In questi giorni, complice una settimana di torcicollo che mi ha costretto a casa [leggasi: davanti al monitor con mouse e/o joypad in mano], riflettevo sul rapporto che intercorre tra la pratica del videogiocare e lo status di lavoratore sposato con donna non giocante. Voglio fare una piccola premessa: sono sicuro che le rappresentanti del gentil sesso, qualora dovessero leggere queste righe, non si offenderanno per essere state considerate come oggetto del discorso. Converranno infatti con me che, nonostante il numero di casual gamer femminili stia rapidamente crescendo, il loro peso sulla scena videoludica sia ancora statisticamente insignificante e, pertanto, passibile di essere arrogantemente ignorato.
- Vignetta di Noah Kroese e Aaron Stanton (comic.gamesfirst.com)
Ma torniamo al titolo del post: Dove sto andando?. Mia moglie ormai me lo chiede spesso. Sono riuscito nel difficile compito di farle credere che ogni gioco abbia una storia da raccontare e che, in ogni momento, io stia compiendo delle azioni finalizzate al raggiungimento di un obbiettivo decisivo per l’evolversi della trama. La mia dolce metà, tuttavia, non è così ingenua da non capire che il raggiungimento di quella sporgenza non ha altro scopo se non quello di accaparrarmi un oggetto utile esclusivamente all’acquisizione di un altrettanto inutile achievement (ed il gioco di parole sono sicuro che verrà perdonato). Ma facciamo ancora un passo indietro e torniamo a quando lei, appena sposata, valutava il mio videogiocare come un’inspiegabile perdita di tempo. I momenti per stare insieme erano pochi, visti il lavoro e la frenesia tipica della nostra città e per me era difficile obbiettare ai suoi giustificabili rimproveri: “Se proprio dobbiamo stare davanti alla televisione, allora è meglio guardarsi un film! Almeno ci capisco qualcosa anche io!“. Come darle torto? Il mio videogiocare la escludeva, mettendola nella condizione di scegliere tra lo stare con me o lo spostarsi in un’altra stanza, perché tutto quel rumore la distraeva dalla lettura e/o dalla possibilità di ascoltare della musica. A lei non interessava muovere l’omino sullo schermo e io non ero intenzionato ad attendere che tra lei ed il mondo dell’intrattenimento videoludico strictu sensu, scoccasse il colpo di fulmine. I primi mesi di convivenza non sono stati facili per la mia affermata identità da addicted. Poi arrivò Mass Effect e la storia d’amore tra Shepard e Liara cambiò tutto.
- Screenshot della scena di sesso tra Shepard e Liara
. Dove stai andando?
. Ad uccidere la Matriarca Benezia
. Ma non è la madre di Liara?
. Sì, amore… ma se tu avessi seguito la storia, sapresti che…
In quell’occasione capii che la pratica del videogiocare poteva essere condivisa anche con un non giocatore, senza per questo inficiarne la natura single player. Mi spiego meglio. Compiere o meno un’azione capace di modificare la componente narrativa di un’opera, così come decidere l’allineamento che caratterizzerà il protagonista della stessa, sono scelte che possono essere facilmente prese di concerto, rendendo partecipe lo spettatore che in una qualche misura si sentirà parte attiva di quanto vedrà accadere su schermo. Ben più difficile risulterebbe ottenere lo stesso risultato in giochi più ignoranti come Gears of War o Wet, se solo si sottovalutasse il potere che qualunque forma di intrattenimento dotato di trama riesce a suscitare nelle persone curiose. Al pari di un film visto distrattamente o di un libro letto per passare il tempo in attesa della metropolitana, mia moglie ha imparato ad usufruire del mio videogiocare tanto quanto una normale casalinga utilizza Maria De Filippi come sottofondo alle sue faccende domestiche. Senza entrare nel merito della qualità offerta dai programmi della showgirl milanese, quello che mi preme sottolineare è che esperienze sviluppate appositamente per il singolo [non sto parlando infatti di party game], siano godibili anche se viste in una prospettiva come quella che vi ho appena descritto. A Mass Effect seguirono Fallout 3 e Bioshock, titoli anch’essi capaci di essere raccontati e non solamente giocati. Oggi, ad un anno dalla domanda fatta da mia moglie, le risposte sono state molte: dalla Gerusalemme di Altair alla Stalingrado di Vassili, passando per la Londra di Sherlock Holmes e la Manhattan di Peter, Ray ed Egon. Non sempre il risultato ottenuto è stato soddisfacente. Alcune volte queste storie erano interessanti, altre volte ci annoiavano… ma quella che non è mai andata perdendosi è stata la volontà di divertirci insieme, anche se il gameplay presupponeva la partecipazione di una sola persona. Il dibattito che gravita sulla possibilità di considerare i videogame come una forma d’arte interattiva è ampio, annoso e impossibile da trattare senza citarne le autorevoli fonti. Personalmente, però, ritengo necessario che l’opinione pubblica attribuisca alla pratica del videogiocare la stessa legittimità che solitamente riserva ad attività passive come quelle legate a pellicole e romanzi.
- Vignetta tratta da “Maus” di Art Spiegelman
Forse, in quest’ottica, servirebbe un titolo che riesca a replicare, nel mondo dei videogiochi, quello che per il fumetto ha fatto il Maus di Art Spiegelman, “un patrimonio della narrativa novecentesca che ha ridato centralità al dibattito attorno a questo particolarissimo tipo di linguaggio fatto di parole e immagini: il fumetto” (la Repubblica). Penso quindi all’Heavy Rain di David Cage o all’Alice di American McGee, quest’ultimo paragonato addirittura al regista visionario Tim Burton. I loro titoli saranno capaci di cambiare la percezione che le grandi masse hanno del videogiocare? Forse no, ma mia moglie è curiosa e non vede l’ora che io li giochi per lei.