ricorda molto Linger in Shadow che per sua stessa ammissione NON era un videogioco, ma un richiamo alla Demo scene, una corrente artistica che sfruttava le potenzialità del nuovo media per rappresentare. The Path per me appartiene a questa categoria: un opera artistica software, ma non un videogioco in quanto l’unica cosa che condivide con quest’ultimo è la grafica e l’uso di un linguaggio di programmazione per la sua creazione

  6. > Il testo si capisce alla prima lettura ma non ritrovo, malgrado le qualità vengano decantate, nessuna molla che mi spinga a provarlo…

    Può anche essere che il gioco è ben descritto ma non rientra nei tuoi interessi, no?
    Io stesso non ho provato The Path e non m’incuriosisce poi molto, anche se il pezzo mi è piaciuto.

  7. @Uriele
    Questo continuo ribadire “ma non è un videogioco, ma non è un videogioco, ma non è un videogioco, ma non è un videogioco” appena qualcosa prova timidamente a uscire dai limitati schemi coltivati finora ha il forte retrogusto di rifiuto di qualsiasi vera innovazione ed evoluzione del medium.

    @Ray
    Se hai DAVVERO capito quello che hai letto, sicuramente non l’hai dimostrato con l’intervento precedente che era, a essere buoni, superficiale. Se dici che i testi devono essere tutti capiti al primo colpo altrimenti l’autore è un cazzone (insultando così disinvoltamente fior di gente del passato e del presente con mezzo metro di pisello), si vede che hai letto proprio pochino in vita tua…

  8. Questo gioco e’ arte come e’ arte “merda d’artista” di Manzoni. Ossia e’ un voler fare arte PERFORZAPERFORZAPERFORZAPERFORZA ma alla fine hai fatto solamente una merda.

  9. te la faccio facile se tu guardi una pizza non la definisci come un nuovo tipo di spaghetti. Non parli del nuovo word definendolo un’innovazione nel genere dei giochi testuali come Zork (oh sì, adesso non lo so)
    Io ho detto che The Path assomiglia più, per la sua natura, a un prodotto Demoscene (come appunto il meraviglioso Linger in Shadow uscito per PS3 in cui ESISTE ed è forte la componente di manipolazione della scena, ma manca la componente ludica e gli stessi creatori lo definiscono un prodotto demoscene e non un videogioco)
    Ripeto THE PATH mi è piaciuto, mi ha intrattenuto e affascinato più di molti videogiochi, ma proprio perchè l’ho giocato e l’ho apprezzato ne rispetto la natura e non cerco forzatamente di spingerlo in una categoria che non gli appartiene e nella quale verrebbe distrutto mancandogli proprio la giocosità.

    Se poi per gioco tu intendi allargare il senso dell’espressione come “qualsiasi esercizio cui si dedichino adoulti o bambini per ritemprare energie fisiche o spirituali”, allora anche smanettare con il kernel diventa un videogioco o scrivere il curriculum durante il tempo libero o progettare qualcosa in CAD. E quando tutto diventa gioco nulla lo è davvero.
    Io per gioco intendo qualcosa di più, qualcosa che richieda in una certa misura un interazione partecipativa, abilità o acume nella risoluzione di problemi. Una visita virtuale in una ricostruzione di Pompei, per quanto la possa preferire a un Crysis non è un videogioco per me, anche se la cosa potrebbe ritemprare le mie energie spirituali. Sono contento che esistano case come la Tale of Tales che si impegnano per creare un prodotto nuovo una forma di narrativa multimediale, con una potenza pari, e superiore in alcuni punti, a quella del cinema d’essay, sfruttando in modo appropriato la potenzialità del mezzo computer.
    Per me siamo davanti a una creatura nuova, nata fondendo letteratura e informatica, e non lo dico per denigrare i videogiochi o incensare The Path, lo dico perchè sono due creature indipendenti che meritano la giusta identità, dignità e rispetto

  10. Secondo me il continuare a dire che non ci sono strumenti critico/linguistici adatti per descrivere il gioco sintetizza il problema stesso di The Path: usa un modello di comunicazione “alternativo” (dall’andare contro l’istinto di sopravvivenza al dare informazioni contraddittorie), quindi errato sin dalle sue premesse di design. E’ difficile il dialogo con l’utente, a meno che esso non sia stato precedentemente “educato” (come i nostri più acerrimi sostenitori del titolo) o sia ben già polarizzato verso il titolo. Per gli altri rimane la reazione “si, ma a che serve?” ed è perfettamente motivata: inutile parlare con un Platone redivivo se non sai il greco antico.

