Portal ha riportato in auge un discorso aperto mesi fa da Major Nelson (quando ancora non aveva dovuto ricorrere alla chirurgia plastica per farsi togliere i tatuaggi) circa la reale importanza della longevità nei futuri giochi. In realtà, quei discorsi parlavano di longevità ma intendevano durata. Bisogna sempre ricordare che essi sono due aspetti del tutto distinti e scollegati. Portal è un gioco breve ma, essendo essenzialmente un puzzle game con pochissimi enigmi, anche poco longevo. Call of Duty 4 è un gioco piuttosto breve, ma con una longevità molto alta grazie alla componente multiplayer.
La prospettiva di giochi che durino molto poco è appetibile per i developer: i giochi moderni richiedono parecchio impegno economico per creare quelle sequenze cinematiche in-game che sono diventate uno standard di fatto, quindi non aspettiamoci troppi Uncharted, a meno che qualcuno non capisca che l’importante per il game developer dovrebbe essere sviluppare il gioco, non reimplementare da zero la tecnologia che c’è dietro ogni santa volta.
Ecco quindi uno scenario futuro che inizia a vacillare anche considerando bei giochi del passato prossimo già prodotti in quest’ottica. Prendiamo un grosso hit dell’anno scorso: Gears Of War. Durata breve ma ancora superiore alle 5 ore profetizzate da Nelson e pappagallate dai developer\producer di mezzo mondo. Nonostante ciò il risultato è stato una storia condensata in 8 ore di gioco frenetico, poco chiara, sconnessa, a tratti del tutto incoerente. Tanto da richiedere una cospicua espansione al lancio della versione per PC, orientata ad un pubblico forse un po’ meno consumistico di quello console e oggi più che mai molto attento al rapporto qualità\prezzo.
Per altri titoli vale comunque l’opposto: Doom 3, Quake 4, Prey, Tomb Raider, F.E.A.R., Half Life 2, Far Cry (la lista è virtualmente infinita), sono stati titoli con pochissimo da dire, stiracchiati alla meno peggio in più o meno piacevoli ripetitive sessioni\fotocopia. L’importanza nella giusta misura è fondamentale ma bisogna considerare che accorciare i giochi citati avrebbe forse sottolineato di più l’intangibilità e la mancanza di dettagli in quanto narrato. Che sarebbe successo se parte del tempo di gioco fosse invece stato usato per dettagliare maggioremente gli avvenimenti, piuttosto che introdurre stringhe di ripetitivi fill-in? Magari alcuni di essi non si sarebbero fermati poco oltre il break even.
Bisogna inoltre considerare che alla riduzione di durata nei titoli in previsione per il futuro, non corrisponderà un proporzionale abbassamento dei prezzi, quindi il rischio concreto è quello di pagare 60 euro per 5-6 ore di gioco, una proposta tutt’altro che allettante. La risposta prevedibile dei consumatori sarà un ricorso ancora maggiore all’usato ed è sempre più probabile che i developer inizino ad adottare in maniera massiccia sistemi di attivazione anche per titoli non multiplayer per arginarne il fenomeno (vedi Bioshock o Two Worlds). In molti stati americani c’è già un lungo processo di identificazione e burocrazia per acquistare media usati (è diventato più difficile di comperare un’arma nuova), voluto fortemente dalle major e spalleggiato dai senatori e dai governatori locali che traggono profitto dal mercato dell’intrettenimento. Chi vuole intendere intenda.
Il problema economico giace proprio sul piano della miopia delle multinazionali del videoludo: i giochi hanno durate, costi e aspettative variabili, un po’ come avviene per i libri. Con i libri, tuttavia, i prezzi non sono omogeneizzati verso uno standard di mercato, come succede invece per l’home video ed i videogiochi. Sotto questo aspetto, il paragone con l’industria cinematografica è sbagliato e controproducente, specie ora che per una console è possibile commercializzare sia lunghissimi RPG come giochi orientati esclusivamente al multiplayer con costi di produzione, aspettative di vendita e longevità del tutto differenti. Si sta sicuramente cercando di porre un limite a questo aspetto utilizzando il digital delivery ma discutibili politiche di DRM ed i prezzi ancora non proprio adeguati ad un mercato usa e getta non hanno fatto maturare molto un modello che era partito con l’idea dei micro-pagamenti ed oggi si ritrova a far pagare alcuni contenuti più di un titolo da scaffale in offerta speciale.
In realtà ci sono già le prime avvisaglie che alcune di queste scelte sono sbagliate. Passato il secondo Natale per la 360, le aspettative non sono state proprio eccellenti: poco più di 13 milioni di console vendute contro le 18 prodotte (ricordiamoci che circa il 33% è stato dedicato al rimpiazzo di quelle difettose, una pratica che continua a costare a Microsoft ancora milioni di dollari ogni mese) e una soltanto marginale crescita degli utenti Live (siamo passati dagli 8 milioni di profili dell’anno scorso ai 10 di quest’anno). Evidentemente la profusione di titoli payware a prezzo elevato del 2007 non è stata proprio bene accetta dalla massa dei consumatori e piuttosto che far esplodere la user-base ne ha causato una contrazione, proprio al secondo Natale a pieno regime, quello che di solito decreta una crescita quasi esponenziale nelle vendite delle console leader di mercato, grazie anche ad un catalogo di giochi più ricco.
In conclusione, se si pensa che la soluzione al problema dell’abbandono di un titolo dopo pochissimo tempo di gioco sia la sua durata, si è fortemente fuori strada. Il problema sta nella stagnazione dei generi e nella scarsa originalità. Aspetto che la riduzione nelle durate non farà che peggiorare, visti i limiti temporali imposti. E’ un dato di fatto che giochi orientati al riuso o semplicemente basati su un’ottima e solida storia sono oggetto del desiderio dei videogiocatori per anni, indipendentemente dalla loro lunghezza, anche se sono ancora pochi i publisher che insistono pesantemente sul modello commerciale a lungo termine. Portal è sicuramente un esempio di opportunismo narrativo, facilitato dall’essere un puzzle game: in quello scheletrato di script (per molti entusiasti geniale, ma forse solo un pretesto per non far sentire troppo il peso di un demo a pagamento), c’è un escamotage per non raccontare una storia.
E’ pericoloso pensare che il mondo sia pronto a molti altri capolavori basati sulla magistrale presentazione della loro assenza di contenuti.