Leggendo questo articolo mi sono rivenuti in mente moltissimi ricordi. Brutti ricordi. Una delle esperienze più frustranti inerenti all’ambito videoludico è un finale non all’altezza delle aspettative. Ne ricordo con orrore alcuni di giochi del Commodore 64 o dell’Amiga: delle schermate nere con testi che, immancabilmente, esordivano con “Congratulations”… e a volte questa parola era l’unica ad apparire sullo schermo.
Dopo ore passate a superare schermate o livelli (ricordo al mondo che prima i videogiochi erano mediamente molto più difficili di quelli attuali) era brutto vedere con quanto fastidio veniva svolta e archiviata la pratica del finale. Tanta fatica per niente.
Non che uno pretendesse chissà cosa (i limiti surclassavano ampiamente le possibilità); andava bene un finale anche molto semplice, come quello di Target Renegade, in cui il protagonista beve al bar insieme alla ragazza che ha appena salvato, oppure come quello di Turrican, in cui esplode la torre fallica dove è ambientato l’ultimo livello, con relativa fuga dell’eroe su una navicella spaziale.
Insomma, ci si accontentava… ma non di tutto. Dopo aver faticato sette camicie per finire Ghouls’n’Ghosts su C64 era brutto trovarsi di fronte al nulla. Neanche un’immagine fissa per ripagare il povero giocatore?
Oggi le cose sono cambiate e più che di “assenza” per i finali di molti videogiochi moderni si potrebbe parlare di “bruttezza endemica”.
Chi ha studiato un po’ di letteratura sa che il finale non è indifferente al resto del romanzo e può essere utilizzato come chiave di lettura di tutta l’opera. È lo spartiacque della visione dell’autore, il momento che determina la problematicità o la consolatorietà di un testo. Se alla fine di “Madame Bovary” Emma non morisse e l’ingenuo e onesto marito non impazzisse, trarremmo conclusioni molto diverse sul senso dell’opera di Flaubert.
I finali dei videogiochi moderni sono spesso semplicemente osceni e, nonostante siano ormai sempre presenti, sono frettolosi e poco curati come quelli dei videogiochi antichi (tenendo sempre presenti le diverse proporzioni). Prendo come esempio Mask of the Betrayer, espansione per Neverwinter Nights 2, che ho giocato di recente. Il gioco in se è splendido, con tocchi di classe notevoli e una trama ben congegnata e appassionante, nonostante la povertà dei mezzi narrativi impiegati (soprattutto testo). Peccato che, dopo tanta fatica e tanti discorsi parafilosofici sulla morte, sull’amore e sul tradimento, arriva il finale in cui: [SPOILER]il protagonista torna al suo villaggio, si sposa e vive felice e contento vivendo mille altre avventure.[FINE SPOILER]
Non si poteva proprio inventare niente di meglio? Qualcosa di meno “soffice” intendo. Lo stesso discorso si potrebbe fare per i finali di molti altri giochi (mi vengono in mente Lost Odyssey, Mass Effect, Gears of War, Final Fantasy XII: Revenant Wings, Blacksite e molti altri). Ma perché non citare anche Bioshock che vede proprio nel finale frettoloso e retorico il suo più grande punto debole (fanno schifo entrambi, sia quello positivo che quello negativo)?
Menzione a parte meritano quei giochi che, per motivi vari, non hanno un finale vero e proprio. Ad esempio Half-Life 2, che lascia intendere senza mezzi termini il suo essere incompiuto per dare spazio ai vari seguiti, oppure Assassin’s Creed, che tronca la narrazione in modo brutale e traumatico rimandando anch’esso ad un probabile seguito. Lo stesso discorso è fattibile per Crysis, che spreca la sua eccellenza tecnologica per un impianto narrativo banale e dal finale scontato e incompiuto.
Il male di cui soffrono molti videogiochi tripla A è quello dell’eccessiva pianificazione del brand più che la cura del singolo prodotto, che porta a creare finali ad hoc per lasciare in sospeso il discorso.
Qualcuno parla di “finali aperti” sbagliando. Sarebbe meglio definirli “finali sospesi”, in modo da rendere meglio l’esplicita volontà di alcune opere di creare una sospensione narrativa non interpretabile ma chiusa e conclusa dall’immancabile seguito.