    Poi c’è il grosso problema della critica che sopravvaluta tutto solo perché il team aveva un titolo più concreto, maturo e geniale alle spalle. The Path non è The Graveyard.

    Vuole fare l’avventura grafica alternativa, solo che non riesce a comunicare perché l’utente non capisce quello che il gioco vuole da lui e alla fine, purtroppo, è costretto a rimenere intrappolato in un pixel hunting illogico (e anche tecnicamente mal realizzato) di cui non vede il senso, se non quello di un sadico (e fuggevole) fascino iniziale.

    Senza contare che dopo il primo personaggio (geniale metterne 6 per far sembrare più onesto il prezzo) praticamente qualsiasi scelta di setting e di suspance decade, perché tutto il gioco è esaurito e messo a nudo, cambia solo l’apparenza. E’ questa la profondità che cerchiamo nelle esperienze videoludiche alternative? Che differenza c’è dalla decisione di fare un pompino virtuale su Secondo Life, tanto per fare una provocazione, se non il fatto che questa alternativa riescono a capirla tutti?

    Inoltre, IMHO, ha poco senso un setting così morboso se poi il gioco non è in grado di sfruttarlo dal punto di vista narrativo (cosa che invece in The Graveyard riusciva benissimo). Inutile attaccarsi sulla non-linearità o il suo essere aperto a qualsiasi sviluppo (che poi quale sarebbe? ci sono solo due epiloghi, e le dinamiche sono rigidissime), quasi fosse un mondo virtuale, qualsiasi cosa avviene davanti ai nostri occhi va interpretata in senso narrativo, causa/effetto. Se questo sistema non sta in piedi, bisogna scrivere decine di recensioni in cui l’autore dice: “Ho deciso che il gioco è bello, anche se, in concreto, non so dirvi perché”. Siamo tutti un po’ fanboy.

    Potremmo parlare per mesi se sia o non sia un videgioco (IMHO lo è visto che ci sono dei meccanismo ben definiti ma mal realizzati per far evolvere la storia) nel senso canonico del termine, ma questo non è importante. Come non è importante quali siano state le vere intenzioni degli sviluppatori. A maggior ragine se per far questo ho bisogno di strumenti di supporto al di fuori del contesto e che non fnano necessariamente parte dell’esperienza durante l’intrattenimento (quello si chiama marketing difensivo e quasi mai corrisponde alla verità, vedi anche i time-filler di HL2).

    Quello su cui la critica dovrebbe soffermarsi è sull’uso inadatto ed incoerente della comunicazione con l’utente, difetto imperdonabile e che mina pesantemente tutta l’esperienza, qualunque essa abbia voluto essere, prima di creare un inutile precedente solo perché ci si annoia di scrivere sempre le solite recensioni.

    Si può discutere per anni sulla Merda d’Artista, ma sempre merda rimane

  11. Mi rendo conto di fare la figura del videogiocatore reazionario, tradizionalista, e di limitati orizzonti che pensa solo in termini “grafica/sonoro/giocabilità/longevità” (nonché palesemente off-topic), ma volevo sapere com’era la colonna sonora di The Path, dato che è opera di Jarboe, compositrice che stimo molto.

  12. Penso che l’intento di questo gioco e dei suoi sviluppatori sia quello di annullare l’oggettività e far trionfare la visione personale. Proprio per il fatto che il gioco dice poco, spiega poco e si lascia abbandonare all’interazione tra ambiente e giocatore, è un modo per far sì che quest’ultimo si formi una sua personalissima esperienza di gioco, a livello emotivo ed emozionale (positiva o negativa che sia) completamente diversa da quella di un’altra persona. Il discorso che si faceva prima sul forum a proposito della recensione di IGN ci calza a pennello infatti. Questo gioco è un trionfo della soggettività sull’oggettività, è impossibile incasellarlo dentro a dei parametri oggettivi, è impossibile impacchettarlo dentro ad un giudizio e ad una sintesi che vada bene per tutta la collettività. E’ proprio un tentativo di dimostrare quanto possa essere personale e intima un’esperienza di gioco e di quanto possa differire da persona a persona, mettendo a disposizione condizioni di gioco dove il giocatore è lasciato libero nello scoprire, interagire e nell’interpretare personalmente ciò che lui vede e percepisce.

  13. The Path è una meravigliosa opera concettuale, un pietra miliare per il futuro.
    Grande anche il nostro Karat, come al solito puntuale nella sua critica.

    (…e ora posso spararmi nelle palle, mammina?)

  14. Fa sempre piacere leggere degli articoli ben scritti.

    (commento acuto e di una necessità stringente).

  15. @ABS

    Vediamo di fare a capirci …

    In relazione a quello che leggo posso giudicare la fruibilità del testo più o meno positiva.

    Se dovessi leggere un manuale, qualunque argomento questo tratti, prefererirei che questo sia il più chiaro possibile.

    Se dovessi leggere una poesia la fruibilità del testo potrebbe tranquillamente passare in secondo piano rispetto ad altri aspetti.

    Chiarito questo, per quel che mi riguarda, un recensione non è una poesia, non dovrebbe, sebbene possa, essere un esercizio di stile.

    T

    Personalmente mi ritrovo piuttosto affine con la citazione dadaista. Un’opera che è vecchia nel momento stesso in cui viene creata.

  16. tu citi l’esempio di un testo di scienza, di economia etc etc

    c’è, a mio avviso, un distinguo da fare in quel che dici; la non fruibilità può essere dovuta dalla complessità dei temi trattati o dal linguaggio inutilmente pomposo e retorico. La seconda ipotesi può usata per nascondere la povertà delle tematiche esposte o per esaltarne le caratteristiche…

    Evidentemente questo gioco fa bagnare Karat come una cheerleader nello spogliatotio della squadra di Football americano e quindi dal suo punto di vista, l’interessato mi corregga se sbaglio, scrive la recensione non utilizzando le categorie classiche per esaltarne le peculiarità uniche.

    Nel caso del sottoscritto il gioco [fa quanto ho visto nel filmato youtube] fredda i bollenti spiriti come una sessione di footfucking in un reparto di geriatria e
    quindi leggendo la recensione riesco solo a concepire il gioco come esercizio di stile…

    Non essendoci elemento ludico non so come possa essere definito videogioco….

    La mia limitatezza mi porta comunque a non capire dove risiedano le differenze tra l’ultimo prince of persia e the path…si alcune le intuisco ma non mi sembrano tali da affossare il primo e decantare le lodi del secondo

  17. Beh Ray non credo l’intento di karat sia stato quello di scrivere una recensione, bensì scrivere quello che pensa del gioco. Quindi appurato il fatto che questa non è una recensione, bensì una riflessione sul titolo, non capisco il problema.

    Ritornando IT, direi che il pezzo è scritto egregiamente, c’è anche da dire che più ne sento parlare, più mi passa la voglia di provarlo. Pazienza, speravo in qualcosa di più.

  18. @ray
    con tutto il rispetto, ma che commenti a fare se non l’hai provato il gioco?
    Non voglio certo dire che l’aver giocato un titolo sia la “conditio sine qua non” (visto che ci piacciono i paroloni) per poterne parlare, ma è indubbio che nell’esprimere posizioni particolarmente critiche è quasi dovuto (per una questione di credibilità).
    O no?

    A prescindere dalle pippe sull’articolo di Karat eh… parliamo del merito del gioco. Il resto mi è sembrato un discorso piuttosto povero di argomentazioni.

  19. Boh.
    Di norma più un prodotto è lodato per presunte qualità che generano seghe mentali e più ne sto distante.
    Da come ne parlate rientra di prepotenza in questa categoria.
    Ergo ne resterei distante.

  20. PREMESSA: In questo commento non dirò. Suggerirò, ma non esporrò, lavorerò sullo spazio, ma non lo svilirò pornografizzandolo alla comprensione. Sarà un esposizione liquida che si adatterà all’esperienza di chi la leggerà, anche di chi la disprezzerà completamente. Non imporrò un senso, ma lo costruirò con il lettore, dandogli la possibilità di crearsi un’angoscia personalissima all’interno del browser / Internet.

    COMMENTO: Oh, merda, mi sono cagato nelle mutande!

  21. @ MicheleMelis: bisogna spezzare una lancia a favore di ray io l’ho giocato e visto su youtube e data la poca ludicità del titolo, l’unica differenza risiede quasi unicamente nel tempo di immersione nel gioco e nella libertà di camera (differenze non da poco certo, che differenziano un film da un opera multimediale, ma l’immersione nella storia esiste ed è forte in entrambi i casi data la quasi totale assenza di ludicità del titolo).
    @Ray: Il problema fondamentale dell’ultimo prince of persia è l’aver reso impossibile al giocatore sbagliare e subire le conseguenze dei propri errori, cosa che annulla totalmente la souspance e la tensione di alcune scene. Detto questo però Prince Of Persia è un gioco un titolo ludico con un certo coefficiente di difficoltà e che necessita della cordinazione per essere portato a termine
    Detta papale papale, non c’è gusto a ottenere delle splendide sequenze coreografiche e a proseguire l’azione se quando si sbaglia non c’è un adeguata contropartita (in molte avventure grafiche la contropartita non è morire, ma rimanere incagliati in un punto per non essere riusciti a risolvere un enigma complesso, in POP la cosa è più fisica e dopo pochi errori in cui si viene salvati miracolosamente, il problema si passa facilmente)

  22. The Path è un titolo interessante: è sicuramente più videogioco del non-videogioco The Graveyard (che fallisce proprio nel suo depauperare il medium videoludico di ciò che lo rende tale al punto da portarlo a mera imitazione di quello cinematografico), ma ancora non raggiunge il punto che dovrebbe raggiungere.

    Non c’è nessuna trasgressione nell’ignorare l’ordine iniziale, dato che è in realtà l’unico modo di usufruire di queste esperienza, non c’è libertà, a parte quella di decidere se andare avanti/indietro/destra/sinistra alla cieca e senza consapevolezza. C’è però coerenza e coesione, uno schema che è condiviso dal gioco e che ci si fa trascinare da esso rivela un’esperienza tutto sommato interessante.

    Pregi e difetti a parte, The Path è la prova che i Tale of Tales devono necessariamente evolversi, perché altrimenti finiranno per non sapere nemmeno loro in che direzione andare, lasciando che siano i loro “afescionados” a spiegare ciò che nemmeno loro saprebbero spiegare.

  23. Concordo con chi dice che The Path non è un gioco riuscitissimo. E’ interessante dal punto di vista artistico, ma qui ci stiamo dimenticando il fatto che siamo su un medium interattivo.

    Non mi sento di crocifiggere i Tale of Tales, però trovo che The Path sia un gioco molto al di sotto delle aspettative, e parlo perché l’ho giocato da tester.

  24. Ci è arrivata prima (e meglio) Angela Carter. Mi affascina, ma quando comincio a bestemmiare coi controlli (chi ha programmato questo gioco, un beota?) addio sospensione dell’incredulità…

    Se videogame deve essere, please, pensiamo di più ai fondamentali.

  25. Eddai Karatino, non confondere un pene più lungo come un sussidio all’intelligenza.
    Anche perché, se fosse davvero così, non saresti nemmeno in grado di non sbavarti addosso.

  26. Pings/Trackbacks [Diario] L’anno che è stato (2009) | Ars Ludica

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